Dopo Genova / Un analisi del movimento

Il popolo di Seattle? Non esiste

a cura di Diego Marani

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 Il movimento di cui oggi tutti parlano viene da lontano e ha una sua storia: gli slogan e le semplificazioni non gli servono, anzi forse lo danneggiano. Un senatore, un docente universitario di economia, un sacerdote pacifista “doc” e la responsabile di una ong già premio Nobel per la pace raccontano le loro analisi a Nigrizia.

Oggi si parla di controvertice a Napoli (per la Nato) e a Roma (per la Fao), magari mischiandoli alla marcia della pace Perugia-Assisi. Come se chi contesta alcuni lati oscuri della globalizzazione non avesse altro da fare che pensare a come prepararsi tra un controvertice e l’altro... I mezzi di comunicazione, prima del G8 di Genova, chiamavano questo nuovo movimento - che spesso non riuscivano a capire - “popolo di Seattle”. Ma è giusto chiamarlo così? E perché all’improvviso ha avuto un’attenzione così grande?

Lo abbiamo chiesto ad alcuni osservatori, che ci hanno risposto a Genova, durante il G8, prima che le violenze e gli scontri distogliessero l’attenzione dalla storia e dalle proposte di chi gridava “un altro mondo è possibile”. Proprio per questo oggi, dopo i fatti di Genova, le loro risposte sembrano ancora più significative....

Mario Pianta insegna economia politica all’università di Urbino: ha studiato a lungo l’industria di produzione della armi in Italia e il problema della riconversione dell’industria bellica. Dichiara subito che «è sbagliato parlare di movimento antiglobalizzazione». Anzi, «questi sono proprio movimenti globali: lavorano attraverso i confini nazionali, in rete, con alleati che vengono scelti di volta in volta, ma con un obiettivo comune: democrazia internazionale e giustizia economica, proprio perché è in scala globale che si manifestano con maggiore evidenza ingiustizia economica e diseguaglianze. Queste sono in totale contraddizioni con quell’etica della responsabilità (di tutto il pianeta) che i movimenti pacifisti e ambientalisti hanno maturato in questi ultimi vent’anni, intrecciando in modo estremamente innovativo sensibilità laiche e cattoliche».

Esiste dunque una continuità tra chi, già vent’anni fa, era consapevole del rischio di distruzione nucleare o ambientale e di chi oggi si preoccupa per il crescente impoverimento della grande maggioranza della popolazione del pianeta. Per Pianta dunque «bisogna capire le radici storiche, culturali e soprattutto politiche dei movimenti di oggi» anche se «il percorso iniziato a Porto Alegre (in Brasile, Nigrizia, 3/01, 62) che porta all’Assemblea dell’Onu dei popoli a Perugia a ottobre apre una fase nuova: il movimento non è solo di testimonianza e solidarietà, ma diventa politico. Si passa da un insieme di movimenti che lanciano una campagna internazionale su un tema specifico (esempi la campagna per la messa al bando delle mine antiuomo, o quella per la cancellazione del debito estero dei paesi poveri, che hanno raggiunto importantissimi risultati nel decennio appena trascorso) a movimenti che propongono un’agenda politica complessiva e saltano la mediazione politica istituzionale, tradizionalmente rappresentata dai partiti; anche le istituzioni - come il parlamento, totalmente assorbito da dinamiche interne - faticano a comprendere la società civile, che invece è stata la prima ad aver capito la natura globale di molti aspetti del mondo di oggi, arrivando a sfidare enti come il Fondo Monetario internazionale o la Banca Mondiale».

Pianta, che ha appena scritto il libro Globalizzazione dal basso (Manifestolibri, cfr Nigrizia, 9/01, 69), indicava ancor prima “delle giornate di Genova” «un limite che va assolutamente superato: quello della fase “adolescenziale” del movimento, che rischia di soffermarsi su una liturgia dell’azione (di protesta, ndr) invece di concentrarsi sui contenuti (di proposte, ndr)».

Francesco Martone è il più giovane senatore della storia della repubblica italiana. Eletto proprio in Liguria nelle liste dei verdi, è passato da un’intensa attività nelle organizzazioni non governative a un seggio in senato; è stato presidente di Greenpeace Italia, uno dei principali coordinatori della campagna contro il Mai (l’Accordo multilaterale sugli investimenti) e di quella per la riforma della Banca Mondiale. Spiega che per capire l’attuale movimento «un passaggio fondamentale è stato la caduta del muro di Berlino nel 1989: da un lato ha portato all’affermazione di quello che oggi chiamiamo pensiero unico (cioè neoliberale a livello planetario e, dopo il crollo dei paesi comunisti apparentemente senza alternative, ndr) ma anche a quella che si può definire una richiesta di globalizzazione dei diritti, portata avanti da un movimento tanto variegato da non avere un’elaborazione politica complessiva. Invece, un movimento che vuole essere realmente alternativo deve essere in grado non solo di manifestare in piazza, ma anche di affrontare la politica sul suo stesso terreno. Andare là dove avvengono le scelte, entrare e confrontarsi con i tecnocrati: sono loro che - spesso in segreto - sempre più spesso “fanno la politica”, e non più i partiti o i governi. E visto che spesso questi tecnocrati sono economisti, c’è bisogno di un recupero della politica nei confronti dell’economia.

Forse è giunto il momento di abbandonare la ritualità delle manifestazioni legate ad eventi come i grandi vertici per impegnarsi anche nelle istituzioni: altrimenti si rischia per esempio che in Italia il parlamento diventi un luogo sordo alle richieste della società civile e dove ci si limita a legiferare gli input che arrivano dall’alto».

 

«Occorre un salto di qualità»

 È il direttore esecutivo della sezione italiana di Medici senza frontiere e una delle anime principali della campagna per l’accesso ai farmaci essenziali (in passato aveva avuto un importante ruolo all’interno della campagna per la messa al bando delle mine antiuomo): Nicoletta Dentico sostiene però che anche molte ong sono ben contente «di farsi cooptare non solo linguisticamente ma anche economicamente» dal sistema che combattono. Per quanto riguarda il movimento diventato così visibile a partire da Seattle sostiene che «dopo due anni di manifestazioni un salto di qualità è imprescindibile: occorre maggiore competenza e la capacità di esprimere proposte. Altrimenti si rischia di ripetere sempre gli stessi slogan. Dobbiamo avere il coraggio e la forza di abbandonarli per arrivare a proporre alternative; con una nuova creatività: per esempio in questi mesi ho sempre sposato “l’ipotesi Grillo” di lasciare da soli a Genova questi otto extracomunitari (i G8, ndr) per andarcene da qualche altra parte. Un altro esempio arriva dalla Gran Bretagna dove la ong Oxfam ha portato avanti la campagna per l’accesso ai farmaci essenziali con pressione sugli azionisti del colosso farmaceutico GlaxoSmithKline». E avvisa: «Attenzione, i nostri antagonisti non subiscono due volte la stessa sconfitta: noi dobbiamo essere creativi, sapere ogni volta inventarci modi nuovi di proporre le nostre idee. Anche perché le istituzioni che noi contrastiamo in realtà sono molto meno unite e compatte di quanto ci vogliano far credere. Personalmente credo che le campagne orientate a un singolo obiettivo, ben determinato, siano un ottimo strumento per raggiungere risultati importanti, anche perché l’insieme di tante singole campagne, magari coordinate fra loro, diventano come tessere di un mosaico che può dare una visione del mondo diversa».

Tonio Dell’Olio, sacerdote, segretario nazionale di Pax Christi: «Genova è uno spartiacque, le campagne su singoli temi sono state i “gioielli di famiglia”, una ricchezza enorme per la società civile: le campagne sono state vittoriose, a differenze di tanti fallimenti e ipocrisie che hanno attraversato invece la cooperazione ai paesi in via sviluppo (che forse sarebbe meglio chiamare “paesi travolti dallo sviluppo altrui”). Cambiare le regole, questo è il grande messaggio di oggi: i poveri non si aiutano svuotando gli armadi dei vestiti vecchi, con l’elemosina e la beneficenza, ma globalizzando la democrazia e i diritti, cioè cambiando le regole. Anche per quanto riguarda le metodologie Genova è uno spartiacque: ancora non tutte le persone sanno che noi in realtà ci occupiamo di pace, finanza etica, commercio equo e solidale, e non passiamo il tempo a organizzare un controvertice dopo l’altro».