Mai più senza le donne

articolo tratto dal Manifesto
(www.ilmanifesto.it)

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"Mai più senza le donne"
"Dopo vent'anni di guerra, l'Afghanistan è un paese di donne capofamiglia. Bisogna che le donne facciano parte del governo, e che ne sia escluso chi si sia in passato macchiato di delitti efferati". Parla una coraggiosa esiliata Partawmina Hashemee
MARINA FORTI - INVIATA A PESHAWAR

Vent'anni di guerra in Afghanistan non hanno solo devastato città, case, campi, infrastrutture. Hanno distrutto la struttura sociale del paese: la signora Partawmina Hashemee è convinta che "non sarà possibile ricostruire una civile convivenza senza la partecipazione delle donne". Ma è anche convinta che non sarà facile far sentire la voce delle donne afghane. "Hai visto un solo volto femminile in queste settimane di discussioni e negoziati sul futuro assetto del governo nel paese?". In effetti no, abbiamo solo potuto scegliere tra facce con o senza barba, con o senza turbante, con il titolo di haji (colui che ha compiuto il pellegrinaggio alla Mecca) o quello di "comandante"...
La signora Hashemee è tra le fondatrici di uno dei più attivi gruppi di donne afghane a Peshawar, la Afghan Women's Resource Center, Awrc (che si è dato come motto "vedere il futuro delle donne afghane non come vittime passive ma come agenti di cambiamento"). Piccola di statura, emana energia. Rappresenta la parte più attiva e progressista della classe media afghana espatriata: l'esilio per lei è cominciato da ragazza, nell'83, quando l'intera famiglia lasciò Kabul per il Pakistan in una delle prime ondate di rifugiati della guerra contro l'Unione sovietica. Interrotti gli studi di medicina all'università di Kabul, Partawmina aveva deciso che non si sarebbe sposata prima di portare a termine l'università, e così ha fatto ("devo riconoscere che mio padre mi ha incoraggiato, diceva che ero padrona delle mie decisioni"). Nell'89 si trasferì a Peshawar, la città della Frontiera di Nord-Ovest pakistana che la guerra aveva trasformato da sonnacchiosa provincia del subcontinente indiano a retrovia della jihad antisovietica, centro di traffici armi e complotti, agglomerato di campi profughi e capitale afghana in esilio. E' là che si è ritrovata con altre donne istruite e attive, "a lavorare con questa o quella organizzazione umanitaria internazionale. Ma sentivamo la necessità di essere in prima persona, e di coinvolgere di più le donne. Ricordo un seminario di un'intera giornata, nell'agosto '89, con un'ottantina di noi: fondammo così la nostra associazione".
Fin dal principio hanno avuto vita difficile, le attiviste di Awrc. "Un'organizzazione di donne non era ben vista. I campi profughi erano sotto il controllo dei partiti e fazioni, ciascuna con i propri obiettivi, e comunicare direttamente con le donne era quasi impossibile. Perfino i programmi di istruzione e assistenza sanitaria per le donne erano diretti e controllati da uomini - ogni attività che sfuggisse al loro controllo era osteggiata. Alcune di noi furono minacciate. Dicevano di noi cose ingiuriose - io allora non ero sposata, capisci? Mia sorella sì, e alzava le spalle quando la insultavano. Abbiamo organizzato corsi di alfabetizzazione in città, nelle zone dove si affollavano alcune tra le comunità di rifugiati più poveri, offrivamo il trasporto e un piccolo gettone di presenza. Solo più tardi siamo riuscite a entrare nei campi profughi". Oggi il "Centro di risorse per le donne afghane" ha attività in otto campi profughi di Peshawar, dove contiuano ad arrivare nuove ondate di sfollati. Accanto all'alfabetizzazione organizza corsi di addestramento professionale in informatica o gestione di ufficio - nel piccolo, vecchio bungalow di un quartiere popolare di Peshawar dove incontro Partawmina, in un'accogliente saletta piena di computer. Finora cinquemila giovani donne hanno ricevuto qui qualche tipo di addestramento professionale. C'è l'attività di "creazione di reddito", una piccola produzione artigianale di tessuti e ricami con un punto di vendita: 300 donne così hanno un reddito regolare. C'è l'addestramento di insegnanti e personale sanitario, da poco anche la prima "unità sanitaria di base". Infine c'è la biblioteca. "Ai corsi di alfabetizzazione partecipano donne di ogni età, anche alcune anziane: perché dovremmo respingerle? In effetti imparano a leggere e scrivere ma anche nozioni elementari sulla salute, sui propri diritti, a discutere le tradizioni, che non sono immutabili". Awrc lavora con finanziamenti di organizzazioni non governative internazionali o degli organismi di cooperazione di governi occidentali (quello italiano ad esempio finanzia, attraverso Intersos, un progetto di "promozione delle condizioni socio-culturali ed economiche delle afghane rifugiate" in Pakistan).
"La nostra strategia è costruire progetti da portare poi in Afghanistan", precisa Partawmina. Torniamo al punto: "Vogliamo partecipare alla ricostruzione del paese. Dopo vent'anni di conflitto e di uomini morti in guerra, l'Afghanistan è un paese di donne capofamiglia. Bisogna che siano protagoniste della ricostruzione. E' urgentissimo addestrareinsegnanti elementari, ricostruire un sistema scolastico... Mandare i bambini a scuola è il segno che la vita ricomincia". In queste ultime sere, dice la nostra interlocutrice, "non facciamo che parlare del ritorno". E' ottimista? Un attimo di silenzio. "Tutto dipenderà da come sarà formato un nuovo governo, nei prossimi giorni. E non si tratta solo di partiti, di includere tutte le fazioni, come vanno dicendo un po' tutti in questi giorni. Vogliamo vedere chi ne farà parte, quali persone: non sono accettabili individui responsabili di crimini del passato, ce ne sono parecchi in giro". L'argomento è delicato: "I Taleban hanno abusato dell'islam per i loro interessi e il loro potere, ma non credere che prima la vita fosse facile per le donne. Ai tempi dei mujaheddin la violenza contro le donne dilagava, gli stupri, i rapimenti, i matrimoni forzati. Paradossalmente, i Taleban hanno messo fine a questa violenza sfrenata. Ma in cambio hanno cancellato la presenza delle donne: hanno negato l'istruzione alle ragazze e il lavoro alle donne, imposto il burqa, reso obbligatorio il moharram - il divieto di uscire di case se non accompagnate da un uomo della famiglia. Pensa alle vedove, confinate in casa. Molte famiglie, quelle che se lo potevano permettere, sono emigrate qui per poter almeno mandare figlie e figli a scuola". Adesso radio Kabul torna a trasmettere musica e voci femminili, per strada si vedono volti di donne. Ma il futuro resta incerto. "Vogliamo che le donne siano parte dei processi decisionali in Afghanistan, e spero che l'Onu ne terrà conto. I nostri uomini, anche i più istruiti e aperti, ci lasceranno a casa. E se sarà approvata una costituzione che non formalizza i diritti delle donne, ci seppelliranno per altri vent'anni. La comunità internazionale ha una responsabilità, visto che sta sponsorizzando una soluzione politica per il paese. Sappiamo che sarà una lotta difficile".