Intervento di p. Giulio Albanese

 Imola, 23 giugno 2000

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a cura di Filippo

Testo registrato durante il Convegno "Internet: creando reti di solidarietà missionaria", tenutosi ad Imola dal 22 al 24 giugno 2000

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Contenuti:

.Introduzione

Come è nata l'avventura della Misna

MISNA e missione: la globalizzazione

Una vera e propria rivoluzione copernicana

Internet e l’informazione

"Parliamo dell’informazione giornalistica..."

Pollicino e le Grandi Signore: la MISNA e le agenzie di stampa internazionali

Il contributo e la particolarità della MISNA

La testimonianza e il Sogno di p. Raffaele di Bari

 p Giulio Albanese,missionario Comboniano, direttore della MISNA (Missionary Service News Agency) www.misna.org

 

Per maggiori informazioni visita lo speciale Misna nel nostro  sito

 

leggi l'articolo di p.Giulio "Con troppa leggerezza si parla di guerra"

 

 

 

Io vi chiedo scusa se sono un po’assonnato, ma stanotte ci è arrivata in agenzia l’ennesima emergenza: hanno ammazzato un missionario in Jamaica; tra l’altro era un mio compagno di classe, era del ’59…Un missionario canadese,  fatto fuori pare da un gruppo di latifondisti, insomma… gente pagata da questi latifondisti perché questo missionario portava avanti la politica della redistribuzione della terra. E questa è una di quelle tante notizie che ci arrivano in redazione, tutti i giorni. Spesso, è triste dirlo, si tratta di notizie cruente, però la verità e che quello che succede, che accade nel sud del mondo è spesso messo da parte, finisce nel dimenticatoio. E quello che tentiamo di fare come agenzia, come agenzia MISNA è proprio quello di dare voce ai senza voce, cercare in altre parole di rilanciare tutte queste realtà che spesso vengono ignorate dai grandi media.
Ora voi direte che cosa c’entra…avete mai sentito parlare dell’agenzia? Si chiama MISNA, (Missionary Service News Agency
) ed è una iniziativa editoriale nata in Italia grazie al coinvolgimento delle congregazioni missionarie italiane. È nata nel dicembre 1997.
Era un sogno nel cassetto, perché già nel settembre del 1990, in occasione del primo congresso missionario italiano dopo il Concilio, fu lanciata l’idea, la proposta di realizzare una agenzia
Per quale motivo? Perché purtroppo l’informazione dal Sud del mondo è molto scarsa e peraltro spesso scadente e i missionari erano convinti e sono convinti che proprio perché spesso testimoni diretti, in queste periferie del mondo, di quello che succede, della quotidianità di questi paesi hanno qualche cosa da dire, vogliono dire la loro. E non solo i missionari, ma anche la società civile: quindi pensate gruppi di laici, associazioni, movimenti schierati in difesa dei diritti umani o per la promozione umana.

Soltanto che il problema era che realizzare una agenzia costava… perché il contratto giornalistico costa davvero una barca di quattrini, una cosa spaventosa per un editore, non solo il salario in quanto tale, ma soprattutto i contributi… ma poi per il fatto che, tecnologicamente, riuscire a realizzare con un terminale una agenzia significa davvero spendere molti, molti soldi. E allora le congregazioni missionarie, per quanto desiderassero realizzare questa agenzia, di fatto non se la sentivano di investire, perché i rischi che poi diventasse una palla al piede e si fosse costretti a chiudere…beh i rischi erano reali.

Poi cosa è successo… per strane circostanze della vita io mi sono trovato a lavorare per qualche mese negli Stati Uniti, in CNN, ad Atlanta, a CNN International. E lì ebbi modo di conoscere Hissen Jordan, allora vice-presidente di CNN International, il quale mi fece una proposta. Mi disse: “dato che ogni volta che c’è qualche notizia, su Royters, France Press, Associated Press, che riguarda l’Africa, il Sud del mondo in generale, la prima cosa che tu fai è di chiamare i missionari direttamente sul posto, disponendo degli annuari, degli indirizzi, dei numeri telefonici, dei numeri di satellitare, perché non realizzi una agenzia in Internet?” Io inizialmente trovai questo suggerimento interessante, però difficile da realizzare perché ancora una volta mancavano i soldi. Comunque cercai di fare tesoro di questo suggerimento, di questo spunto.

Quando rientrai in Italia chiesi ai miei superiori, alla conferenza degli istituti missionari italiani, se era possibile tentare utilizzando un mezzo alternativo quale appunto internet, la rete digitale. Devo dire che loro hanno approvato l’idea, direi subito, senza grande esitazione, però ricordo che inizialmente mi avevano detto: “ti diamo trenta milioni”. E con trenta milioni uno non è che potesse far molto: acquisti un computer, uno scanner, poi cerchi di fare un abbonamento telefonico con una linea digitale ISDN, bi-canale, mono-numerica…però poi non puoi far tanto. E poi se avanza qualche soldino vedi se puoi pagare qualche part-time.

La verità è che la MISNA è iniziate con un computer, una linea telefonica mono-numerica, bi-canale, digitale e due part-time, uno in lingua inglese e uno in lingua francese. E devo dire che in tre anni e mezzo circa di attività (in dicembre saranno quattro anni) di strada ne abbiamo fatta parecchia. Come dice un personaggio che voi avete sentito citare tante volte, Bill Gates, “il tempo di internet è molto diverso da quello solare”. Un anno internet corrisponde più o meno a tre mesi solari, ed è più o meno quello che noi abbiamo sperimentato: in sostanza, in tre anni e mezzo di attività abbiamo fatto più o meno la strada che avevamo preventivato di fare in un lasso di tempo di gran lunga superiore…almeno dieci anni. Questo perché effettivamente la rete va alla velocità della luce, nonostante quello che si dica, e riesce in maniera imprevedibile a creare delle sinergie che prima erano impensabili. Peraltro ad un costo alquanto ridotto, perché considerate che comunque il budget della MISNA, nell’anno 1999-2000 è stato di circa 380-390 milioni, una cifra davvero irrisoria rispetto a tante altre testate, non fosse altro che noi non dobbiamo stampare nulla e perché non abbiamo spese di spedizione, perché l’agenzia è in rete in tempo reale.

Viene spontaneo chiedersi: questo discorso dell’agenzia che cosa c’entra con la missione? E io credo qui sia importante aprire una parentesi, innanzitutto chiarirsi sui concetti, sui termini. C’è una parola che oggi è molto usata, mi riferisco al termine “globalizzazione”. Voi l’avete sentito sicuramente tante volte: se io vi chiedessi una definizione di “globalizzazione”, voi cosa direste? È interessante: adesso c’è questo grande summit dei G8 a Genova, i giornalisti n?e parlano dalla mattina alla sera, molti scrivono un mare magnum di fesserie, sono perfettamente d’accordo, però la verità è che non si hanno veramente le idee chiare sul concetto di “globalizzazione”. Che cosa è la “globalizzazione”? .è una roba negativa? È una roba positiva? È una roba neutra? Io credo sia importante intendersi sui termini, perché altrimenti uno rischia poi di confondere la idee… Io non so se avete visto un programma, che sta andando in onda su RaiUno, “TG - Village”, vi è capitato di vederlo? Siccome quei programmi che più o meno potrebbero essere educativi si ritiene non abbiano odiens (questa è una delle tante balle di chi dirige le nostre emittenti radiofoniche e televisive), la Rai ha pensato bene di mandarlo in onda dopo mezzanotte (prima lo faceva al sabato sera ora credo alla domenica)…in questo “TG – Village” cercano di spiegare il concetto di globalizzazione in sei puntate. Però la verità è che gli stessi giornalisti che curano il programma fanno una fatica cane a spiegare che cosa sia la globalizzazione, perché non si hanno assolutamente le idee chiare. Anche perché poi oggi gli esperti di comunicazione ritengono che il concetto di globalizzazione in senso stretto sia già superato. Noi qui cioè continuiamo a parlare di globalizzazione, e la globalizzazione vera e propria, quella di McLuan è già preistoria.

Il concetto di globalizzazione nasce con questo signore, McLuan, che è uno dei grandi maestri della comunicazione; e tutto quello che lui ha insegnato si è poi realizzato in quella emittente televisiva che è la CNN, che ebbe il suo momento di apice e di successo tra la fine degli anni ottanta e l’inizio degli anni novanta con la guerra del Golfo. Questo perché attraverso il broadcast, attraverso la trasmissione satellitare in tempo reale, bastava avere una parabola, quelle immagini che venivano sparate da Bagdad, venivano poi riprese in tempo reale ovunque nel mondo. E questo ha fatto sì che questo concetto di villaggio globale si realizzasse davvero, dal punto di vista teorico, perché poi la pratica è ben diversa.

Io ricordo che ero in Sud-Sudan, in un campo di World Vision, una ONG statunitense, in una zona sperduta, dove non ci sono infrastrutture, non ci sono telefoni, non ci sono linee elettriche…però in questo campo di World Vision c’erano dei signori che avevano una parabola e loro, nella regione del Baracasal, in piena stagione delle pioggie, si vedevano tranquillamente la CNN. E questo ha fatto si che alcuni signori dicessero che davvero la globalizzazione, la trasmissione in tempo reale di quelle immagini, di quei messaggi aveva unificato il mondo, l’aveva preso, ingabbiato in una grande rete.

Questa purtroppo è una della grandi fesserie che viene propinata dai media. Perché per quanto il concetto di globalizzazione, da un punto di vista teoretico sia applicabile, purtroppo viviamo in un mondo che è diviso, tra Nord e Sud. E se il divario tra Nord e Sud va inteso innanzitutto e soprattutto come divario economico, non possiamo dimenticare che questo divario riguarda anche il settore delle tecnologie e soprattutto l’ambito della comunicazione. Quindi la verità è che c’è un abisso che separa il Nord dal Sud, non solo per il regime economico, ma soprattutto per la comunicazione e l’informazione.

E che cosa c’entra questo discorso del Villaggio Globale con l’economia? Il concetto di globalizzazione nasce nell’ambito della comunicazione e poi immediatamente si trasferisce all’economia. Perché oggi i soldi, i “flussi di capitale”, vengono trasmessi, inviati da una parte all’altra del pianeta proprio attraverso la rete digitale. Questo significa che paradossalmente, per quanto si viva in un mondo - villaggio globale, dove siamo tutti fratelli e apparteniamo tutti alla stessa grande fraternità umana, la verità poi è che ci sono alcuni che hanno accesso a questi soldini e altri invece che rimangono con un pugno di mosche in mano. E questa è la tragedia.

Ma non solo… internet ha rappresentato una vera e propria rivoluzione copernicana, cioè internet ha determinato il superamento del concetto di villaggio globale. Perché, se attraverso la CNN, noi riuscivamo ad avere in tempo reale immagini di fatti e accadimenti in qualsiasi parte del mondo, poco importava che questi accadessero in Randa, in Uganda, a Pechino in Cina o alle Seychelles, in internet le cosa stanno diversamente.

Perché questo? Immagino voi siate tutti navigatori…voi quando iniziate la navigazione partite da un “porto”, in Italia noi lo chiamiamo “portale”, ma è un errore: se navighiamo in internet di fatto salpiamo da un porto non da un portale, potremmo dire da un pontile semmai… La verità è che noi partiamo da una certa località che ci viene suggerita naturalmente. Ogni volta che noi salpiamo, e quindi navighiamo, la rotta non è mai la stessa. È vero o no? A meno che uno non sia un abitudinario, a meno che uno non sia uno che non dovrebbe navigare in internet: ci sono personaggi che quando vanno in internet vedono sempre e solamente quei siti… è come se leggessero il giornale, ma non sono dei navigatori. Il vero navigatore di internet è uno che va alla ricerca, è un esploratore: ogni volta che solca il mare di internet, la rotta è sempre diversa. Quando uno salpa dal portale, non conosce mai la rotta, ma soprattutto non conosce mai la meta, la destinazione, il punto di arrivo. Questo determina un fenomeno che in un certo qual senso ha messo in discussione il concetto di villaggio globale, almeno come era concepito un tempo. Con internet noi assistiamo a due fenomeni, che possono avere una valenza al contempo positiva e negativa: contaminazione e dispersione.

Contaminazione perché più io mi allontano dal portale di partenza e più perdo gli anticorpi, più faccio fatica e più perdo la capacità di verificare le fonti. Chi è che mi dice che quelle fonti sono vere? Più mi allontano dal mio mondo, più mi allontano e più faccio fatica a trovare le coordinate che mi consentono di appurare, di verificare che quello che è detto è davvero corrispondente alla verità.

Ma c’è un secondo fenomeno: la dispersione. Perché non c’è più una trasmissione in tempo reale come vorremmo… è come se ci si perdesse all’interno di un grande labirinto. Non c’è più allora quella trasmissione in tempo reale come la si intendeva un tempo, ma davvero la trasmissione diventa un evento innanzitutto e soprattutto soggettivo, dell’individuo, punto e basta. Perché tu lo sperimenti in quanto navigatore, in quel momento, in quelle circostanze…è come se uno navigasse nei mari del Nord ed ad un certo punto si trovasse di fronte a quell’evento straordinario che è l’aurora boreale. Per poterla vedere, un’aurora boreale, uno deve stare lì, deve stare in una determinata posizione geografica, altrimenti quell’evento non viene visto, non è testimoniato. La stessa cosa è per internet: se uno non è nella rete, in quel preciso momento, in quella situazione non è testimone.

Tutto questo significa che internet rappresenta uno strumento prezioso indubbiamente, però ha anche dei grandi limiti. È quindi uno strumento che va preso con il beneficio di inventario, nella consapevolezza che comunque viviamo nel terzo millennio e noi purtroppo questo ce lo siamo dimenticati. Mi riferisco soprattutto all’ambito ecclesiale. Io so che avete parlato di quello che la Chiesa Cattolica fa in internet. Io devo dire che in questi anni effettivamente si è fatto parecchio nella rete, come cattolici. Ciò non toglie che la stragrande maggioranza degli istituti, delle realtà cattoliche a mio avviso concepisce internet ancora come una grande bacheca…questo è un punto di vista mio personale. Noi ci facciamo trovare in internet… voi andate a vedere i siti di alcuni ordini, di alcune congregazioni: è come se fosse una vetrina, noi siamo qui, facciamo queste cose…ma internet è molto di più…internet è una realtà multimediale, cioè fa interagire più media e non solo.

Internet rappresenta davvero una vera e propria rivoluzione copernicana. Vi ricordate la scoperta della macchina a vapore? La scoperta della macchina a vapore ha determinato una rivoluzione, quella industriale, che ha cambiato la storia dell’umanità. Ebbene internet ha rappresentato l’inizio di una nuova rivoluzione, quella digitale. In che cosa consiste la differenza? È spiegata molto bene nel libro di Nicholas Negroponte “Being Digital”, uscito nel ‘95/’96, ed è a mio avviso è un testo molto importante per capire questo strumento, questa tecnologia. È un libro che in Italia è stato tradotto da un editore fiorentino, non mi viene in mente il nome…comunque esiste una traduzione di questo libro, “Being Digital” : “essere digitali” o “esseri digitali”. È interessante perché in maniera molto semplice viene spiegato al lettore io che cosa consiste questa rivoluzione.

Dice, l’amico Negroponte, che fino a ieri noi ragionavamo in atomi. Quello che voi avete davanti è un libro di appunti, ognuno di voi ha il suo block-notes: sono atomi. Quando noi abbiamo delle informazioni, noi in genere cosa facciamo? Le andiamo a vedere, a cercare nei libri: i libri pesano, sono fatti da miliardi e miliardi di atomi. E ogni volta che noi queste nozioni noi le dobbiamo mettere da parte abbiamo bisogno di spazi molto grandi, di vere e proprie biblioteche. Gli atomi pesano, ma gli atomi costano e non solo, gli atomo sono difficili da trasportare. Voi provate a spedire una cassa di libri in Africa: innanzitutto voi non sapete se arriva, poi comunque vi costa una barca di quattrini perché forse dovete spedirla con il container o comunque via aerea. La verità è che costa tutto questo trasferimento. Con la rivoluzione digitale voi riuscite a trasferire, a costi relativamente bassi (per noi occidentali), una serie di informazioni, un mare magnum di nozioni attraverso dei codici BIT. Io non entro nello specifico del sistema binario, questo è un discorso puramente matematico, aritmetico, tecnologico…non è questa la sede per affrontare questo discorso…però la cosa interessante è che io attraverso la rete, attraverso internet, attraverso la comunicazione interattiva di tutti questi computer messi assieme, io riesco ad avere un mare magnum di informazioni, perché riesco ad avere moltissime banche dati, riesco a trasferire informazioni alla velocità della luce, riesco dunque a comunicare. E questa è una rivoluzione copernicana.

Quando internet è entrato nello scenario italiano, alcuni anni fa, con prepotenza, ci furono delle resistenze. Interessante il fatto che una delle categorie che fece più resistenza ad internet nel nostro Bel Paese è stata la corporazione dei giornalisti. Io la chiamo corporazione dei giornalisti perché i giornalisti, nel nostro paese sono un Ordine a tutti gli effetti. Questi signori avevano una paura matta di internet, perché gli frega il mestiere. Voi capite che prima in effetti il monopolio dell’informazione l’aveva il giornalista ed in particolare il giornalista di agenzia, ad esempio quello dell’ANSA, quello dell’AGI, quello dell’ADNKronos…sto parlando di agenzie italiane…avevano infatti loro il terminale, collegato poi con tutte le radazioni che sottoscrivevano e sottoscrivono tuttora l’abbonamento, e se uno voleva accedere a quelle informazioni doveva abbonarsi ad un terminale. Dico questo perché questi signori avevano il monopolio dell’informazione nel vero senso della parola. Con l’avvento di internet è successa una vera e propria rivoluzione copernicana, perché sono nate un mare magnum di agenzie, che si sono messe a fare concorrenza alle Grandi Signore. La verità è che anche le grandi agenzie si sono rese conto che se volevano tentare di resistere a quella che era la concorrenza, anche loro dovevano entrare in internet. È interessante notare che sia France Press che Reuters sono entrate in internet con delle pagine molto deboli, probabilmente perché hanno sottovalutato l’importanza dello strumento, ma forse anche perché, ed è la spiegazione più logica e legittima, queste grandi agenzie l’attualità non è la pagina più importante, ma la pagina più importante di un notiziario di agenzia è la pagina economica… è quella che conta di più… la stragrande maggioranza di informazioni che  Reuters produce nell’arco di una giornata sono notizie economiche, è il notiziario economico. La così detta cronaca, il notiziario come lo concepiamo noi, fatto di politica, società…quella è una parte marginale nel contesto del notiziario della  Reuters o della France Press o della Associated Press.

La cosa interessante è che internate ha cominciato a fare concorrenza a queste Signore. E la verità è che oggi, con quattro soldi, si riescono a realizzare dei progetti significativi in rete. Io credo che questo sia un aspetto molto importante, che non va sottovalutato. In fondo, se oggi la MISNA esiste è perché la MISNA attraverso la rete, in tempo reale, riesce a trasmettere delle informazioni, che poi naturalmente vengono riprese.

A questo punto credo che sia importante parlare dell’informazione in quanto tale, perché finora abbiamo parlato della comunicazione, soprattutto del media per eccellenza, internet. Però non dimentichiamo che la MISNA è una agenzia giornalistica.

Vi dicevo prima che c’è un abisso che separa il Nord dal Sud del mondo. Nel Nord del mondo vive la stragrande maggioranza dei giornalisti, è proprio il caso di dirlo. Non perché nel Sud del mondo non ci siano giornalisti, ma perché quelli che vivono nel Nord del Mondo hanno mezzi, hanno risorse. Voi immaginate che se uno dovesse fare un rapporto tra le redazioni giornalistiche che sono nel Nord del Mondo, cioè Europa,Stati Uniti, Canada, Giappone, Australia(che anche se sta nell’emisfero sud di fatto appartiene al Nord del Mondo) e quelle del Sud è di 1 a 50: ci sono 50 redazioni del Nord per ogni redazione del Sud… non so se riesco a spiegarmi. C’è quindi una sproporzione vistosa. Pensate che una agenzia come la France Press copre il Corno d’Africa dalla sua redazione di Nairobi e quando parlo di Corno d’Africa parlo di tutti quei paesi di quella regione dell’africa orientale: è come se la France Press attraverso il desk, il boureau, la redazione di Roma volesse seguire tutti i fatti e gli accadimenti che succedono in Europa…attraverso la redazione di Roma sarebbe impossibile.

La verità è che il grosso dell’investimento è nel Nord del Mondo, perché nel Nord del Mondo ci sono i soldi. Nel Sud del Mondo purtroppo gli investimenti sono scarsi, non perché nel Sud del Mondo non ci siamo risorse o materie prime, ma perché il Sud del Mondo rappresenta il fanalino di coda dell’economia mondiale. Non ci sono infrastrutture, le tecnologie lasciano molto a desiderare: io la settimana scorsa ero a Kampala e dovevo collegarmi in internet con la MISNA ed ho impiegato un ora e quaranta minuti per prendere la linea con il provider, perché sono linee telefoniche fatiscenti, analogiche, per di più scoperte, quando piove salta la luce; l’energia elettrica a Kampala è razionata, un giorno sì ed un giorno no. Voi pensate che in una capitale come
Nairobi, l’energia elettrica è razionata 12 ore al giorno. Tutte queste cose incidono sul sistema… Il “Digital divide” è una cosa seria, concreta: qui c’è la corrente, lì no; se ti si rompe un pezzo del computer, dove lo vai a prendere? Se uno è a Rumbek nel Sud Sudan, va dal fornitore di chi? Capite quello che voglio dire? C’è un abisso tra Nord e Sud del Mondo e questo abisso fa si che, per quanto concerne l’aspetto dell’informazione, davvero il Sud del Mondo rappresenti il fanalino di coda.

Che cosa allora si può fare per dare voce ai senza voce? Perché questa è la grande sfida..ed è direi poi questo l’aspetto innovativo della MISNA. L’esperienza della MISNA è nata proprio perché abbiamo capito una cosa: noi eravamo e siamo Pollicino nel mondo della comunicazione, non possiamo metterci a fare la concorrenza ai grandi…voi sapete cosa sono le agenzie di informazione? Mi sto rendendo conto che forse sto utilizzando dei termini che sono impropri… le agenzie sono testate giornalistiche a tutti gli effetti. Ci sono tante forme di testate. Testate televisive, TG1, TG2, TG3, CNN, BBC; ci sono le testate radiofoniche; ci sono le testate in carta stampata Corriere della Sera, Guardian, New York Times, Time Magazine…e poi ci sono le agenzie, che sono le vere Signore dell’informazione. Se voi sfogliate il Corriere della Sera, l’80% delle notizie scritte sono prese dalle agenzie. I giornali, i notiziari radiofonici, televisivi si fanno con le agenzie. Siete mai entrati in una redazione giornalistica? È molto divertente: voi vedete i giornalisti che stanno tutti seduti, con un monitor davanti e non è che il monitor serva per scrivere le notizie, serve per leggere le notizie, per vedere. Perché il paradosso del nostro tempo è che mentre nel passato i giornalisti andavano a caccia di notizie, erano sguinzagliati…pensate al vecchio Montanelli che veniva mandato in missione, ad esempio in Ungheria, adesso invece i giornalisti non vanno più fuori, ma stanno in redazione e sono le notizie che cercano i giornalisti. Tu stai davanti al computer e vedi la  Reuters, la France Press e l’Associated Press, la Misna e l’Ansa.

Questo è un concetto molto importante: l’informazione di chi sta al desk, in redazione, è dettata dalle agenzie. Sono le agenzie quelle che informano: qualsiasi notiziario, radiofonico, televisivo, in carta stampata dipende dalle agenzie.

Quali sono le agenzie? Le grandi agenzie mondiali sono tre:  Reuters, France Press e l’Associated Press. L’Associated Press è la più grande nel mondo in senso assoluto. Poi naturalmente queste agenzie sono specializzate a seconda delle aree di interesse: France Press è specializzata nell’area francofona, ad esempio l’Africa francofona;  Reuters è molto brava sull’Africa anglofona; l’Associated Press segue molto bene il middle east, il medio-oriente.

La verità è che queste signore dettano le regole del gioco e non producono solo lo scritto ma producono anche le immagini. Quando voi vedete un telegiornale, tutte le immagini che riguardano gli eventi esteri sono comprate sulla rete…loro non girano niente ed infatti le immagini sono sempre le stesse. La CNN è una delle poche oneste devo dire, anche la BCC ogni tanto, loro  scrivono in alto: “by courtesy Associated Press” “by courtesy Royters”…cioè dicono che quelle immagini le hanno prese dalla  Reuters, che le hanno prese “per cortesia” alla Associated Press, dicono almeno qual è la fonte.

Questo significa che se non ci sono le immagini, non si parla dei fatti o degli accadimenti, soprattutto per il mezzo televisivo. Vi ricordate l’anno scorso quando ci fu la grande alluvione in Mozambico? Voi sapete perché si è parlato dell’alluvione in Mozambico e non si è parlato dell’alluvione nello stato del Kerala in India, che è stato drammatico o forse anche più drammatico di quello del Mozambico? Perché non c’erano le immagini. Non sto dicendo una balla. Per ironia della sorte quando c’è stata l’alluvione in Mozambico, lì c’era un team, una squadra della Associated Press: quelli erano andati a fare un documentario ecologico… sta di fatto che era venuta giù talmente tanta di quella pioggia che hanno preso a noleggio un elicottero, hanno sorvolato alcune aree e hanno ripreso delle immagini che hanno fatto il giro del mondo perché le hanno messe sul circuito. Appena i notiziari hanno incominciato trasmettere le immagini di quella povera gente appesa agli alberi, come grappoli umani, vagonate e vagonate di giornalisti sono partiti, mandati dai loro geniali direttori in missioni verso il Mozambico. Ironia della sorte, in India c’era la stessa tragedia, ma non c’erano i giornalisti della Associated Press e quindi le agenzie scritte hanno dato la notizia dell’alluvione in India, ma non con la stessa enfasi.

Voi capite dunque i condizionamenti a cui è sottoposta l’informazione: sono tantissimi, enormi. Con questo sistema di comunicazione purtroppo il rischio è che l’informazione sia “tanto al chilo”. Anche nella stessa CNN. Quando lavoravo negli Stati Uniti ho incontrato una giornalista. Io ricordo che le dissi che venivo da Roma, che ero italiano. Allora lei mi disse: “Ah, che bella l’Italia! A me piace moltissimo l’Italia!” e io le chiesi se era stata in Italia e lei rispose: “Yes father, I’ve been there (Sì padre, ci sono stata)”. “Davvero?” le dissi io “Dove sei stata?”. “Cyprus (Cipro)” mi rispose… Io non stavo parlando con una giornalista di Tele Zagarolo, ma con una di CNN!

Questo per dirvi che spesso c’è una ignoranza grassa e suina nel mondo dei giornalisti, ma lo dico col massimo rispetto. Se anche poi leggete certi giornali, anche nei nostri quotidiani, c’è da mettersi le mani nei capelli, non solo perché non conoscono la geografia, ma perché a volte non conoscono neanche la grammatica. Il problema di fondo è però che sono le agenzie quelle che condizionano l’informazione.

Internet da questo punto di vista ha rappresentato una svolta. La MISNA che contributo offre in questo senso? La nostra agenzia che cosa fa? Siamo partiti dal presupposto che non possiamo fare la guerra a questi giganti, noi siamo davvero Pollicino nel mondo dell’editoria. C’è una sproporzione vistosa tra i soldi che hanno investito i missionari e i soldi investiti da questi grandi multinazionali della comunicazione e dell’informazione. Noi però abbiamo capito che i missionari sono in regioni del mondo spesso dimenticate, in cui non ci sono giornalisti, in cui non ci sono fonti convenzionali. Inoltre abbiamo notato che nel mondo delle agenzie e delle testate in generale, ci sono giornalisti che hanno un interesse, un discreto interesse per questi temi. Allora noi abbiamo cominciato collegando questi missionari tra di loro: pensate che i missionari italiani in tutto sono circa quattordicimila, tra Africa, Asia, America Latina ed Oceania e se utilizziamo quelli di altre nazionalità arriviamo circa a quattrocentomila persone…nessuna agenzia al mondo ha un numero così elevato di fonti. Noi in effetti in redazione siamo quattro gatti, siamo circa nove, una diecina ad occhio e croce, quindi siamo davvero pochi, ma utilizzando questo network, in una maniera o nell’altra riusciamo a coprire delle zone che altrimenti non verrebbero coperte. Quello che abbiamo notato, in questi anni di sperimentazioni e di lavoro, è che da parte dei grandi c’è interesse per quello che fa la MISNA.

Uno dei quesiti che ci è stato posto riguardava proprio la circolarità della nostra comunicazione, della nostra informazione, cioè mi dicevano: “Ma quello che voi scrivete sulla MISNA, lo riprendono davvero?” e noi abbiamo fatto una scoperta, che in fondo era una cosa che già si sapeva ma che però abbiamo toccato con mano. È vero cioè che le grandi agenzie hanno interessi … (manca un piccolo pezzo)

Ci citavano dicendo “Secondo gli autorevoli missionari… secondo l’autorevole agenzia missionaria…” perché il nostro modo di fare informazione era conveniente. Però è successo anche l’esatto contrario: un bel giorno abbiamo scoperto che al confine tra il Centrafrica ed il Congo c’era una base americana, dove c’erano tanti soldatini americani con la pelle nera, tutti con la pelle nera, tutti dello stato della Georgia. Erano tutti neri, non ce n’era uno con la pelle bianca, con delle uniformi che solo gli americani hanno. Non avevano la bandierina americana qui, sulla spalla, ma parlavano con un accento statunitense che non potete immaginare, proprio di quelli da chewing-gum. E voi non potete immaginare cosa questi avevano dentro quella base: da lì coordinavano tutte le operazioni militari degli uomini di JeanPier Bembà, che è uno dei leader della rivoluzione, della rivolta, della ribellione congolese, il leader del Movimento di Liberazione Congolese. La cosa divertente è stata che quando noi abbiamo dato la notizia di questi americani, l’Associated Press l’ha data una volta e poi non l’ha data più, anzi ha portato tutte smentite del Pentagono, che dicevano: “no, no, noi non centriamo nulla…”; la France Press ha scritto la Treccani e poi interviste, “padre possiamo intervistare qualcuno…” erano proprio eccitati. Allora vedete che nel momento in cui tu sei libero di dare informazioni, nel momento in cui non ti leghi a nessun potente, una volta ti prende uno, una volta ti prende l’altro e in una maniera o nell’altra il tuo messaggio viene sempre e comunque amplificato. Se noi ci fossimo sposati con l’Associated Press o con la  Reuters avremmo rischiato di mettere nel cassetto tantissime informazioni. È chiaro poi che quando poi noi davamo le notizie sull’Angola e sul Congo erano proprio congelate. Perché secondo voi? Perché loro non possono andare contro gli interessi del loro editore, perché l’editore condiziona, che sia l’Eni o la Coca-Cola poco importa. Purtroppo il potere economico condiziona. Allora la MISNA. Da questo punto di vista, proprio perché ha un editore flessibile…noi diciamo che il nostro primo editore è lo Spirito Santo e poi vengono i missionari…in una maniera o nell’altra riusciamo a parlare, riusciamo a raccontare.

Quindi io credo che l’esperienza della MISNA rappresenti veramente un traguardo. Ripeto che noi nel mondo dell’editoria siamo Pollicino, non siamo la Mondatori…e non abbiamo queste velleità. Crediamo però che un utilizzo intelligente della rete possa consentire, e crediamo di averlo dimostrato in questi anni, di dare voce al Sud del Mondo e di raccontare storie, fatti, accadimenti che altrimenti verrebbero davvero messi da parte. E guardate che di fatti ed accadimenti nel Sud del Mondo nel succedono davvero tanti, non solo cruenti. A volte c’è eccessiva enfasi sui fatti negativi. Io vi dico che la stragrande maggioranza dei missionari che mi scrivono perché ci sono problemi: mi scrivono dall’Uganda perché c’è la guerra, mi scrivono dall’Angola perché c’è la guerra, mi scrivono dalla Sierra Leone perché c’è la guerra, mi scrivono dalla Guinea perché ci sono i ribelli, mi scrivono dalla Liberia perché c’è una crisi armata, mi scrivono dal Ciad perché c’è una crisi armata, mi scrivono dalla Somalia perché purtroppo, lo sapete bene, la Somalia è sempre un grande macello e così via, la lista potrebbe continuare. Però è anche vero che ci sono fatti ed accadimenti positivi, che tante volte ci sforziamo di raccontare, non solo per correttezza di informazione, ma anche perché, più che alimentare un afropessimismo o comunque una visione negativa sul Sud del Mondo, ciò che è importante è essere realisti. E se vogliamo essere realisti, non possiamo fare a meno di guardare i fatti positivi, che possono essere dal punto di vista culturale, per esempio il festival del cinema africano di Wagadugu.

La televisione italiana, i media italiani lo hanno totalmente ignorato, perché purtroppo nel nostro paese l’informazione è proprio provinciale. Non so se siete d’accordo, ma guardate i nostri telegiornali… poi poco importa che ci sia la Busi, con quella faccia d’angelo, o ci sia Cesara Buonamici, non è che cambi molto. Quali sono le notizie che tirano da noi? L’omicidio della contessa Vacca Agusta, che con tutto il rispetto, pace all’anima sua, io ho pregato anche per lei, ma questi qua per dieci giorni ci hanno ricostruito tutta la navigazione… con tutti i morti che ci stanno in Africa… il giallo sulla contessa, tutte queste robe, sono il rimbecillimento delle masse. Capite a che livelli si arriva?

Siamo convinti che bisogna ribellarsi di fronte a tutto questo modo davvero meschino, provinciale, di piccolo cabotaggio, che caratterizza un po’ il mondo dell’informazione italiana. Perché devo dirvi, sinceramente, che se dovessimo fare un confronto tra quella che è l’editoria nostrana, italiana, e quella di altri paesi come la Francia, l’Inghilterra, davvero noi siamo il fanalino di coda nel vero senso della parola. Voi prendete la pagina estera dei nostri quotidiani, del Corriere della Sera…io non sto parlando del Corriere dei Piccoli, ma del Corriere della Sera…tre o quattro paginette di esteri, quando in tutti i grandi quotidiani internazionali la pagina forte è la pagina esteri. In Italia ci sono tre quotidiani che hanno una pagina esteri abbastanza corposa: Manifesto, Avvenire ed Osservatore Romano. Perché poi, quando nei nostri quotidiani si parla di esteri…Lady Diana, altra defunta eccellente, pace all’anima sua, ma questi ti martellano…e via discorrendo. Capite cosa voglio dire?

La MISNA è possibile, e concludo, innanzitutto e soprattutto grazie al lavoro e al sacrificio dei missionari che lavorano nel Sud del Mondo, uomini e donne, soprattutto società civile. E quando parlo di società civile, parlo lo stesso di missionari, di laici, di gente che spesso rischia la vita e che vuole infrangere questo muro di omertà che separa e divide il Nord dal Sud. Credetemi: c’è tanta gente in gamba, davanti alla quale bisogna veramente togliersi il cappello.

Io vorrei concludere portandovi la testimonianza di uno di questi missionari, di p. Raffaele di Bari, che lavorava per la MISNA. Lui tutte le sere mi mandava il rapporto dettagliato di quello che succedeva nel nord Uganda, nella sua missione di Pajule, arcidiocesi di Gulu, più o meno 340 Km da Kampala. Raffaele lui è stato ucciso il primo ottobre 2000 dai ribelli del Lord Resistence Army ed io, proprio una settimana fa, sono andato a visitare la sua tomba e mi ha fatto un effetto, perché quando l’avevo lasciato era sano come un pesce, poi me lo sono trovato lì, sottoterra e vi assicuro che è stato un momento davvero commovente. P. Raffaele, in una delle sue tante lettere, mi aveva scritto: “Ho trascorso quarant’anni in Africa, ho costruito tante scuole, ho fatto tanti mulini, ho messo in piedi tanti dispensari, ho sfamato tante bocche, ho dato da mangiare a tante famiglie, ma dopo tanti anni ho capito una cosa: che se voglio continuare ad essere presente in maniera significativa tra questa gente, devo innanzitutto continuare a pregare per l’avvento del Regno, perché vinca davvero Gesù Cristo… ma poi” e questo era un aspetto che mi colpiva molto, “devo cercare di dare voce ai senza voce, devo dare voce a questa gente”. E la sua testimonianza a mio avviso è stata straordinaria: l’hanno ammazzato perché parlava troppo certamente, perché non aveva paura, ti diceva chiaro e tondo che i ribelli stavano là dietro e facevano questo e quello, che i soldati non si stanno comportando bene, perché anche i soldati governativi compiono vessazioni. P. Raffaele è uno dei nostri santi protettori, uno dei nostri beati, per la MISNA è un punto di riferimento, un grande testimone e credetemi, non è l’unico. Il primo martire che la MISNA ha è p. Joakali, un sacerdote congolese: fu il primo a darci la notizia del massacro di Macobola dove furono uccise oltre 500 persone e questo padre Joakali è stato ucciso dai ribelli della coalizione democratica congolese e da un gruppo di rwandesi, lo hanno catturato e lo hanno massacrato. È gente che rischia la pelle, però è gente che sa quello che vuole e sta dalla parte degli ultimi. Io credo che nella società, nel nostro mondo di oggi, c’è davvero bisogno di persone come queste, che hanno la capacità di andare controcorrente.

Io mi fermo qui.

Grazie per la vostra grande pazienza.