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Dove
stanno gli agnelli e dove i lupi? La violenza che abbiamo visto colpire gli
Stati Uniti, con il suo carico di vittime innocenti, ha spinto molti a tracciare
schieramenti definiti e definitivi: da una parte l'Occidente democratico (e
cristiano), dall'altra il Male, impersonato da centrali terroristiche che si
avvalgono delle complicità di stati autocratici (e islamici). Invece,
attraversato il tempo del pianto e dell'orrore, ancor prima che il risentimento
sia superato, bisogna trovare la forza di dare alla domanda una risposta più
appropriata. I
terroristi che hanno concepito, finanziato ed eseguito gli attentati dell'11
settembre sono predatori che puntano ad imporre una logica di guerra. La sola
logica che consentirebbe loro di propiziare la radicalizzazione di regimi più o
meno moderati (pensiamo ad Arabia
Saudita, Emirati Arabi Uniti, Egitto, Pakistan) e di creare un blocco
antioccidentale là dove oggi si manifestano posizioni politiche e distanze
diverse. Una cosa sono gli atteggiamenti filo-occidentali di Indonesia, Tunisia
e Marocco, un'altra le frizioni con gli Usa di Iran, Siria e Libia, un'altra
ancora sono i toni e le scelte messe in campo da Afghanistan, Sudan e Irak. Va
da sé che questi predatori, lungi dal rappresentare i diseredati del mondo,
sono invece dei competitori politici che hanno nel mirino la destabilizzazione
di molti dei regimi citati. E certo fanno leva anche sulle frustrazioni create
dai divari e dalla miseria, dalla questione palestinese e soprattutto sul fatto
che l'opinione pubblica islamica si sente minacciata dall'avanzare del
"pensiero unico occidentale" – perciò non esitano a
strumentalizzare i sentimenti religiosi. I
cittadini occidentali chiedono giustizia e sicurezza. Bisogna rispondere che chi
auspica azioni belliche in grande stile o ricalca le logiche dei terroristi o
tenta di scongiurare la recessione o entrambe le cose. Mentre la giustizia si può
ottenere con strumenti di investigazione e giudiziari, e con operazioni di
polizia internazionale, in grado di individuare i colpevoli e di portarli in
giudizio: sarebbe una scelta all'altezza del miglior Occidente, quello delle
libertà collettive e individuali, quello dei diritti umani. La sicurezza
richiede non massicci investimenti in armi, ma al contrario l'impiego di risorse
nello sviluppo, nelle organizzazioni, Onu in testa, che agevolano il dialogo,
nell'incontro interculturale. Tutto ciò, manco a dirlo, presuppone una politica
non appiattita sugli imperativi economici. Perciò i cittadini occidentali si
devono anche interrogare sulla cultura predatoria che l'Occidente spesso
propone, una cultura per la quale il profitto è sempre legittimo (chi ci
garantisce che i mezzi finanziari dei terroristi non siano gestiti in qualche
paradiso fiscale o all'ombra del segreto bancario in qualche rispettabilissimo
stato occidentale?), una cultura messa in discussione dal vasto movimento
nonviolento che critica questa globalizzazione, una cultura così frequentemente
dimentica di quei valori cristiani di cui si dice impregnata. Oggi più che mai è decisivo fermarsi a riflettere sul declino della cultura politica e sull'impotenza della politica. E sul bisogno che la buona politica ritrovi al più presto il suo ruolo centrale. Prima che agli agnelli non resti che farsi lupi. |
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