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Seconda parte dell'intervento di F. Gesualdi

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La seconda parte dell'intervento è centrato sulle Strategie. E' una parte articolata e complessa, un po' lunga, ma vale davvero la pena arrivare fino in fondo.
Ci aiutiamo nella lettura con questo piccolo schema, dal quale potete accedere direttamente alle varie parti.

Secondo me bisogna essere capaci di agire contemporaneamente a due livelli:

-         nei confronti dell’emergenza, per tamponare le falle più grosse di carattere ambientale e sociale che il sistema sta creando, sperando di riuscire a farlo in tempi abbastanza brevi in modo da alleviare nel tempo più rapido possibile le sofferenze più gravi che questo sistema sta infliggendo al pianeta e a un vasto numero di persone

-         riprogettare l’economia, nella consapevolezza che per costruire un’economia nuova che sappia davvero superare tutte le difficoltà e le contraddizioni che abbiamo creato oggi, non basta apportare delle piccole riforme a questo sistema, dobbiamo avere la capacità di ripensarne uno completamente nuovo.

Affrontiamo questi due capitoli uno per volta.

Penso che ci debbano essere TRE OBIETTIVI di fondo quando parliamo di emergenze.

 

1.      Tentiamo di fare in modo che la più grande istituzione mondiale che è diventata la più potente del mondo e che è pensata unicamente per il commercio, non sia arricchita di altri trattati. Non so se sapete che l’organo più alto dell’OMC è la Conferenza Interministeriale di tutti i ministri del Commercio Estero dei governi che fanno parte dell’organizzazione.

Nel 1999 questa conferenza era stata indetta a Seattle, e lì si è creato un grande movimento per dire che non si condivideva l’impostazione dell’OMC, ma  soprattutto per dire che non vogliamo che si aggiungano trattati all’interno di questa istituzione, perché tutti i nuovi trattati servirebbero soltanto per sottomettere altre sfere del vivere umano, del vivere sociale, del vivere politico ad altri interessi delle imprese. Non a caso i trattatati nuovi che si cerca di realizzare oggi, sono

-         il trattato sui servizi: le imprese oramai non producono più soltanto beni, ma un numero sempre più vasto sta producendo servizi, che significa: ristorazione (Mc Donld’s, tanto per fare un esempio); Vivendi, che guarda caso è una multinazionale, ha riunito in sé la gestione di erogazione di acqua, energia elettrica, fognature e, chissà perché, controlla anche lo spettacolo, controlla anche l’informazione attraverso Universal …controlla una vasta quantità di reti televisive; Suez Lyonnèse des Eaux controlla gestione dell’acqua e delle fognature… e non sono pochi soldi… questi stanno facendo di tutto per accaparrarsi e controllare gli acquedotti di tutte le grandi città del mondo; tutto il sistema bancario è un sistema di servizi; tutto il sistema che gestisce gli ospedali è un sistema di servizi; tutte le imprese che gestiscono l’istruzione privata sono imprese di servizi; quindi il mondo dei servizi è un mondo molto vasto che va dalla ristorazione ai trasporti, passando per le telecomunicazioni, gli spettacoli, passando per la sanità e l’istruzione. Siccome sta diventando un capitolo d’affari molto importante, le multinazionali vogliono che si inserisca un trattato apposito all’interno dell’OMC, dove sia garantito alle imprese la possibilità di poter entrare in qualsiasi Paese del Mondo (perché il servizio ha la caratteristica di dover essere erogato a diretto contatto con il consumatore, non è come la merce che posso produrre qui e esportare là, ma bisogna che io mi insedi là dove il servizio deve essere fornito) e possibilmente che gli Stati rinuncino all’erogazione di quei servizi classici come la sanità il trasporto e l’istruzione, che proprio per il loro grande valore sociale erano sempre stati gestiti dalla macchina pubblica; c’è una grande spinta affinché gli stati rinuncino ad essere gli unici che gestiscono questa parte di servizi, lasciando sempre più spazio alle imprese private secondo la logica del mercato.

-         Trattato sugli investimenti

-         Trattato sulla liberalizzazione del taglio delle foreste (già nel pacchetto di Seattle)

-         Allargamento del trattato sulla tecnologia, per consentire alle imprese di poter vendere senza che gli stati possano fare opposizione prodotti ottenuti con qualsiasi tecnologia; e quando si parla di tecnologia, non parliamo soltanto di torni. Oggigiorno siamo nell’ambito della biotecnologia, per cui parliamo di OGM; nell’ambito della bioingegneria, nell’ambito della biochimica, stanno avvenendo delle trasformazioni che non immaginiamo neanche. Ad esempio oggi un altro settore di studio è la cosiddetta nanotecnologia, una cosa di cui si parla soltanto nelle riviste specializzate, è la tecnologia dell’infinitesimamente piccolo, per tentare addirittura di arrivare a produrre materiali sintetici in misura sempre maggiore, ed è chiaro che chi controllerà queste tecnologie, controllerà anche la produzione dei prossimi decenni. Se queste tecnologie facciano male o facciano bene, non ci è dato di saperlo. Siamo ancora nel tempo della progettazione. Ciò che l’OMC vorrebbe, è che i popoli facessero da cavie, per cui c’è una clausolina nel trattato sulle barriere tecniche al commercio, si chiama così, che dice che gli Stati hanno sì la possibilità di poter vietare l’importazione di prodotti che in nome della salute potrebbero fare male alla gente, ma hanno il diritto di farlo soltanto se hanno le prove certe che fanno male. Per cui per tutto ciò che è frutto di nuova tecnologia, e di cui si hanno solo indizi, l’OMC obbliga ad aprire le frontiere. Come a dire facciamo sì che intere popolazioni facciano da cavie. Quindi quando fra un po’ di anni avremo scoperto che il prodotto tal dei tali ha causato tot migliaia di tumori o tot migliaia di disfunzioni, di malformazioni, allora diranno “vabbene, abbiamo capito che fa male, forse oggi lo possiamo proibire” grazie, ma intanto abbiamo prodotto una serie di malanni non indifferenti.            

La cosa drammatica è che il tentativo lo fanno le imprese, ma non hanno titolo per sedere direttamente all’interno dell’OMC; si sa che le grandi multinazionali esercitano una pressione costante soprattutto su questa istituzione, che hanno tutte le loro rappresentanze, che fanno un lavorio continuo di lobbing, come si suol dire, che si vedono a colazione a pranzo e a cena con il direttore dell’OMC, ma la cosa più drammatica ancora è che non avendo titolo ufficialmente, fanno pressione sui governi perché siano loro a rappresentare i loro interessi. Altrimenti voi mi dovete spiegare perché ci deve essere un governo che un bel giorno si alza in piedi e dice che vuole fare un accordo sui servizi, contro l’interesse della gente. Non può esserci altra spiegazione. Magari, anziché dire queste cose papali papali, ci si richiama a delle concezioni teoriche: il commercio è comunque un qualche cosa che fa bene a tutti, che lo dobbiamo espandere, anche se poi abbiamo la dimostrazione contraria, che tante popolazioni, più sono inserite nel commercio internazionale e più si impoveriscono. Ma questo naturalmente si nega.

Per cui ricordiamoci che

. l’OMC è congeniata così, per difendere l’interesse esclusivamente delle grandi imprese, e tutti i trattati sono orientati a vedere di non creare discriminazione nei confronti delle grandi imprese; . si sono fatti dei trattati che non hanno oramai niente a che fare con il commercio: si è fatto un trattato sugli appalti pubblici che dice che il Comune X non può fare un regolamento che vieta ad esempio la partecipazione della multinazionale estera per favorire la cooperativa locale perché magari questo gli risolve un problema occupazionale; ma non può neanche escludere dall’appalto l’impresa che si è macchiata di crimini gravi di carattere sociale e di carattere ambientale, perché una regolamentazione di questo genere verrebbe subito impugnata come una discriminazione.

È  pericolosissimo che nuovi trattati vengano inseriti all’interno dell’OMC, perché la logica èsempre questa: prevalgono il commercio contro l’interesse della gente, contro gli interessi sanitari, contro gli interessi ambientali, contro gli interessi sociali.

Una macchina così va come minimo fermata tentando dire: ok, moratoria di qui a tre secoli; per tre secoli non facciamo più alcun trattato, ma possibilmente modifichiamo anche quelli che già avete fatto , in modo da tentare di ridurre i danni che questi trattati stanno arrecando alla gente.

Vorrei citare altri due trattati che si abbattono in maniera  particolare sulla povera gente del Sud del mondo:

-         il trattato sui brevetti (con il commercio non c’entra nulla e invece di essere liberista, è un trattato protezionista): tutti gli Stati del mondo devono dotarsi di leggi interne che vietano alle proprie industrie di copiare formule o processi tecnologici esteri senza aver avuto il permesso dell’impresa che ne ha fatto l’invenzione e , beninteso,  senza aver pagato il pizzo all’impresa che ha fatto l’invenzione, senza aver pagato il brevetto. Ci sono degli stati come l’India, come la Tailandia, come il Brasile, che in nome dell’interesse collettivo, dell’interesse della propria gente, in ambito farmaceutico non si erano mai sognati di fare una legge di questo genere, e quindi avevano autorizzato le proprie imprese a copiare le formule estere senza pagare niente, perché questo naturalmente avrebbe consentito di immettere sul mercato dei farmaci a prezzi più bassi. Da qui al 2005 questi paesi si dovranno adeguare, per cui dovranno pagare.

Si prevede che in India i prezzi dei farmaci aumenteranno anche 20 volte in virtù di questa nuova normativa, che l’India sta già adottando.

            In virtù di questo accordo il cartello delle imprese farmaceutiche ha intentato            di aprire un contenzioso presso l’Alta Corte Suprema  del SudAfrica, contro            la legge di Mandela fatta due anni fa, che diceva: siccome abbiamo un tasso            di malati di AIDS molto alto, siccome se compriamo i prodotti dalle imprese           che hanno inventato la formula il costo annuo della cura si aggira intorno ai     
          15.000$ ed è un costo proibitivo che quasi nessuno si può permettere (questi           sono stati dove il reddito procapite si aggira per ben che vada a 2.000$   
          l’anno), siccome in Brasile gli stessi farmaci costruiti dalle imprese brasiliane           senza pagare il brevetto alle imprese che l’hanno inventato ci consentono di           poter acquistare farmaci  per il ciclo di cure annuo a 4.000$, quindi quasi 4           volte meno, noi autorizziamo l’importazione di questi farmaci dal Brasile. Per           le imprese questa è ovviamente una situazione molto pericolosa perché se tutti           seguissero lo stesso esempio, alla fine più nessuno comprerebbe direttamente           da loro. Questa è la ragione per cui hanno intentato il processo, ed è stato      
          importante che ci sia stata un’organizzazione come Oxfam, inglese, che ha     
          subito sciorinato un bel rapporto per far vedere tutti i danni che una    
          regolamentazione di questo genere provoca sui poveri del Sud del mondo, e   
          sono stati così abili nel condurre la campagna, che è stata ripresa da Medici           Senza Frontiere e un po’ tutte quelle organizzazioni che sono coinvolte nella           sanità del Sud del mondo, che tutta la stampa internazionale ne ha parlato;           queste imprese alla fine si sono vergognate come ladri, perché si sono rese           conto di essere additate alla vergogna pubblica per cui in nome dei loro            profitti queste sono disposte anche a far morire la gente (e non si può dire           diversamente). Poiché avevano paura che questo si potesse ripercuotere           anche nei paesi ricchi dove hanno il grosso del mercato, hanno deciso di fare il           gran gesto di ritirarsi dal contenzioso, hanno rinunciato alla querela, quindi il           processo non si è fatto. Ma non si è fatto, non perché loro di spontanea            volontà abbiano rinunciato, anzi erano già pronti e organizzati; tutte e 39 le           grosse imprese farmaceutiche nel cartello sono tornate indietro solo perché è           stata organizzata questa campagna internazionale.

        Fermiamo questo trattato per affermare un principio molto         semplice: la gente viene prima dei profitti.

          Se proprio si tratta di salvaguardare il sapere delle imprese, non lo spingiamo           fino a questi estremi. Per cui, se si tratta di salvaguardare la tecnologia       
         dell’aeronautica, forse ci si può anche stare, ma ci devono essere degli ambiti          dove non è assolutamente accettabile, primo fra tutti quello dei farmaci.

-         un altro trattato che dobbiamo in tutti i modi modificare, è quello      
        sull’agricoltura. Anche questo sta scardinando la vita di milioni contadini del         Sud del mondo e sta impedendo a un sacco di Paesi del Sud di garantire la       
        propria sicurezza alimentare. Sorvolo su questo, perché ognuno di questi trattati         avrebbe bisogno di lunghe spiegazioni.

 

 

2.   Oltre all’OMC, non dimentichiamo che ci sono altre due istituzioni che gestiscono le sorti dell’economia del Sud del mondo attraverso altri meccanismi, FMI BM, tutti e due attraverso la leva del debito e la BM attraverso la leva del credito ai fini dello sviluppo, di fatto obbligano gli stati del Sud ad accettare un serie di condizioni in ambito economico per cui l’economia di questi stati è orientata sempre di più verso una concezione liberista; il che vuol dire: sempre più spazio alle imprese private, al mercato, sempre meno spazio alla sfera pubblica. Ricordandoci che nel mercato ci guadagna e riesce a vivere chi ha soldi, nel pubblico invece riesce ad avere un minimo di beneficio anche il debole, anche il povero.

      Bisogna quindi vigilare su queste istituzioni.

      Bisogna spingere per l’abolizione del debito: non possiamo limitare la nostra attenzione a quei famosi 40 Paesi del mondo il cui reddito procapite non va oltre i 700$ all’anno. E sapete che FMI e BM alla fine hanno accettato di adottare una politica di riduzione del debito di questi stati, ma non l’hanno accettata perchè riconoscono che se continuano ad essere obbligati a pagare tolgono risorse alla propria gente; l’hanno accettata per riportare il debito ad un livello tale da porre nelle condizioni di pagare. Come dire: è inutile che io mi accanisca a voler far pagare un miliardo di debito ad una persona che guadagna 500.000 lire al mese, questo il debito non lo pagherà mai. Riportiamolo ad un livello per cui nonostante le sue 500.000 lire, le 10.000 lire al mese me le può dare. Per cui a quel punto non hai più scuse, non puoi più appellarti al fatto che il debito è troppo alto. Al di là di tutto, la logica è sempre quella di continuare a pretendere che ci sia il ritorno economico.

      Queste sono davvero delle istituzioni diaboliche, micidiali, dove tutto ciò che per noi è valore, in casa loro non esiste affatto. Quello che conta è gestire gli interessi in nome delle grandi imprese produttive, bancarie, finanziarie.

E lo dimostrano i fatti. Non è che tutto questo lo diciamo per partito preso.

 

3.   Terzo ambito di intervento: tentare di fermare i crimini d’impresa.

      Sappiamo molto bene che le imprese, proprio perché rispondono a questa logica di costi e ricavi, alla fine in nome soprattutto dell’abbattimento dei costi si lasciano andare a dei crimini sociali ed ambientali gravissimi.

Potremmo rammentare il crimine nei confronti del lavoro: noi sappiamo che un sacco di prodotti che ci mettiamo ai piedi vengono  da Paesi del mondo dove i lavoratori alla fine vengono pagati con dei salari che stanno al di sotto della soglia di povertà. Sappiamo di imprese che legalmente organizzano l’evasione fiscale eleggendo il domicilio fiscale nei paradisi fiscali: mentre noi siamo alle prese con un debito pubblico che non finisce più, per tentare di ridurre il debito pubblico si tagliano le spese a più non posso, si permette che queste imprese legalmente vadano a mettere i loro soldi in luoghi dove non gli si chiede di pagare alcuna tassa. E di fatto poi sono tutti soldi che tolgono a noi e che ci costringono a fare dei sacrifici. Ci sono tutta una serie di imprese che commettono dei crimini ambientali gravissimi: potrei rammentare la Shell nel caso della Nigeria, ma potrei rammentare l’Agip nel caso dell’Equador (in Equador in questo momento c’è un oleodotto che sta pisciando petrolio a più non posso, e l’oleodotto è stato costruito da un consorzio di cui fanno parte le più grandi imprese petrolifere compresa l’Agip). Ricordatevi che il settore chimico e petrolifero è uno dei settori più inquinanti della terra, e che dove si impiantono corrono grossi rischi di arrecare danno all’ambiente e alle persone. Avete seguito il caso Enichem in questi giorni? Lì ci sono stati morti a non finire, ammalati a causa di tumore. Ricordiamoci che le imprese al di là del tentativo che fanno di presentarsi come delle santarelline, al di là che facciano la beneficenza a questo, a quello (ora fanno la beneficenza anche all’UNICEF, all’ONU, sono tutte cose studiate per ripulirsi l’immagine) di fatto queste rispondono ad una sola logica: costi-ricavi.

Un imperativo è abbattere i costi, l’altro imperativo alzare i ricavi. Ci sono delle tecniche per l’uno, delle tecniche per l’altro. Molte volte per ottenere l’abbattimento dei costi non si fanno scrupolo a lasciarsi andare ad atteggiamenti criminali.

E a volte sono atteggiamenti da ladri di polli. Una Nestlé ad esempio, giusto per non fare nomi, che ha prodotto una confezione di merluzzo con le cipolle, e aveva scritto l’etichetta in una maniera tale che chi la leggeva pensava che il peso si riferisse a quello del merluzzo;invece corrispondeva esattamente a quello delle cipolle, che costano un tantino meno. Lo accetto per il senegalese che sta seduto per terra e che magari ti pesa il prodotto e ti fa così sotto alla stadera per guadagnare le mille lire in più, non te lo aspetteresti da una multinazionale come Nestlé. Queste cose non le dico io, le dice l’Autorità Garante per la concorrenza e per il mercato, Nestlé è stata condannata per questo a modificare il suo comportamento.

 

Questi sono gli obiettivi. Vediamo ora quali gli STRUMENTI che abbiamo a disposizione per cercare di indurre questi cambiamenti, per cercare di esercitare la pressione tampone.

 

Per quanto riguarda gli obiettivi 1. e 2. , è avvio che la pressione la dobbiamo fare nei confronti delle istituzioni. Ecco allora l’importanza dei famosi G8. Cioè non è che qui si sta organizzando la grande manifestazione nei confronti dei G8 perché siamo degli accalorati, siamo delle teste calde che se non hanno qualcuno da prendere di petto non sono contenti. No. È perché si sa che queste istituzioni poi adottano le scelte che sono state fatte dai governi più potenti del mondo. E i governi più potenti di questo mondo da una quindicina d’anni a questa parte hanno preso a riunirsi come se fossero il Rotari Club, i grandi della terra che si riuniscono e si dicono: suvvia, cosa si decide di fare per l’anno prossimo, come la indirizziamo l’economia del mondo l’anno prossimo, cosa decidiamo di fare nei confronti dei nuovi trattati da inserire nell’OMC, come affrontiamo il tema del debito, e magari anche dello Scudo Stellare e quindi come ci orientiamo nell’ambito delle politiche militari, …

È quindi un luogo dove si decidono le grandi politiche che devono essere adottate. E la cosa drammatica è che un tempo le grandi politiche si decidevano con i parlamenti e con la gente che ci stava dietro. Poi, se incontrava il consenso dei paesi esteri poteva andare bene, altrimenti, pazienza. Invece ora è il contrario: si decide là e poi si impone alla gente. È il rovescio del sistema democratico.

Ecco allora che è importante cominciare sollevare una voce forte nei confronti di questi governanti che compiono gesti illegittimi: non è quella la sede più appropriata per decidere le sorti del mondo, ma l’ONU, in cui risiedono tutti gli stati del mondo; prendono una serie di decisioni che sono funzionali ai forti e non funzionali ai deboli; pretendono di imporre le loro decisioni alla popolazione, anche se non è d’accordo.

A Genova è importante esserci, esserci tanti,esserci multicolore, cattolici, marxisti, di tutte le razze, di tutte le specie, tutti coloro che non condividono questa impostazione dell’economia ci devono essere, non bisogna lasciarla vuota la piazza, e bisogna esserci non soltanto per levare una grande voce nei confronti delle istituzioni, ma anche per cominciare a far riflettere la larga fascia di persone che purtroppo dorme, se ne sta incollata di fronte al televisore a vedersi i quiz, a vedersi e credere a tutte le cretinate che gli propongono.

E devo dirvi la verità, il fatto che i giornali, oramai da due mesi a questa parte, continuano a battere su questa storia (loro battono perché sono in cerca di notizie, insomma Seattle ha fatto colpo, nessuno se l’aspettava, tutte le iniziative che si portavano avanti nelle stanze buie, che avevano il sapore del tecnicismo, del giuridichese spinto, sono uscite allo scoperto e si è fatto capire che questo ha delle ricadute gravissime per la gente; e quindi la gente che si organizza è un fenomeno che ha spiazzato tutti, e ha attirato l’attenzione dei mass media; e dopo Seattle c’è stata Davos, e poi Porto Alegre, si stanno moltiplicando questi focolai) hanno deciso di concentrare i fari su questo avvenimento, e direi che ci fanno anche un certo servizio, perché fanno sì che la gente si interroghi. Però è importante che poi alla fine le notizie gliele diamo noi, non gliele diano i giornali, che appartengono ai soliti pochi che hanno interesse a far sì che di noi si parli, ma in maniera negativa per screditarci affinché poi il sistema possa andare avanti compatto.

Esserci quindi in piazza, ed esserci anche in un certo modo, in modo attirare la simpatia della gente e riuscire a creare una comunicazione. Quindi non c’è bisogno che dica a voi la necessità di esserci in maniera pacifica, con una grande fantasia per attirare l’attenzione e far capire cose ed evitare invece la tentazione dello scudo contro scudo come fanno le Tute Bianche.

Ricordiamoci però che quest’occasione è un appuntamento isolato. Acquisiamo la consapevolezza che la nostra opposizione non si deve limitare soltanto a questi momenti ecclatanti, ma deve continuare giorno per giorno. Io dico che la politica non può essere vissuta come un qualche cosa del dopo-lavoro. Deve permeare totalmente la nostra esistenza.

Quindi ricordiamoci che i centri in cui si assumono le decisioni sono tanti e lavorano costantemente e continuamente:governo, parlamento, UE, e grandi istituzioni.

Teniamo gli occhi aperti, tentiamo di individuare degli argomenti importanti e poniamo delle richieste a tutte queste istituzioni.

Noi per esempio abbiamo elaborato la campagna Acquisti Trasparenti, che si poneva l’obiettivo di ottenere dal parlamento una legge che per come era stata architettata, non ve la illustro, in qualche maniera induceva le imprese che esportano la produzione all’estero, a rispettare di più i diritti dei lavoratori indipendentemente dal luogo di approvo. Non ce l’abbiamo fatta perché purtroppo i politici sono tutti allineati e coperti in una certa concezione, compresi quelli di sinistra salvo poche eccezioni. Non c’è un partito, forse potrebbe salvarsi  Rifondazione Comunista, ma non sono stati messi alla prova, che veramente voglia di fare delle leggi che pongano delle regole alle imprese. E invece mai come oggi si è sentito il bisogno di mettere delle regole alla imprese.

Ricordiamoci che c’è questa dimensione politica che non dobbiamo assolutamente dimenticare, che ci impone di essere presenti e che si gestisce non soltanto attraverso lo strumento classico del voto, anche se è importante, ma che richiede una presenza costante, di rapporto e di pressione continua con esse, organizzando campagne, organizzando iniziative di lobbing, etc ...

 

Poi c’è tutto l’altro grande protagonista, che è quello delle imprese, dove immagino che voi ne sappiate molto di più, perché il nostro armamentario è più attrezzato, cioè stranamente riusciamo ad avere più strumenti per tentare di condizionare le imprese, di quanti non ne abbiamo per condizionare il mondo politico.

Questa è stata almeno la nostra esperienza nell’ambito delle nostre campagne, perchè nei confronti delle imprese abbiamo un rapporto più diretto e abbiamo la possibilità di fargli sentire il danno immediatamente. La struttura politica ragiona, quando va bene, per criteri elettorali. Con i criteri elettorali pescano su un grande bacino, per cui prima di capire che la proposta che gli fai tu può compromettergli un certo numero di voti, ce ne vuole.

Mentre nei confronti delle imprese per il fatto che noi compriamo da loro e che le nostre decisioni di acquisto si ripercuotono immediatamente sulle loro vendite e sui loro profitti, questo le fa scattare immediatamente e ci rende più potenti che non nei confronti dei politici.

Il boicottaggio: sospensione degli acquisti in maniera organizzata (Nestlè, Shell …). Un boicottaggio serio richiede un grande sforzo organizzativo, perché non punta soltanto a far sì che diminuiscano le vendite di un’impresa, punta a far sì che si crei una sorta di isolamento totale nei confronti di quell’impresa: quindi far sì che senta di non essere più gradita dal mondo bancario, politico, i propri azionisti, senta che li ha tutti contro.

Consumo critico: ha un livello di attuazione più individuale e nel lungo periodo riesce sicuramente a far sentire il proprio effetto se diventa un fatto di massa. È più un atteggiamento culturale che mira a far sì che i consumatori comincino ad avere questo nuovo approccio al consumo, piuttosto che porsi come obiettivo quello di danneggiare l’azienda.

Abbiamo visto che da quando si parla di consumo critico, le aziende ci vanno più attente a non farsi cogliere con  le mani nel sacco, rispetto a certe trasgressioni.

Campagne di Denuncia: in via teorica non chiedono ai consumatori di smettere di comprare un prodotto o di comprare dall’azienda, ma si basano soltanto sulla denuncia pubblica del misfatto, e con la richiesta alla gente, consumatori e non, di inviare un messaggio di disapprovazione all’impresa. Noi abbiamo avuto la dimostrazione che le imprese sono così sensibili alla difesa della propria immagine, che a volte bastano 10000 cartoline per indurle a cambiare comportamento. Noi abbiamo vinto la  campagna nei confronti della Chicco-Artsana. E quando dico noi non intendo il CNMS, che conta tre gatti messi in croce, ma intendo tutta la quantità di persone che hanno aderito alla campagna, perché la forza delle campagne sta nella gente, sta nei gruppi che adottano e propongono la campagna al proprio ambiente. Abbiamo avuto la dimostrazione che una campagna di denuncia che riesca a far giungere un certo numero di messaggi,e che poi riesce ad avere una certa visibilità sui giornali, riesce in qualche modo a far parlare di sé in televisione, e magari riesce ad aggiungere qualche l’altro trucchetto ancora, come è successo nel caso della Del Monte, le imprese capitolano e accettano le richieste che hanno fatto i consumatori, i cittadini.

         La coscientizzazione della gente è un passaggio  obbligato perché il tutto          possa avere una riuscita. Per cui quando si organizzano delle campagne, anche          se finiscono in un nulla di fatto, hanno comunque avuto il risultato di aver fatto          emergere un problema e di aver creato le premesse per cui poi possano essere          fatte altre cose.

 

Quello della riprogettazione dell’economia è un tema che a me sta particolarmente a cuore, perché possiamo continuare a mettere tutte le toppe che vogliamo, però il sistema continua a viaggiare per conto suo. È un sistema che invece di fare 100 mila morti, magari ne fa 20 mila, ma continua ad essere una macchina di morte, una macchina di latrocinio. Se vogliamo risolvere i problemi e disinnescare definitivamente queste due bombe, dobbiamo cominciare a ragionare su come organizziamo un’altra economia che in tutto il mondo sia organizzata per servire la gente e non i mercanti.

      Quando si pensa alla progettazione di una nuova economia, bisogna avere le idee molto chiare su ciò che è obiettivo, su ciò che è condizione, su ciò che è strumento.

      Ed è importante capire la differenza, avere questa chiarezza, perché oggi il sistema nel quale viviamo, fa una confusione continua e il mercato, che di per sé è uno strumento, ci viene proposto come un fine in sé, è diventato un dogma di fede, non si può prendere decisioni che facciano a meno dell’utilizzo di questo strumento. E quando gli strumenti si trasformano in fini, si trasformano in idoli, in dei, e davvero entriamo in un campo molto pericoloso che è quello dell’idolatria, e noi siamo in un sistema idolatrico.

Ricordandovi che quando parliamo di riprogettazione dell’economia, voi non dovete pensare che il compito tocchi agli economisti. Se voi avete l’idea che l’economia sia al pari della medicina, per cui la medicina è una scienza dove ci vogliono troppe conoscenze, poi alla fine hai bisogno del medico perché ti curi (io ho dei dubbi anche rispetto a questo: secondo me bisogna avere sufficiente conoscenza per dialogare alla pari col medico; io ti chiedo consiglio, te mi dai le informazioni, poi decido io se mi curo o non mi curo, se accetto di morire o se accetto di amputarmi; quindi bisognerebbe elevare il nostro grado di conoscenza per poter dialogare con qualsiasi professionista) ma nell’ambito dell’economia non ci sono professionisti, perché se si accetta l’idea che debba esistere l’economista di professione, di fatto si abdica alla democrazia perché tutto ciò che riguarda l’economia poi si ripercuote nella nostra vita.

A seconda di come è organizzata l’economia, noi avremo o non avremo un lavoro, potremo o non ci potremo curare, la nostra qualità di vita cambia, il nostro ambiente cambia, per cui l’economia è l’essenza della partecipazione, non si può assolutamente delegare l’economia agli economisti. Se avete questa tentazione, levatevela subito di dosso come una grandissima tentazione di cui confessarsi (ai preti qui presenti in sala, la prossima volta chiedete se c’è la tentazione). Sono veramente serio, non si può delegare a qualcun altro la riprogettazione dell’economia.

1. Da un punto di vista degli obiettivi, io penso che l’obiettivo debba essere molto semplice: riuscire a consentire a tutti, e quando dico tutti intendo dire non soltanto chi è nato qui nella nostra parte di mondo , ma anche chi è nato in Malawi o in Tanzania o in tutti quei Paesi del cosiddetto Quarto mondo,di vivere dignitosamente. Sapendo che dobbiamo essere capaci di adattare gli strumenti, cercando di volta in volta quello più adatto all’obiettivo specifico che dobbiamo realizzare, perché al di là di questo obiettivo generale ci sono tutta una serie di sotto obiettivi più particolari.

Intanto però accettiamo che si deve riformulare l’obiettivo generale dell’economia, perché se voi interrogate un economista del sistema, se è onesto (se è disonesto vi dirà anche lui che l’obiettivo del sistema è quello di garantire il benessere a tutti: i fatti dimostrano il contrario) se è onesto vi dirà che l’obiettivo del sistema è garantire il profitto alle imprese.

Quindi qui capovolgiamo completamente le cose: mettiamo la gente al centro dell’attenzione e diciamo che il tutto deve essere organizzato per servire la gente.

2. Quale condizione deve essere rispettata?

 Secondo me devono essere rispettate due condizioni di fondo:

ü     la condizione di sostenibilità, che vuol dire:

-         organizzare la produzione in modo da non intaccare, da non compromettere i meccanismi naturali (noi ad esempio abbiamo organizzato una macchina industriale così grossa che si basa sui combustibili fossili, cioè carbone metallo e petrolio, e abbiamo organizzato una macchina dei consumi basata su quei combustibili così grossa, che stiamo producendo una quantità di anidride carbonica e di altri gas, cosiddetti gas-terra, che stanno facendo modificare il clima. Noi non viviamo in un sistema sostenibile, perché abbiamo già cominciato ad intaccare le capacità di digeribilità, di tolleranza del pianeta rispetto agli inquinanti).

-         fare in modo che la nostra organizzazione produttiva non comprometta la possibilità per le generazioni future di trovare un ambiente accogliente che consenta anche a loro di poter soddisfare i loro bisogni.

Qui l’attenzione rimane da una parte sui grandi meccanismi naturali, perché se noi oggi modifichiamo il clima, facciamo sì che le calotte polari si liquefacciano, che la pianura Padana venga allagata, ci sta che i posteri di domani si trovano delle alluvioni che non finiscono più, e questo non gli rende un gran servizio.

Ci sta che l’agricoltura si scombini in una maniera terribile, perché laddove c’erano le piogge equatoriali non ci saranno più, invece si portano nelle regioni temperate, come cominciavamo ad avvertire noi. L’agricoltura risente del clima.

Ma l’attenzione poi pensando alle generazioni future, si concentra anche alle      risorse.

Questo sistema ha sempre puntato alla crescita dando per scontato che le risorse fossero infinite, e ogniqualvolta qualcuno si è alzato in piedi per dire “ma, forse quella tal risorsa può essere un tantino scarsina, e se continuiamo ad utilizzarla a questo ritmo può darsi che non ne lasciamo abbastanza per chi verrà dopo”, ha sempre dato la solita risposta: “La tecnologia risolverà il problema”. Per cui è stato adottato non un comportamento scientifico, ma un comportamento religioso, tipico della fede: io non vedo, ma nonostante non possa provarlo, faccio questo atto di fede che la tecnologia risolverà. È veramente incredibile che, mentre noi siamo un sistema che affonda le sue radici nell’illuminismo, per cui ciò che non toccavi non esisteva e non poteva essere adottato, pur di mantenere in piedi questo sistema si fanno anche gesti di fede, com’è quello rispetto alla tecnologia.

Per cui tanto per fare un esempio,  tutti sono d’accordo che noi siamo alla conclusione dell’era del petrolio, e noi stiamo esaurendo una risorsa preziosissima, e lo dico io che mi batto contro il consumismo. Non serve il petrolio solo per andare a fare la gita la domenica, ma anche per esempio, per produrre energia elettrica, che ha risolto tanti problemini. Serve anche per evitare le fatiche nei campi. Per cui noi non possiamo sperperare in due secoli una risorsa che la madre Terra ci ha messo a disposizione nel giro di milioni di anni. Siamo veramente una generazione rapinatrice, avida, che non si preoccupa neanche dei propri figli.

ü     Il secondo concetto è quello della partecipazione. Secondo me non si può organizzare nessun tipo di sistema economico che prescinde da questa idea che tutti debbano essere parte integrante del sistema e tutti debbano avere la possibilità di prendere le decisioni almeno rispetto alle cose più grosse che riguardano il sistema: cosa produrre, quali materie prime utilizzare, quanta energia utilizzare, cosa consumare, come consumarlo, deve essere una decisione che dobbiamo prendere tutti. Non la può prendere soltanto chi ha i capitali in banca, e una mattina si alza e dice: sai, voglio tentare di convincere la gente a comprare il lecca lecca; e mi mette su l’azienda di lecca lecca, salvo magari smantellarmela due anni dopo perché si è accorto che non va più,oppure perché è venuto un altro che mi ha inventato il confettino, oppure perché decido di andarmene da un’altra parte dove costa meno.

Quindi dobbiamo essere noi che prendiamo tutti insieme le decisioni.

 

3. Veniamo quindi nell’ambito degli strumenti, e qui il discorso si fa un po’ più complicato perché i grandi strumenti che noi conosciamo sono due:

-     il mercato

-         la solidarietà collettiva.

La cosa buffa è che benché si tratti in definitiva soltanto di strumenti, in realtà rispecchiano una diversa concezione filosofica per cui alla fine hanno assunto addirittura la connotazione di bandiera ideologica.

ü      Chi difende il mercato, in definitiva ha una visione individualista della vita, concepisce le persone come persone sole, in corsa contro tutti per tentare di arricchirsi, ma sono soli anche di fronte al loro bisogno. Per cui questo sistema dice: il bisogno si soddisfa solo nell’ambito del mercato, il quale garantisce tutto, non ci sono problemi, ma solo a chi ha soldi.

Bisogna avere le idee molto chiare per quanto riguarda il mercato.

Chi sono i perdenti nella concezione del mercato: molto semplice, i deboli, tutti quelli che    non riescono a stare in corsa, e i poveri, tutti quelli che per una ragione qualsiasi sono stati buttati fuori. Gli uni perdono nell’ambito della produzione, gli altri perdono nell’ambito del consumo.

ü      Chi invece propende per l’idea della solidarietà collettiva, ha una visione altruista della vita, cioè concepisce gli essere umani come membri di un unico tessuto sociale che si tengano per mano per ricostruire una ricchezza che deve essere usata per soddisfare i bisogni di tutti.

Qualcuno questa la chiama concezione collettivista, qualcuno la chiama più semplicemente concezione cristiana. Io chiedo, rispetto a questa concezione, perché il cristianesimo non la potrebbe sottoscrivere. Penso che non si dovrebbe esitare. E invece quante le resistenze che si fa rispetto a questa concezione, semplicemente perché il primo che l’ha inventata era Marx, che ha avuto la malaugurata idea di inserire questa concezione sociale in un contesto filosofico che si è inimicato la Chiesa (materialismo, concezione della vita). Questa è una colpa grave di Marx, però è ora che la Chiesa si scrolli di dosso questi steccati di carattere ideologico, cominci a rendersi conto che l’unico sistema che oggi abbiamo davanti è un sistema capitalista, che funziona su dei principi che secondo me sono principi anticristiani.

Bisogna avere il coraggio di fare una proposta nuova, che sappia finalmente, fuori dagli ideologismi, dare delle risposte alla gente.

In definitiva mi sembra che la solidarietà collettiva sia l’unica difesa che noi possiamo mettere in piedi nei confronti dei poveri.

Dobbiamo fare un grande sforzo per tentare di dare cittadinanza a questo genere di impostazione economica, e per tentare di far sì che diventi il pensiero dominante. Oggi il pensiero dominante è il mercato, si sta imponendo a tutti i livelli, perché questa idea di essere soli e di essere tutti in competizione, fa sì che tutta la società in tutti i suoi ambiti si modelli secondo questa logica.

Non è soltanto una concezione economica, diventa inevitabilmente una concezione sociale. Oltre ad avere tutti i danni che ha, perché il governo si struttura in un una certa maniera, ci si disfa di una serie di servizi pubblici.

Oggi siamo in questa ottica, la parola d’ordine è privatizzare, la parola d’ordine è privare il pubblico delle sue funzioni classiche, far sì che la gente sia veramente sola davanti ai suoi problemi. Il massimo che si può fare è un pochina di carità. Però non si mette in discussione come si fa la ricchezza, e se la ricchezza è fatta in una maniera tale da sfruttare la gente e da ridurla in povertà, questo non si mette in discussione.

A conti fatti, se poi c’è il povero assoluto che è nella miseria estrema, ok, bontà mia, gli farò un pochina di carità, gli garantirò un ospedale di quarta categoria, gli garantirò una scuola di quarta categoria, gli garantirò un treno di terza classe, naturalmente però chi ha soldi si arrangia con il mercato, ed è questo che va potenziato.

Ed è questa la logica, la logica del forte contro il debole.

Bisogna avere le idee chiare rispetto a questo, sapendo che pur dovendo far trionfare la logica della solidarietà collettiva, questo non significa che annulleremo totalmente il mercato, ma che avremo la capacità di conciliare il tutto con la condizione che dicevo prima della partecipazione, e quindi sono convinto che per molti ambiti dovremo garantire le cose in maniera collettiva, comunitaria.

Garantire le cose in maniera collettiva, non vuol dire ritornare al capitalismo di stato, che è una fase che per fortuna abbiamo superato, anche perché le radici del capitalismo di stato, che si facevano passare per i regimi socialisti, erano le stesse radici di tipo produttivista, tipiche del capitalismo. Per cui abbiamo visto quando si sono aperte le frontiere in Russia, che hanno fatto dei disastri ambientali spaventosi: la famosa centrale di Cernobyl che era costruita in maniera assolutamente insicura, la Russia che puntava al pari degli USA alla corsa agli armamenti, e c’è stata tutta una fase, che forse voi non ricorderete perché siete giovani,in cui era avanti rispetto agli USA nella corsa alla conquista dello spazio (Il primo satellite l’hanno buttato i Russi).

Per cui quando parlo di riportare la produzione e i servizi in mano alla comunità, immagino una situazione dove la partecipazione, la decisione, sia portata il più vicino possibile alla gente, per cui dobbiamo riscoprire delle forme di organizzazione che oltre a favorire il locale, e questo è fondamentale nell’ottica della sostenibilità, poi riesce a far sì che si abbiano degli ambiti di decisione che favoriscano il più possibile la partecipazione di tutti.

Quindi immagino le piccole strutture, bisogna riuscire a privilegiare il più possibile il livello locale, poi è ovvio che ci saranno delle cose che andranno assunte a livello nazionale o addirittura a livello planetario.

Ecco, dobbiamo essere capaci di fare una scelta di campo, per cui la partecipazione, che è fondamentale, privilegiamo sempre la piccola dimensione, io la vedo una strada obbligata.

Per cui come deve essere organizzata questa società che si pone questi obiettivi, che rispetta queste condizioni: non lo sappiamo, e meno male non lo sappiamo. Voglio dire: guai se avessimo la pretesa di scrivere tutti i dettagli a tavolino. Rifaremmo di nuovo dei sistemi dittatoriali, perché tutto ciò che si pensa, dobbiamo avere la capacità di sperimentarlo, e avere la capacità di dire: “questo è andato giusto, questo è andato sbagliato”; e siccome questo è andato sbagliato lo cambiamo”.

I drammi sono quando io ho preso la decisione e anche quando mi rendo conto che ho sbagliato, te la impongo lo stesso, perché così sta scritto, perché questo fa comodo alla mia struttura di potere, di destra o di sinistra che sia, laica o religiosa che sia, perché hanno fatto tutto uguale.

Invece bisogna avere la capacità opposta, di dire: ok, confrontiamoci con l’obiettivo, verifichiamoci cammin facendo, e volta a volta cambiamo se le cose non sono andate nel verso giusto.

Quindi nessuno di noi ha in tasca la ricetta. Per cui mi fanno ridere quando chiedono: ma voi che sistema alternativo proponete?,  e vorrebbero che gli dicessimo in quattro e quattrotto, ecco questo è il puzzle, di 2500 pezzi, te l’ho raccontato.

Ma neanche loro fanno così, perché si accontentano di dire “economia di mercato”. Punto. E siccome sappiamo bene che cos’è, risolve tutto. Noi forse potremmo cominciare a dire: vogliamo il sistema di solidarietà collettiva. Non lo so, potremmo cominciare a lanciarlo come slogan. E cominceranno tutti a chiedere: ma che è, come funziona, perché è una cosa nuova e vorrebbero che tu gli dicessi in tre parole tutti i dettagli. E questo naturalmente non è possibile.

Quindi parlando di strumenti, dico che il fatto di privilegiare il collettivo, questo non significa che eliminiamo il mercato; dobbiamo procedere per obiettivi.

Quindi io sono convinto che nell’ambito dei bisogni fondamentali dovrà essere sicuramente la dimensione collettiva a soddisfare questa sfera, ma posso ammettere che ci siano anche desideri, purché non mi comprometta la sostenibilità, purché non mi arrivi a certi stadi di sfruttamento, purché mi si rispetti una serie di regole, posso anche accettare che ci sia il mercato che fa funzionare le cose.

Per cui se vogliamo dire come io immagino la società, immagino una società plurale, dove abbiamo contemporaneamente una presenza nel pubblico, tutti quanti, con la partecipazione diretta della gente, io ne sono convinto, non solo con le tasse, e che si accontenta di ciò che riceve dal pubblico, che deve garantire i bisogni fondamentali, che vanno dal cibo al vestiario all’alloggio alla sanità all’istruzione alle comunicazioni, direi almeno questi sei ambiti.

Poi, se ci si accontenta di questo, si può passare più tempo in giro col figliolo, con la fidanzata, o a farsi le passeggiate o ad ascoltare il canto degli usignoli, e chi invece vuole avere di più perché ci sono dei desideri che non ha soddisfatto, metterà su da solo o con altri la propria attività produttiva, la venderà, …

Io la immagino così, facendo una distinzione molto chiara tra una cosa e l’altra, una cosa che mi intacca i diritti fondamentali non posso assolutamente metterla in mano al mercato, per il resto nessun problema.

La cosa non è così semplice, ma bisogna entrare nella logica che gli strumenti vanno adattati alle esigenze , gli strumenti sono delle chiavi: se io penso di usare la stessa chiave per aprire tutte le serrature, è chiaro che faccio dei danni, perché alla fine devo forzare la serratura.

 E oggi sta succedendo veramente così, l’unica chiave è il mercato e si forzano un sacco di serrature, ma se io dico che a seconda della porta che devo aprire e della serratura che c’è, uso una chiave diversa, benissimo, studiamolo ogni volta.

Mi avvio alla conclusione perché siete stanchi.

Vi ho detto prima che ci sono vari livelli: locale, nazionale, regionale,  e anche planetario.

Per cui non immagino di lottare contro queste istituzioni per annientarle e sostituirle con niente.

Noi avremo comunque bisogno di relazioni internazionali. Io penso però che anche qui bisogna iniziare a porre dei valori diversi, a dire quali sono i nostri obiettivi che vogliamo perseguire come umanità.

Oggi questo sistema ci dice: l’obiettivo è espandere il commercio, costruiamo tutto per raggiungere questa finalità. Io dubito fortemente che questo interesse, che sicuramente è valido per la Mc Donald’s, Philips Morris, Nestlé, sia valido anche per me.

Anzi, ho una serie di ragioni che mi fanno ritenere il contrario.

Dobbiamo cominciare a dirci quali sono gli obiettivi che vogliamo salvaguardarci come umanità, e mi verrebbe fatto di dire che il primo obiettivo che dobbiamo salvaguardare come umanità è la difesa dei beni comuni.

Noi lo abbiamo sempre dimenticato, perché siamo invasi dalla tecnologia e dal produttivismo, e pensiamo che per vivere quello che conta sia l’automobile, il frigorifero, la casa, i vestiti, ma la prima cosa che serve per vivere ragazzi, è l’aria.

Noi ci dimentichiamo sempre che se abbiamo l’aria che non è respirabile, non c’è bene di sorta che tenga, noi crepiamo.

Se non abbiamo l’acqua, noi crepiamo.

Se non abbiamo le foreste che ci consentono di produrre l’ossigeno, noi crepiamo.

Per cui noi dobbiamo cominciare a dire che il patto che dobbiamo stringere come umanità, è la salvaguardia dei beni comuni, perché cominciamo a renderci conto che questi sono seriamente compromessi.

Si stima che le prossime guerre si faranno per l’acqua. Ci saranno regioni intere che non avranno acqua da poter bere. Anche qui a noi non si sa bene che cosa succederà. Io vivo in una zona a Lucca, dove le cartiere hanno bisogno di una quantità di acqua infinita, pompano acqua dal sottosuolo non so a quanti milioni di hl al giorno. Nessuno sa i disastri che si possono creare sotto perché si creano i vuoti. Si leva, si leva… ma di qui a qualche tempo ci sta che a forza di levare, le piogge non siano sufficienti per integrare le falde acquifere. Quindi può darsi che un bel giorno troviamo le sorgenti secche e che facciamo?

Quindi dobbiamo cominciare a prendere questa consapevolezza, che noi apparteniamo al regno naturale, e che se spogliamo questo regno naturale, la nostra vita rischia di compromettersi.

Per cui questa è la prima consapevolezza che dobbiamo prendere. E se c’è un trattato che a mio avviso dobbiamo fare è quello per la salvaguardia dei beni comuni. E se facciamo questo trattato, cominceremmo a farne dedurre anche tutta una serie di ripercussioni in ambito commerciale.

Per esempio se arriviamo alla conclusione che il petrolio è una risorsa scarsa, che dobbiamo usare con estrema parsimonia, io sfido chiunque a capire se davvero dobbiamo insistere sull’idea di ampliare il commercio internazionale, perché per far viaggiare le merci, ci vogliono le navi, ci vogliono gli aerei, ci vuole cherosene, ci vuole nafta, ci vuole petrolio, petrolio che si estrae dalla terra e gas che si buttano per l’aria.

Per cui il commercio internazionale di per sé entra in contrasto con questa logica, e forse allora dovrò privilegiare di più la dimensione locale. Quindi dovrò tornare ad un nuovo localismo, dove io proteggo anche, induco la gente a consumare locale, e quindi creo una serie di strumenti economici per favorire questo tipo di consumo e di produzione.

Quindi sicuramente vanno riviste le cose a livello planetario, con nuove norme, con nuovi trattati, trattati sui beni comuni, sui diritti fondamentali, sulla protezione della biodiversità, che abbiano al loro interno delle clausole commerciali.

Oggi si fa il contrario: si fa il trattato sul commercio con delle clausole ambientali, o sociali. No, deve essere rovesciata la frittata. Quella è la loro visione. La nostra visione è un’altra.

Quindi si deve capire che dobbiamo cambiare i trattati a livello mondiale, e che dobbiamo fare questo sforzo di immaginazione di come dobbiamo riorganizzare la società a livello nazionale, sapendo che noi abbiamo un problema in più, ve lo lancio là come messaggio e poi mi fermo, abbiamo accumulato troppo, abbiamo accumulato una quantità di ricchezze che le nazioni povere non si possono permettere e quindi dobbiamo cominciare ad entrare nell’ordine delle idee della sazietà.

Noi dobbiamo cominciare ad accontentarci di quanto abbiamo accumulato, dobbiamo cominciare a pensare di disfarci di qualche cosa, dobbiamo cominciare a costruire una società che non sia più la società della crescita, ma la società del limite, la società della sobrietà.

 

Allora che cosa possiamo fare per spingere il sistema in questa direzione?

Sostanzialmente tre cose.

1) Innanzitutto tentiamo di mettere in atto tutti i tentativi possibili per una propria conversione personale (dobbiamo fare una rivoluzione così profonda dell’ economia, che alla fine questo sarà possibile solo se le rivoluzioni partono da noi) verso la sobrietà, sapendo che la conversione passa anche attraverso la sperimentazione (quindi questa idea che lanciano i Bilanci di Giustizia “sperimentiamo la sobrietà” è fondamentale non soltanto perché abbiamo capito che non c’è abbastanza per far consumare tutti e quindi rinunciando cominciamo a dare delle prospettive di vita agli altri, ma proprio perché la società del futuro dovrà essere una società sobria e quindi dobbiamo fare questo salto di mentalità passando da una mentalità consumista a una mentalità della sobrietà)

 

2) Tentiamo contemporaneamente di mettere in atto tutta una serie di iniziative economiche di segno opposto, che da subito dimostrino come sia possibile organizzare un’economia, o almeno dei frammenti di economia alternativa. Quindi tutti i gesti che io definisco di desistenza: il commercio equo e solidale, la finanza etica, le reti di economia locale. Sarebbe illusorio pensare che questi siano l’economia alternativa. Sono frammenti di economia alternativa, che però ci danno il senso della possibilità di realizzare le cose, e ci fanno intravedere almeno degli sprazzi di quelli che possono essere dei modi di organizzare la società domani.

 

     3) Infine tentiamo di fare quanto più possibile attività di sensibilizzazione nei       confronti del territorio in cui stiamo cominciando a lanciare questi messaggi. E       cominciamo a fare seriamente un lavoro di progettazione dell’economia          
      alternativa. L’economia alternativa non viene da sola, dobbiamo cominciare a       metterci la testa. Acquisiamo la consapevolezza che ci sono tutti questi vincoli,       che noi abbiamo un problema in più, passare dall’economia di espansione ad 
      un’economia sobria, che questo richiederà una serie di cambiamenti a livello di       pubblico a livello di privato e di organizzazione della società, e che dobbiamo       cominciare a discutere di queste cose, possibilmente creandoci un movimento       attorno.

 

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