Un
titolo all’apparenza astratto, di cui vorrei dimostrare invece
la concretezza e l’importanza.
Per
cercare di capire ciò che sta accadendo dopo l’11 settembre
nel mondo, e quale sia in particolare il tetto di questa guerra,
per capire ciò che sta cambiando e ciò che non sta cambiando
nella storia, vorrei tentare una strada, quella di esplorare le
ideologie cui si ispirano i protagonisti, che sono il potere
americano con i suoi alleati,impersonato da G. Bush e
l’integralismo islamico impersonato da Osama Bin Laden.
Richiamando
l’attenzione sui fondamenti ideologici della guerra, non
intendo certo considerarli come la sua spiegazione adeguata.
Il ruolo dei fattori economici e politici rimane in essa
decisivo, ma l’esplorazione delle ideologie mi pare importante
per capire il corso oggettivo della guerra. Guerra del consenso
popolare che la sostiene dalle due parti.
Tale
esplorazione dovrebbe permetterci di capire perché
grandi masse umane si stiano affrontando ed uccidendo,
perché nei due campi vi siano gruppi numerosi disposti a
rischiare la vita per la loro causa.
Ma
questo apporto mi pare interessante anche per una ragione
opposta: esso dovrebbe consentirci di cogliere non solo ciò che
i combattenti dei due campi credono, ma anche le ragioni per cui
essi non credono, delle realtà che ad un osservatore esterno
sembrano evidenti.
Perché
in altre parole analisi e valutazioni che ad un osservatore
esterno sembrano evidentemente errati, possano contare su un
consenso così massiccio. Vogliamo cioè riferirci
alle ideologie nel loro duplice significato di illuminazione
della realtà e di occultamento di essa.
È
un problema epistemologico dicevo all’apparenza astratto, ma
in realtà estremamente concreto perché in questo è uno degli
aspetti più decisivi di questa guerra, ossia il consenso
maggioritario sul quale nonostante le stragi di innocenti che va
perpetrando è stata accolta da una parte e dall’altra.
Problema
quindi politicamente e tragicamente centrale quello della
complicità delle vittime con i loro carnefici.
Questo
approccio costituisce inoltre la premessa da cui partire per
affrontare la domanda a mio parere decisiva: è inevitabile,
come si afferma da tanto, sia in occidente sia all’interno
dell’integralismo islamico, schierarsi da una parte o
dall’altra? È inevitabile come si afferma in occidente
schierarsi con la democrazia o con il terrorismo, con la civiltà
o con la barbarie?
Oppure
esiste una via alternativa?
E in tal caso quale ne è il contenuto positivo?
Se
poi come mi sembra evidente le due ideologie in presenza
assolvono l’una e l’altra una funzione di occultamento e
deformazione della realtà, si impone la domanda: esiste un
punto di vista sulla storia che consenta di avvicinarsi
maggiormente alla realtà, dissipando le vette dell’ideologia?
Finalmente
l’esplorazione dei fondamenti ideologici della guerra e del
consenso di cui essa gode, è il necessario punto di partenza di
qualunque strategia alternativa.
Contestare
la guerra significa in primo luogo sradicare il consenso
popolare su cui essa poggia, e rafforzare il grido
insurrezionale della coscienza mondiale contro di essa.
Ritengo
quindi che su questo tema dovrebbe essere richiamata con forza
l’attenzione del Forum Mondiale di Porto Alegre.
Tenteremo
quindi di analizzare il punto di vista del potere nordamericano
ed occidentale e il punto di vista dell’integralismo islamico,
per poi interrogarci su la possibilità di un punto di vista
alternativo.
Il
punto di vista del potere nordamericano è
evidentemente quello che domina il sistema politico
ed informativo mondiale. Esso si esprime negli sforzi e
nelle decisioni delle autorità degli USA, del governo e delle
camere, degli alleati occidentali, della Nato ecc…
Per
quanto ci riguarda direttamente esso si esprime negli sforzi e
nelle decisioni delle autorità italiane, della presidenza della
Repubblica, del governo e delle camere.
Alle
ragioni oggettive che certamente fondano questa scelta di campo,
si aggiunge la convinzione che solo facendo proprio il punto di
vista dei grandi sarà possibile per l’Italia sedersi oggi e
domani al tavolo dei grandi, e sarà possibile al governo oggi
in carica conquistare in Italia e all’estero la credibilità
che finora gli è mancata.
Questo
punto di vista viene assunto ed argomentato da gran parte dei
mezzi di comunicazione di massa degli Usa e dei Paesi alleati.
Esso è condiviso dalla grande maggioranza del popolo americano
e dagli altri popoli occidentali, tra i quali il nostro. Ed è
questo largo consenso che consente alle autorità di procedere
con tanta sicurezza.
Ciò
che considero particolarmente importante e preoccupante, è il
fatto che questo punto di vista sia condiviso anche da quasi
tutti i partiti e movimenti di sinistra, i quali hanno capito
che solo allineandosi alle scelte del potere nordamericano ed
occidentale sul tema della guerra e del terrorismo, come su
quello della globalizzazione, potranno rimanere al potere nei
loro paesi, o riconquistarlo se lo hanno perduto, anche se
queste scelte provocano per la sinistra e per molti dei suoi
militanti, una drammatica crisi di identità, un’angosciosa
serie di interrogativi sul significato della loro militanza.
Ma
vogliamo esplorare un poco più da vicino il punto di vista del
potere nordamericano nei confronti del terrorismo. Lo farò
prendendo come punto di partenza il discorso
pronunciato da G. Bush il 20 settembre, nel quale il
presidente formulò la sua dichiarazione di guerra al terrorismo
e ne illustrò il senso. Molti commentatori hanno subito
qualificato questo discorso come il più importante della
presidenza Bush. La BBC lo ha considerato addirittura il più
significativo di un presidente americano dopo la seconda guerra
mondiale.
Qualche
aspetto saliente del discorso.
Alla
comunità internazionale Bush rivolse un ammonimento categorico:
in questa guerra non è possibile neutralità, o con noi o con i
terroristi. Peraltro sappiamo che Dio non è neutrale.
La
definizione dell’obiettivo della guerra implica
l’identificazione del nuovo nemico principale:
nell’immediato esso veniva indicato nel milionario saudita
Osama Bin Laden e nella rete terroristica internazionale che
egli dirige e finanzia, Al Qaeda. Ma la guerra intende colpire
tutte le organizzazioni terroristiche del mondo e i governi che
le appoggiano. Bush caratterizza queste organizzazioni come una
rete, termine che attribuisce loro una certa unità e
coordinazione mondiale, riconoscendo al tempo stesso che esse
non sono facilmente localizzabili. Si comprende così perché
questa guerra sarà diversa dalle altre, in cui il nemico era
uno stato, o un insieme di stati chiaramente organizzati. Si
comprende anche perché sarà prevedibilmente assai lunga.
In
questo discorso Bush evita il termine crociata che aveva usato
precedentemente, ma non evita di satanizzare il nemico. Si
tratta per lui di assassini, eredi di tutte le ideologie
assassine del secolo XX. Sacrificando vite umane per servire le
loro visioni radicali, abbandonando tutti i valori eccetto la
volontà di potenza, essi seguono il cammino del fascismo, del
nazismo e del totalitarismo, e seguiranno il loro cammino anche
nel sepolcro della storia della menzogne fallimentari.
Quale
il motivo di un comportamento così abietto?
Bush
non si preoccupa molto di approfondire una questione così tanto
importante.
La
sua riposta è assai semplice: la loro motivazione, oltre la
volontà di potenza, è l’odio, l’odio della democrazia e
delle libertà. Essi odiano ciò che vedono in questa camera, un
governo democraticamente eletto, ci odiano perle nostre libertà.
Sebbene
Bush abbia escluso espressamente che il nemico degli Usa e
dell’Occidente siano i musulmani, ed abbia evitato di
caratterizzare la guerra come una crociata, la sua dichiarazione
di guerra e la sua caratterizzazione etica del nemico, banda di
assassini mossi dall’odio, dall’invidia e dalla volontà di
potenza, imprime alla guerra il carattere di un conflitto
mondiale fra il bene e il male, che prolunga ed attualizza
quello del secolo XX con il comunismo ateo, considerato il regno
del male, un conflitto tra il bene e il male, tra la civiltà e
la barbarie, la libertà e il totalitarismo, nei confronti del
quale tutti popoli e tutte le persone del mondo sono chiamati a
schierarsi.
Proclamando
poi che Dio non è neutrale, Bush afferma solennemente che il
punto di vista di Dio coincide con il suo, e con quello del
potere occidentale.
Questa
convinzione permetterà agli strateghi della guerra di
denominarla in un primo tempo giustizia infinita. In tale
prospettiva quindi, il conflitto non è solo etico, tra bene e
male, ma è anche religioso, tra Dio e i suoi nemici.
La
parola crociata è scomparsa, ma la sostanza del suo significato
rimane intatta.
Nei
confronti del terrorismo islamico è esplosa unanime la
condanna, non solo da parte degli Usa e degli stati occidentali
ed arabi che hanno aderito alla guerra, ma anche di quelle
minoranze che in tutte le parti del mondo, contestano la validità
della guerra come risposta al terrorismo.
Solo
quindi un atteggiamento settario può qualificare i fautori del
rifiuti della guerra come conniventi con il terrorismo.
Ma
è comprensibile la domanda che i fautori della guerra rivolgono
a quanti ne contestano la validità: qual è allora la vostra
risposta al terrorismo?
Il
presupposto alla domanda è molto chiaro: per rispondere al
terrorismo altre vie diverse dalla guerra non esistono.
Si
tratta comunque di una domanda molto esigente, alla quale non
possiamo certamente sottrarci, e che ci impegna a porre in atto
un’ampia ricerca popolare partecipativa.
Ma
tale ricerca deve partire da una analisi approfondita del terrorismo
islamico e della sue ragioni. Solo infatti
comprendendo la sua natura e la sua genesi potremo decidere come
combatterlo con efficacia. I dirigenti nordamericani ed
occidentali, non hanno finora compreso la vitale importanza di
quest’analisi per elaborare una strategia adeguata di
risposta.
Per
cogliere il senso che Bin Laden e i suoi seguaci attribuiscono
alla loro lotta è necessario partire
dall’analisi che essi compiono della politica nordamericana
e quindi dell’attività occidentale di cui essa è
l’espressione.
Questa
analisi si incentra su una vigorosa ritorsione del terrorismo
contro gli Usa ed il loro complice principale, lo stato
d’Israele.
“
Gli americani ci accusano – dice Bin Laden – di essere
terroristi. Ma sono loro i più grandi terroristi della storia.
Ovunque volgiamo lo sguardo, vediamo gli Usa come leader del
terrorismo e del crimine nel mondo. Gli Usa non considerano un
atto di terrorismo lanciare una bomba atomica in un paese
lontano migliaia di miglia. Quelle bombe sono state gettate
contro intere popolazioni, comprese donne, bambini e anziani. E
ancora oggi in Giappone rimangono tracce di quelle bombe.” Ma
il terrorismo e l’imperialismo nordamericano che BL
denuncia con particolare virulenza è quello di cui sono
vittime innumerevoli paesi islamici. Nei loro confronti
l’imperialismo nordamericano
rappresenta una fatidica incursione, essi sono vittime di
aggressione militare, di sfruttamento e usurpazione economica,
di attacchi all’egemonia e ai valori dell’Islam.
È
chiaro, dice, che non esiste alcun dovere più importante che
respingere il nemico americano fuori dalla Terra Santa. Non c’è
altro dovere dopo la fede che combattere il nemico che sta
corrompendo la vita e la religione. Se non c’è altro modo di
cacciare il nemico tranne una mobilitazione collettiva di tutti
i musulmani, allora i musulmani hanno il dovere di ignorare le
insignificanti differenze che sussistono tra loro. Sono queste
incessanti aggressioni perpetrate dall’imperialismo
nordamericano e giudaico, non la libertà e la democrazia
che secondo BL generano nei musulmani risentimento e odio
e quindi l’esplosione del terrorismo.
L’ostilità
che l’America continua a dimostrare contro i musulmani ha
avuto come reazione una crescita d’odio contro l’America e
l’Occidente.
Se
il governo americano è serio quando dice di voler fermare
gli attentati all’interno del territorio degli Usa,
allora che la smetta di provocare i sentimenti
di un miliardo e duecento milioni di musulmani.
Allora
questa reazione non si può caratterizzare come antiamericanismo,
ma come antimperialismo e più precisamente come antimperialismo
islamico.
Confrontando
dal punto di vista degli oppressi e delle oppresse come soggetti
alternativi, i due progetti storici che ho cercato di
caratterizzare, mi colpiscono nel loro rapporto due aspetti che
sembrerebbero contrastanti.
Da
un lato essi sono radicalmente opposti tra loro.
Dall’altro
presentano tra loro profonde affinità.
La
contrapposizione tra i due progetti è
scontata, dato che essi ispirano i due campi nemici della
guerra. Sorprendente e sconvolgente è invece constatare la profonda affinità tra i due nemici mortali e, chiamiamoli
con il loro nome, tra i due opposti terrorismi. Constatazione
che mi sembra importante anche per scoprire le vie
dell’alternativa.
Nella
prospettiva di BL infatti gli aggressori diventano vittime e le
vittime aggressori. Terroristi non sono più gli islamici ma i
nordamericani. Difensori della libertà e di giustizia infinita
non sono più gli occidentali ma gli islamici mobilitati. Gli
eroi e martiri della guerra non sono i soldati occidentali o i
pompieri di New York, ma i giovani musulmani che sacrificano la
vita per la causa, in particolare quelli impegnati in attacchi
suicidi. I valori etico- politici chiamati ad affermarsi su
scala mondiale non sono più quelli occidentali e cristiani, ma
quelli islamici. Alla coalizione internazionale convocata dagli
Usa e costruito intorno all’occidente si contrappone la
comunità degli stati islamici
fedeli alla loro religione. La condanna non colpisce più
gli stati che ospitano terroristi, ma quei paesi islamici che
difendono gli Usa, che ospitano le loro truppe, che combattono
al loro fianco contro altri paesi islamici e tradiscono quindi
la loro religione.
Il
regno del bene diventa regno del male e viceversa. Dio stesso
cambia campo passando dall’occidente all’islam. Sono i
musulmani e non più i nordamericani a dichiarare che in questa
guerra Dio non è neutrale, Dio è con noi.
D’altro
lato si riscontrano tra i due approcci profonde
e sconvolgenti affinità.
Gli
uni e gli altri si considerano aggrediti e quindi vittime. Gli
uni e gli altri si considerano impegnati a combattere il
terrorismo. Gli uni e gli altri si considerano demonizzano il
loro nemico e lo pongono come terrorista, come assassino, anzi
come satanico. Gli uni e gli altri ritengono di essere difensori
della libertà e della giustizia contro gli oppressori. Di
rappresentare quindi il regno del bene e di essere in guerra
contro il regno del male. Gli uni e gli altri pensano che
l’attacco serrato contro un membro della loro alleanza
deve essere percepito da ciascuno come sferrato contro di
lui e provocare di conseguenza la sua reazione militare . Gli
uni e gli altri ritengono di stare combattendo una guerra
giusta, anzi una guerra santa. Gli uni e gli altri perseguono
per volere di Dio un
progetto imperialista, l’instaurazione cioè di un ordine
mondiale egemonizzato dai loro valori. Gli uni e gli altri
ritengono che il loro destino manifesto di egemonizzare il
mondo, possa e debba prevalere sul diritto di ogni popolo
all’autodeterminazione. Gli uni e gli altri ritengono che il
fine da loro perseguito giustifichi tutti i mezzi, in
particolare il ricorso alla violenza militare ed economica.
Ritengono pertanto che sia giusto sacrificare alla causa anche
le vite di tantissimi innocenti, comprese quelle di donne e
bambini. Gli uni e gli altri pongono tutti i paesi del mondo di
fronte a questo dilemma: o con noi o contro di noi, non vi è
alternativa.
In
una parola esiste un pensiero unico
imperniato sul diritto del più forte, che accomuna il progetto
storico occidentale e quello dell’integralismo islamico.
Tra
i due progetti imperiali allora è inevitabile la scelta ?
Se
i due progetti storici che si scontrano sono l’uno e l’altro
imperialisti e terroristi non è per
nulla evidente che sia ineludibile la scelta di campo fra di
essi .
È
anzi ineludibile dal punto di vista degli oppressi e delle
oppresse la necessità di respingerli entrambi.
Respingerli,
ma in nome di che cosa? In nome di quale punto di vista? Di
quale strategia? Di quale progetto?
Al
punto di vista degli oppressori dei due campi stiamo
contrapponendo proprio il punto di vista degli oppressi e delle
oppresse che emergono in tutto il mondo alla coscienza e alla
dignità di soggetti alternativi. Punto di vista che è stato in
realtà la nostra bussola in questa analisi e deve continuare ad
esserlo nell’elaborazione della strategia. Punto di vista che
fonda una cultura alternativa a quella dei due imperialismi, una
cultura cioè della nonviolenza liberatrice, di una nonviolenza
intesa nel suo significato positivo e creativo, capace quindi di
scoprire e valorizzare la forza del diritto, della verità della
giustizia, della solidarietà e dell’amore. Capace quindi di
scoprire e valorizzare le risorse intellettuali, morali e
politiche degli oppressi e delle oppresse.
Se
quindi all’origine del terrorismo islamico vi è l’immensa
collera e la profonda umiliazione provocata dall’aggressione
americana nei paesi islamici, è evidente che scatenando nuove
guerre contro paesi islamici non si sradica il terrorismo, ma lo
si alimenta ed estende tragicamente.
La
risposta valida al terrorismo islamico e ad altri terrorismi
antioccidentali, può consistere solo nell’estirpare le radici
, cioè il progetto e la pratica imperialista dell’occidente,
nel porre cioè le basi di una civiltà alternativa.
Paradossalmente
quindi la risposta valida la stanno dando i movimenti impegnati
nell’elaborazione dell’alternativa alla globalizzazione
neoliberale. Movimenti che il potere occidentale denuncia
appunto come terroristi e che reprime violentemente.
Ma
nell’immediato il nostro compito prioritario è quello di
invertire la tendenza storica rafforzando militantemente
l’insurrezione e la ribellione della coscienza popolare, che
sta già scuotendo e sconvolgendo il mondo. Che sta sconvolgendo
quel consenso che rende possibili le stragi perpetrate dal
neoliberalismo e dalla guerra.
Il
terrorismo ci obbliga anzitutto a prendere coscienza più
accuratamente della minaccia di morte che per la gran parte
dell’umanità e per la stessa madre terra, proviene non tanto
dal terrorismo antioccidentale, quanto dal terrorismo scatenato
dall’economia e dalla politica neoliberale.
Peraltro
l’insurrezione della coscienza popolare non ha come oggetto
solo minacce di morte, ma anche potenzialità di vita e di
speranza.
Vorrei
in parte contraddire e in parte integrare il punto di vista a
questo riguardo di G.Chiesa.
Questa
presa di coscienza implica infatti particolarmente per merito
dei popoli indigeni, la riscoperta e la riaffermazione del
diritto di tutti i popoli e di tutte le persone
all’autodeterminazione solidale. Diritto la cui affermazione
si contrappone frontalmente alla logica neoliberale, imperniata
sull’autodeterminazione del capitale finanziario
transnazionale. Diritto la cui affermazione si impone quindi
come l’anima di una civiltà alternativa non violenta e di una
strategia non violenta per costruirla.
Ma
l’insurrezione della coscienza popolare che siamo chiamati ad
accendere, implica anche la
scoperta e la valorizzazione delle risorse intellettuali, morale
e politiche degli oppressi e delle oppresse di tutto il mondo
per la costruzione di una nuova civiltà. Risorse troppo
spesso ignorate, sottovalutate e persino soffocate dalle stesse
organizzazioni popolari, dalle stesse organizzazioni di
sinistra, vittime quasi sempre di quell’autoritarismo che
denunciano nel sistema vigente.
Autoritarismo
della sinistra che a mio parere è una delle ragioni principali
della nostra mancanza di creatività e delle nostre sconfitte
storiche. Perché su queste risorse e sulla loro valorizzazione
si fonda la convinzione che ispira la nostra mobilitazione, che
ci autorizza ad affermare che un altro mondo è possibile.
Solo
ritrovando la fiducia nelle risorse inesplorate degli oppressi e
delle oppresse, solo valorizzando a fondo queste risorse nelle
nostre organizzazioni, nella nostra ricerca, nella nostra lotta
potremo affermare con fondamento che una nuova storia è
possibile, che una nuova storia costruita dagli esclusi e dalle
escluse di ieri è già cominciata. |