FONDAMENTI IDEOLOGICI DELLA GUERRA MONDIALE IN CORSO

di Giulio Girardi
Intervento al convegno Verso Porto Alegre 2002,
Milano, 23/24 novembre 2001

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Un titolo all’apparenza astratto, di cui vorrei dimostrare invece la concretezza e l’importanza.

Per cercare di capire ciò che sta accadendo dopo l’11 settembre nel mondo, e quale sia in particolare il tetto di questa guerra, per capire ciò che sta cambiando e ciò che non sta cambiando nella storia, vorrei tentare una strada, quella di esplorare le ideologie cui si ispirano i protagonisti, che sono il potere americano con i suoi alleati,impersonato da G. Bush e l’integralismo islamico impersonato da Osama Bin Laden.

Richiamando l’attenzione sui fondamenti ideologici della guerra, non intendo certo considerarli come la sua spiegazione adeguata. Il ruolo dei fattori economici e politici rimane in essa decisivo, ma l’esplorazione delle ideologie mi pare importante per capire il corso oggettivo della guerra. Guerra del consenso popolare che la sostiene dalle due parti.

Tale esplorazione dovrebbe permetterci di capire perché grandi masse umane si stiano affrontando ed uccidendo, perché nei due campi vi siano gruppi numerosi disposti a rischiare la vita per la loro causa.

Ma questo apporto mi pare interessante anche per una ragione opposta: esso dovrebbe consentirci di cogliere non solo ciò che i combattenti dei due campi credono, ma anche le ragioni per cui essi non credono, delle realtà che ad un osservatore esterno sembrano evidenti.

Perché in altre parole analisi e valutazioni che ad un osservatore esterno sembrano evidentemente errati, possano contare su un consenso così massiccio. Vogliamo cioè riferirci alle ideologie nel loro duplice significato di illuminazione della realtà e di occultamento di essa.

È un problema epistemologico dicevo all’apparenza astratto, ma in realtà estremamente concreto perché in questo è uno degli aspetti più decisivi di questa guerra, ossia il consenso maggioritario sul quale nonostante le stragi di innocenti che va perpetrando è stata accolta da una parte e dall’altra.

Problema quindi politicamente e tragicamente centrale quello della complicità delle vittime con i loro carnefici.

Questo approccio costituisce inoltre la premessa da cui partire per affrontare la domanda a mio parere decisiva: è inevitabile, come si afferma da tanto, sia in occidente sia all’interno dell’integralismo islamico, schierarsi da una parte o dall’altra? È inevitabile come si afferma in occidente schierarsi con la democrazia o con il terrorismo, con la civiltà o con la barbarie?

Oppure esiste una via alternativa? E in tal caso quale ne è il contenuto positivo?

Se poi come mi sembra evidente le due ideologie in presenza assolvono l’una e l’altra una funzione di occultamento e deformazione della realtà, si impone la domanda: esiste un punto di vista sulla storia che consenta di avvicinarsi maggiormente alla realtà, dissipando le vette dell’ideologia?

Finalmente l’esplorazione dei fondamenti ideologici della guerra e del consenso  di cui essa gode, è il necessario punto di partenza di qualunque strategia alternativa.

Contestare la guerra significa in primo luogo sradicare il consenso popolare su cui essa poggia, e rafforzare il grido insurrezionale della coscienza mondiale contro di essa.

Ritengo quindi che su questo tema dovrebbe essere richiamata con forza l’attenzione del Forum Mondiale di Porto Alegre.

Tenteremo quindi di analizzare il punto di vista del potere nordamericano ed occidentale e il punto di vista dell’integralismo islamico, per poi interrogarci su la possibilità di un punto di vista alternativo.

Il punto di vista del potere nordamericano è evidentemente quello che domina il sistema politico  ed informativo mondiale. Esso si esprime negli sforzi e nelle decisioni delle autorità degli USA, del governo e delle camere, degli alleati occidentali, della Nato ecc…

Per quanto ci riguarda direttamente esso si esprime negli sforzi e nelle decisioni delle autorità italiane, della presidenza della Repubblica, del governo e delle camere.

Alle ragioni oggettive che certamente fondano questa scelta di campo, si aggiunge la convinzione che solo facendo proprio il punto di vista dei grandi sarà possibile per l’Italia sedersi oggi e domani al tavolo dei grandi, e sarà possibile al governo oggi in carica conquistare in Italia e all’estero la credibilità che finora gli è mancata.

Questo punto di vista viene assunto ed argomentato da gran parte dei mezzi di comunicazione di massa degli Usa e dei Paesi alleati. Esso è condiviso dalla grande maggioranza del popolo americano e dagli altri popoli occidentali, tra i quali il nostro. Ed è questo largo consenso che consente alle autorità di procedere con tanta sicurezza.

Ciò che considero particolarmente importante e preoccupante, è il fatto che questo punto di vista sia condiviso anche da quasi tutti i partiti e movimenti di sinistra, i quali hanno capito che solo allineandosi alle scelte del potere nordamericano ed occidentale sul tema della guerra e del terrorismo, come su quello della globalizzazione, potranno rimanere al potere nei loro paesi, o riconquistarlo se lo hanno perduto, anche se queste scelte provocano per la sinistra e per molti dei suoi militanti, una drammatica crisi di identità, un’angosciosa serie di interrogativi sul significato della loro militanza.

Ma vogliamo esplorare un poco più da vicino il punto di vista del potere nordamericano nei confronti del terrorismo. Lo farò prendendo come punto di partenza il discorso pronunciato da G. Bush il 20 settembre, nel quale il presidente formulò la sua dichiarazione di guerra al terrorismo e ne illustrò il senso. Molti commentatori hanno subito qualificato questo discorso come il più importante della presidenza Bush. La BBC lo ha considerato addirittura il più significativo di un presidente americano dopo la seconda guerra mondiale.

Qualche aspetto saliente del discorso.

Alla comunità internazionale Bush rivolse un ammonimento categorico: in questa guerra non è possibile neutralità, o con noi o con i terroristi. Peraltro sappiamo che Dio non è neutrale.

La definizione dell’obiettivo della guerra implica l’identificazione del nuovo nemico principale: nell’immediato esso veniva indicato nel milionario saudita Osama Bin Laden e nella rete terroristica internazionale che egli dirige e finanzia, Al Qaeda. Ma la guerra intende colpire tutte le organizzazioni terroristiche del mondo e i governi che le appoggiano. Bush caratterizza queste organizzazioni come una rete, termine che attribuisce loro una certa unità e coordinazione mondiale, riconoscendo al tempo stesso che esse non sono facilmente localizzabili. Si comprende così perché questa guerra sarà diversa dalle altre, in cui il nemico era uno stato, o un insieme di stati chiaramente organizzati. Si comprende anche perché sarà prevedibilmente assai lunga.

In questo discorso Bush evita il termine crociata che aveva usato precedentemente, ma non evita di satanizzare il nemico. Si tratta per lui di assassini, eredi di tutte le ideologie assassine del secolo XX. Sacrificando vite umane per servire le loro visioni radicali, abbandonando tutti i valori eccetto la volontà di potenza, essi seguono il cammino del fascismo, del nazismo e del totalitarismo, e seguiranno il loro cammino anche nel sepolcro della storia della menzogne fallimentari.

Quale il motivo di un comportamento così abietto?

Bush non si preoccupa molto di approfondire una questione così tanto importante.

La sua riposta è assai semplice: la loro motivazione, oltre la volontà di potenza, è l’odio, l’odio della democrazia e delle libertà. Essi odiano ciò che vedono in questa camera, un governo democraticamente eletto, ci odiano perle nostre libertà.

Sebbene Bush abbia escluso espressamente che il nemico degli Usa e dell’Occidente siano i musulmani, ed abbia evitato di caratterizzare la guerra come una crociata, la sua dichiarazione di guerra e la sua caratterizzazione etica del nemico, banda di assassini mossi dall’odio, dall’invidia e dalla volontà di potenza, imprime alla guerra il carattere di un conflitto mondiale fra il bene e il male, che prolunga ed attualizza quello del secolo XX con il comunismo ateo, considerato il regno del male, un conflitto tra il bene e il male, tra la civiltà e la barbarie, la libertà e il totalitarismo, nei confronti del quale tutti popoli e tutte le persone del mondo sono chiamati a schierarsi.

Proclamando poi che Dio non è neutrale, Bush afferma solennemente che il punto di vista di Dio coincide con il suo, e con quello del potere occidentale.

Questa convinzione permetterà agli strateghi della guerra di denominarla in un primo tempo giustizia infinita. In tale prospettiva quindi, il conflitto non è solo etico, tra bene e male, ma è anche religioso, tra Dio e i suoi nemici.

La parola crociata è scomparsa, ma la sostanza del suo significato rimane intatta.

 Nei confronti del terrorismo islamico è esplosa unanime la condanna, non solo da parte degli Usa e degli stati occidentali ed arabi che hanno aderito alla guerra, ma anche di quelle minoranze che in tutte le parti del mondo, contestano la validità della guerra come risposta al terrorismo.

Solo quindi un atteggiamento settario può qualificare i fautori del rifiuti della guerra come conniventi con il terrorismo.

Ma è comprensibile la domanda che i fautori della guerra rivolgono a quanti ne contestano la validità: qual è allora la vostra risposta al terrorismo?

Il presupposto alla domanda è molto chiaro: per rispondere al terrorismo altre vie diverse dalla guerra non esistono.

Si tratta comunque di una domanda molto esigente, alla quale non possiamo certamente sottrarci, e che ci impegna a porre in atto un’ampia ricerca popolare partecipativa.

Ma tale ricerca deve partire da una analisi approfondita del terrorismo islamico e della sue ragioni. Solo infatti comprendendo la sua natura e la sua genesi potremo decidere come combatterlo con efficacia. I dirigenti nordamericani ed occidentali, non hanno finora compreso la vitale importanza di quest’analisi per elaborare una strategia adeguata di risposta.

Per cogliere il senso che Bin Laden e i suoi seguaci attribuiscono alla loro lotta è necessario partire dall’analisi che essi compiono della politica nordamericana e quindi dell’attività occidentale di cui essa è l’espressione.

Questa analisi si incentra su una vigorosa ritorsione del terrorismo contro gli Usa ed il loro complice principale, lo stato d’Israele.

“ Gli americani ci accusano – dice Bin Laden – di essere terroristi. Ma sono loro i più grandi terroristi della storia. Ovunque volgiamo lo sguardo, vediamo gli Usa come leader del terrorismo e del crimine nel mondo. Gli Usa non considerano un atto di terrorismo lanciare una bomba atomica in un paese lontano migliaia di miglia. Quelle bombe sono state gettate contro intere popolazioni, comprese donne, bambini e anziani. E ancora oggi in Giappone rimangono tracce di quelle bombe.” Ma il terrorismo e l’imperialismo nordamericano che BL  denuncia con particolare virulenza è quello di cui sono vittime innumerevoli paesi islamici. Nei loro confronti l’imperialismo  nordamericano rappresenta una fatidica incursione, essi sono vittime di aggressione militare, di sfruttamento e usurpazione economica, di attacchi all’egemonia e ai valori dell’Islam.

È chiaro, dice, che non esiste alcun dovere più importante che respingere il nemico americano fuori dalla Terra Santa. Non c’è altro dovere dopo la fede che combattere il nemico che sta corrompendo la vita e la religione. Se non c’è altro modo di cacciare il nemico tranne una mobilitazione collettiva di tutti i musulmani, allora i musulmani hanno il dovere di ignorare le insignificanti differenze che sussistono tra loro. Sono queste incessanti aggressioni perpetrate dall’imperialismo nordamericano e giudaico, non la libertà e la democrazia  che secondo BL generano nei musulmani risentimento e odio e quindi l’esplosione del terrorismo.

L’ostilità che l’America continua a dimostrare contro i musulmani ha avuto come reazione una crescita d’odio contro l’America e l’Occidente.

Se il governo americano è serio quando dice di voler fermare  gli attentati all’interno del territorio degli Usa, allora che la smetta di provocare i sentimenti  di un miliardo e duecento milioni di musulmani.

Allora questa reazione non si può caratterizzare come antiamericanismo, ma come antimperialismo e più precisamente come antimperialismo islamico.

Confrontando dal punto di vista degli oppressi e delle oppresse come soggetti alternativi, i due progetti storici che ho cercato di caratterizzare, mi colpiscono nel loro rapporto due aspetti che sembrerebbero contrastanti.

Da un lato essi sono radicalmente opposti tra loro.

Dall’altro presentano tra loro profonde affinità.

La contrapposizione tra i due progetti è scontata, dato che essi ispirano i due campi nemici della guerra. Sorprendente e sconvolgente è invece constatare  la profonda affinità tra i due nemici mortali e, chiamiamoli con il loro nome, tra i due opposti terrorismi. Constatazione che mi sembra importante anche per scoprire le vie dell’alternativa.

Nella prospettiva di BL infatti gli aggressori diventano vittime e le vittime aggressori. Terroristi non sono più gli islamici ma i nordamericani. Difensori della libertà e di giustizia infinita non sono più gli occidentali ma gli islamici mobilitati. Gli eroi e martiri della guerra non sono i soldati occidentali o i pompieri di New York, ma i giovani musulmani che sacrificano la vita per la causa, in particolare quelli impegnati in attacchi suicidi. I valori etico- politici chiamati ad affermarsi su scala mondiale non sono più quelli occidentali e cristiani, ma quelli islamici. Alla coalizione internazionale convocata dagli Usa e costruito intorno all’occidente si contrappone la comunità degli stati islamici  fedeli alla loro religione. La condanna non colpisce più gli stati che ospitano terroristi, ma quei paesi islamici che difendono gli Usa, che ospitano le loro truppe, che combattono al loro fianco contro altri paesi islamici e tradiscono quindi la loro religione.

Il regno del bene diventa regno del male e viceversa. Dio stesso cambia campo passando dall’occidente all’islam. Sono i musulmani e non più i nordamericani a dichiarare che in questa guerra Dio non è neutrale, Dio è con noi.

D’altro lato si riscontrano tra i due approcci profonde e sconvolgenti affinità.

Gli uni e gli altri si considerano aggrediti e quindi vittime. Gli uni e gli altri si considerano impegnati a combattere il terrorismo. Gli uni e gli altri si considerano demonizzano il loro nemico e lo pongono come terrorista, come assassino, anzi come satanico. Gli uni e gli altri ritengono di essere difensori della libertà e della giustizia contro gli oppressori. Di rappresentare quindi il regno del bene e di essere in guerra contro il regno del male. Gli uni e gli altri pensano che l’attacco serrato contro un membro della loro alleanza  deve essere percepito da ciascuno come sferrato contro di lui e provocare di conseguenza la sua reazione militare . Gli uni e gli altri ritengono di stare combattendo una guerra giusta, anzi una guerra santa. Gli uni e gli altri perseguono per volere di Dio  un progetto imperialista, l’instaurazione cioè di un ordine mondiale egemonizzato dai loro valori. Gli uni e gli altri ritengono che il loro destino manifesto di egemonizzare il mondo, possa e debba prevalere sul diritto di ogni popolo all’autodeterminazione. Gli uni e gli altri ritengono che il fine da loro perseguito giustifichi tutti i mezzi, in particolare il ricorso alla violenza militare ed economica. Ritengono pertanto che sia giusto sacrificare alla causa anche le vite di tantissimi innocenti, comprese quelle di donne e bambini. Gli uni e gli altri pongono tutti i paesi del mondo di fronte a questo dilemma: o con noi o contro di noi, non vi è alternativa.

In una parola esiste un pensiero unico imperniato sul diritto del più forte, che accomuna il progetto storico occidentale e quello dell’integralismo islamico.

Tra i due progetti imperiali allora è inevitabile la scelta ?

Se i due progetti storici che si scontrano sono l’uno e l’altro imperialisti e terroristi non è per nulla evidente che sia ineludibile la scelta di campo fra di essi .

È anzi ineludibile dal punto di vista degli oppressi e delle oppresse la necessità di respingerli entrambi.

Respingerli, ma in nome di che cosa? In nome di quale punto di vista? Di quale strategia? Di quale progetto?

Al punto di vista degli oppressori dei due campi stiamo contrapponendo proprio il punto di vista degli oppressi e delle oppresse che emergono in tutto il mondo alla coscienza e alla dignità di soggetti alternativi. Punto di vista che è stato in realtà la nostra bussola in questa analisi e deve continuare ad esserlo nell’elaborazione della strategia. Punto di vista che fonda una cultura alternativa a quella dei due imperialismi, una cultura cioè della nonviolenza liberatrice, di una nonviolenza intesa nel suo significato positivo e creativo, capace quindi di scoprire e valorizzare la forza del diritto, della verità della giustizia, della solidarietà e dell’amore. Capace quindi di scoprire e valorizzare le risorse intellettuali, morali e politiche degli oppressi e delle oppresse.

Se quindi all’origine del terrorismo islamico vi è l’immensa collera e la profonda umiliazione provocata dall’aggressione americana nei paesi islamici, è evidente che scatenando nuove guerre contro paesi islamici non si sradica il terrorismo, ma lo si alimenta ed estende tragicamente.

La risposta valida al terrorismo islamico e ad altri terrorismi antioccidentali, può consistere solo nell’estirpare le radici , cioè il progetto e la pratica imperialista dell’occidente, nel porre cioè le basi di una civiltà alternativa.

Paradossalmente quindi la risposta valida la stanno dando i movimenti impegnati nell’elaborazione dell’alternativa alla globalizzazione neoliberale. Movimenti che il potere occidentale denuncia appunto come terroristi e che reprime violentemente.

Ma nell’immediato il nostro compito prioritario è quello di invertire la tendenza storica rafforzando militantemente l’insurrezione e la ribellione della coscienza popolare, che sta già scuotendo e sconvolgendo il mondo. Che sta sconvolgendo quel consenso che rende possibili le stragi perpetrate dal neoliberalismo e dalla guerra.

Il terrorismo ci obbliga anzitutto a prendere coscienza più accuratamente della minaccia di morte che per la gran parte dell’umanità e per la stessa madre terra, proviene non tanto dal terrorismo antioccidentale, quanto dal terrorismo scatenato dall’economia e dalla politica neoliberale.

Peraltro l’insurrezione della coscienza popolare non ha come oggetto solo minacce di morte, ma anche potenzialità di vita e di speranza.

Vorrei in parte contraddire e in parte integrare il punto di vista a questo riguardo di G.Chiesa.

Questa presa di coscienza implica infatti particolarmente per merito dei popoli indigeni, la riscoperta e la riaffermazione del diritto di tutti i popoli e di tutte le persone all’autodeterminazione solidale. Diritto la cui affermazione si contrappone frontalmente alla logica neoliberale, imperniata sull’autodeterminazione del capitale finanziario transnazionale. Diritto la cui affermazione si impone quindi come l’anima di una civiltà alternativa non violenta e di una strategia non violenta per costruirla.

Ma l’insurrezione della coscienza popolare che siamo chiamati ad accendere, implica anche la scoperta e la valorizzazione delle risorse intellettuali, morale e politiche degli oppressi e delle oppresse di tutto il mondo per la costruzione di una nuova civiltà. Risorse troppo spesso ignorate, sottovalutate e persino soffocate dalle stesse organizzazioni popolari, dalle stesse organizzazioni di sinistra, vittime quasi sempre di quell’autoritarismo che denunciano nel sistema vigente.

Autoritarismo della sinistra che a mio parere è una delle ragioni principali della nostra mancanza di creatività e delle nostre sconfitte storiche. Perché su queste risorse e sulla loro valorizzazione si fonda la convinzione che ispira la nostra mobilitazione, che ci autorizza ad affermare che un altro mondo è possibile.

Solo ritrovando la fiducia nelle risorse inesplorate degli oppressi e delle oppresse, solo valorizzando a fondo queste risorse nelle nostre organizzazioni, nella nostra ricerca, nella nostra lotta potremo affermare con fondamento che una nuova storia è possibile, che una nuova storia costruita dagli esclusi e dalle escluse di ieri è già cominciata.

Giulio Girardi è stato in tutti questi decenni un teologo della liberazione nella nostra terra. Ancor prima che esplodesse questo grande filone del cristianesimo (essendo i cristiani (cattolici, valdesi, …) molto presenti nel nostro movimento come nelle grandi lotte di emancipazione e di liberazione del nostro tempo) ha sempre ispirato queste battaglie.

Alcuni scritti di giulio Girardi
Ed. Borla

- Gli esclusi ricostruiranno al terra

- Cuba dopo la visita del Papa

- Cuba dopo il crollo del comunismo

Ed Punto Rosso

Un nuovo cielo e una nuova terra.


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