ECCO COME NASCE IL FANATISMO RELIGIOSO:
IL CASO ALGERIA

HENRY TEISSIER
arcivescovo di Algeri

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Questo articolo  di mons. Teissier è tratto  dalla rivista Missione Oggi dei Missionari Saveriani

per una maggiore approfondimento vi consigliamo la visita al loro sito http://www.saveriani.bs.it/missioneoggi/ 


   Quanto stiamo vivendo ci dice che è più che mai tempo di riflettere e cercare di capire. Anche il terrorismo non nasce per caso e all’improvviso. Può esserci di aiuto l’analisi dell’esperienza algerina, presentata da mons. Teissier al colloquio "Intolérance et pluralité", Parigi, 12 dicembre 1999.

   Le cause della crisi algerina e della violenza che ne è derivata sono molteplici. Per enumerarle, preferisco seguire questo ordine, che mi sembra cronologico: le cause politiche, le cause culturali, le cause economiche, le cause religiose, la responsabilità specifica dell’islamismo violento.

LE CAUSE POLITICHE
  
Tutti gli osservatori hanno sottolineato la responsabilità di coloro che hanno deciso di interrompere il processo elettorale tra la prima tornata del 26 dicembre 1991 e la seconda, prevista per il 14 gennaio 1992. La decisione ha scatenato la violenza e le ha dato una legittimazione nell’opinione pubblica nazionale e internazionale.
   La decisione di interrompere il processo elettorale non può però essere attribuita a un ristretto gruppo di responsabili militari: si sa che estese correnti dell’opinione nazionale avevano manifestato la loro opposizione ai risultati della prima tornata e gridato la loro volontà di sottrarsi alla vittoria del Fis (Fronte islamico di salvezza), che appariva ineluttabile.
   Queste cause politiche immediate della crisi non devono nascondere le radici politiche più remote. È evidente che il sistema del partito unico non aveva permesso lo sviluppo della cultura democratica. Lo stesso Fln (Fronte di liberazione nazionale) è nato dal bloccaggio della concertazione tra le correnti politiche indipendentiste, prima del 1954. Nel 1962, l’accesso al potere di Ben Bella era un colpo di stato contro il potere legale di Benkhedda. Il sistema del partito unico venne imposto al paese, nonostante le contestazioni di Boudiaf e del Ffs (Fronte delle forze socialiste). Anche Boumedienne, in seguito, è giunto al potere con un colpo di stato.
   Il sistema del partito unico era allora molto diffuso, nei paesi del Sud, e forse era inevitabile in nazioni che dovevano innanzitutto dotarsi di uno stato forte. Ma più ancora del partito unico, è l’esercito che venne ad occupare un posto particolare nell’orientamento del paese. Contro questo sistema si ebbero esplosioni popolari, in particolare nel 1963 e nel 1980: le sommosse del 1988 segnarono la fine del potere del partito unico e gli inizi del multipartitismo con la legge sulle Associazioni a carattere politico del 1989. Così i 27 primi anni di indipendenza, riducendo al silenzio le opposizioni, non avevano preparato la maturazione di un pluralismo politico. L’opposizione islamica appariva, allora, a molti, come il solo quadro possibile per esprimere una volontà di cambiamento. È il significato che venne attribuito al voto del 26 dicembre 1991.

LE CAUSE CULTURALI
  
Non sono meno importanti delle cause politiche. Per evidenti ragioni d’identità, il partito unico ha ben presto imposto l’arabizzazione. Era normale e necessaria, dopo 130 anni di presenza coloniale, in cui il francese aveva occupato tutti gli spazi della vita politica ed economica. I problemi non sono venuti dall’arabizzazione. Io stesso l’ho aiutata, partecipando alla creazione di un Centro diocesano che lavorava in questa direzione e di un Istituto pedagogico arabo e insegnando l’arabo per dieci anni, sia agli stranieri che ai quadri algerini.
   Per lo stato, il problema è venuto, invece, dall’assenza di un quadro moderno di formatori di lingua araba. Mancando diplomati delle università moderne, l’Educazione nazionale ha dovuto largamente ricorrere a insegnanti d’arabo provenienti dalle formazioni tradizionali (scuole coraniche, scuole degli ulema) o dalle università tradizionali dei paesi vicini. La maggioranza di questi insegnanti non aveva avuto contatti con l’insegnamento moderno; sono perciò facilmente entrati nella visione della cultura arabo-musulmana recata dai professori cooperanti del Medio Oriente. Questi, soprattutto gli egiziani, hanno spesso veicolato una lettura fondamentalista della cultura arabo-musulmana.
   Inoltre, l’occupazione del terreno economico da parte dei "francesizzanti" faceva crescere, in molti, un desiderio di rivincita culturale nei confronti degli algerini francesizzanti, che apparivano come gli agenti di un neocolonialismo culturale. Il terreno era pronto per una crescita dell'integrismo. Certi programmi ufficiali contenevano affermazioni esplicitamente razziste e antisemite.
   Le tensioni crebbero tra gli "arabizzanti" e i "francesizzanti", non solo perché il potere passava dai secondi ai primi, per lo meno nell’Educazione nazionale, ma anche perché le categorie di pensiero erano inconciliabili. Ma va detto che numerosi autori "arabofoni" algerini hanno proposto una lettura progressista della società.

LE CAUSE ECONOMICHE
  
Nonostante l’importanza delle cause politiche e culturali, va detto che le prime manifestazioni popolari contro lo stato e il partito unico hanno avuto, come cause immediate, soprattutto dei motivi socio-economici: il malessere dei giovani, la disoccupazione, la carenza di alloggi e di strutture associative…
   Il discorso populista del partito unico sbandierava continuamente i diritti del popolo, ma intanto una nomenklatura ben piazzata si arricchiva. Prima nascosta, questa ricchezza è apparsa in piena luce negli anni ’80, durante il periodo di Chadli. Proprio nel momento in cui la pressione demografica moltiplicava i disoccupati, le famiglie non avevano per alloggio che una sola stanza e i giovani non avevano i mezzi per mettere su casa, la ricchezza di una classe privilegiata sfoggiava macchine di grossa cilindrata e ville lussuose.
   La rivolta dell’ottobre 1988 era innanzitutto la protesta di questi giovani senza speranza di trovare un posto nella società. Hanno colpito i simboli dello stato e del partito unico, che li avevano ingannati: i dollari del petrolio avevano creato fortune illegali, lasciando crescere disoccupazione e disuguaglianze.
   A partire dagli anni ’90, la ristrutturazione dell’economia, che dal capitalismo di stato passava all’economia di mercato, aggravava ulteriormente la crisi: bloccava ogni possibilità di assunzione e moltiplicava i licenziamenti. Nello stesso tempo, veniva chiusa la valvola di sicurezza rappresentata dall’emigrazione verso l’Europa, satura di manodopera. Tutto era pronto per l’esplosione.

LE CAUSE RELIGIOSE
   Le cause finora esaminate non sono sufficienti per capire la crisi algerina. Una gravissima deviazione del discorso religioso ha fornito la giustificazione morale alle peggiori violenze. Senza questa rimozione dei divieti, una popolazione abituata da secoli a sottomettere i propri atti alle norme della tradizione non si sarebbe mai lasciata sopraffare dagli eccessi sanguinari che conosciamo.
   Si deve innanzitutto riconoscere l’errore di Boumedienne, che non si è interessato ai problemi di formazione religiosa. Non ha creato un insegnamento superiore della religione. Ha lasciato i fondamentalisti tranquillamente redigere dei manuali d’insegnamento religioso e organizzare dei seminari del Pensiero Unico in contraddizione con il suo progetto di un’Algeria moderna.
   L’Università religiosa di Costantina e le istituzioni similari di Algeri, Orano, Adran, Tamanrasset si sono aperte solo all’epoca di Chadli. Sono state a lungo nelle mani degli universitari fondamentalisti, algerini o stranieri… Così, quando sorsero le correnti islamiche, poche voci musulmane competenti erano in grado di controbattere le letture dell’islam che il fondamentalismo proponeva ai giovani.
   Il contrappeso, che l’islam tradizionale delle zaouie avrebbe potuto presentare, era stato annullato dal periodo del partito unico, geloso della sua autorità. Del resto era già uscito indebolito dal contrasto con il movimento degli ulema. Il terreno era libero per l’affermarsi delle letture fondamentaliste dell’islam, sviluppate nel Medio Oriente a partire dagli anni trenta e diffuse nelle moschee algerine attraverso opuscoli popolari, cassette, incontri serali. In più l’attivismo sociale (prodotti distribuiti a basso prezzo, corsi serali per il ricupero dei corsi scolastici…) dava un volto di credibilità a questa "nuova società di uguali" sognata dalle classi povere, a cui si ispiravano anche credenti sinceri, scioccati dal lusso dei nuovi ricchi.

LA RESPONSABILITÀ DEGLI ISLAMICI VIOLENTI
   Per spiegare il passaggio alla violenza nella crisi algerina non bisogna mascherare la parte determinante del fondamentalismo estremo, che legittimava religiosamente l’uso della forza contro i nemici di Dio. L’esponente primo di questa tendenza è stato Ali Benhadj. È diventato la figura di maggior spicco dell’estremismo dei giovani. Ben prima del processo elettorale del gennaio 1992, aveva fatto della ripresa della jihad la prima fedeltà del musulmano.
   Da notare che questa guerra santa non doveva essere condotta innanzitutto contro gli infedeli esterni (gli stranieri, i cristiani, gli ebrei …) ma contro i musulmani stessi all’interno del paese: la maggior parte dei musulmani stessi sono, da questi estremisti, ritenuti infedeli che hanno abbandonato la legge di Dio.
   Ecco una citazione di Ali Benhadj, prima ancora dell’interruzione del processo elettorale: "La democrazia è la parola dell’empietà, significa potere del popolo. Nella nostra religione, non esiste che un solo potere sugli uomini, quello di Allah. Noi siamo la nazione del Corano, la nazione di Mohamed… Noi non ci sottomettiamo alla maggioranza, ma a ciò che è conforme alla sharia… Se il popolo vota contro la legge di Dio, è una bestemmia. Gli ulema ordinano in questi casi di uccidere questi miscredenti, per la giusta ragione che questi vogliono sostituire la propria autorità a quella di Dio, o il pluralismo nel quadro dell’islam… Il musulmano non può ammettere il sorgere di partiti che sono in contraddizione con l’islam".
   Il discorso degli estremisti è chiaro. Dio affida ai suoi fedeli (gli islamici estremi) la missione di purificare le società musulmane e la società internazionale da tutti gli infedeli. Tutti i volantini propagandistici del Gia (Gruppo islamico armato) si rifanno a questa logica.
   L’importanza delle legittimazioni religiose della violenza è divenuta evidente quando le autorità musulmane islamiche del Medio Oriente hanno cominciato loro stesse a denunciare i crimini commessi dai loro adepti. La prima denuncia netta e collettiva è avvenuta molto tardivamente, nel 1998, dopo 80mila vittime. Una delle autorità di questa tendenza, lo sceicco Albani dello Yemen, ha preso chiaramente posizione solo nel 1999, un mese prima della morte.
   La relazione tra religione e violenza appare chiara ogni anno all’avvicinarsi del Ramadan. Tutti s’aspettano un "Ramadan di sangue", convinti che, per gli islamici armati, il mese per eccellenza della religione debba essere il mese privilegiato della loro violenza contro il popolo infedele.

CONCLUSIONE
  
Abbiamo visto la complessità e l’intreccio delle cause della crisi algerina. Ma è chiaro che l’estremismo religioso ha un ruolo in queste violenze. Ha fornito il riferimento ideologico necessario a dare coerenza al movimento della rivolta armata. Si tratta, evidentemente, di una lettura estremista dell’islam. La grande maggioranza della gente voleva un cambio di costume politico. Inizialmente molti hanno dato fiducia al movimento islamico per realizzare questo cambio. Ma quando la violenza è diventata un’arma ideologica giustificata religiosamente, la gente ha progressivamente preso le distanze. Quando la violenza si è espressa con l’assassinio delle famiglie, gli stupri e gli attentati terroristici, la maggioranza degli algerini ha rifiutato questa lettura dell'islam. Era inorridita da un simile ricorso a uccisioni insensate. Non vi riconoscevano l’islam dei loro parenti e delle loro origini.
   L’estremismo ha suscitato in molti musulmani una riflessione cosciente sulla propria identità musulmana. Molti sono oggi i musulmani algerini che trovano il modo di mostrare con segni concreti la loro adesione a un islam di pace e di rispetto dei diritti umani.
   Per questo sono contento di poter concludere con un brano della lettera ricevuta da una dottoressa algerina, musulmana. Rivela quanto molti amici ci hanno espresso, in mille modi, dopo l’uccisione dei sette monaci o degli altri religiosi, vittime della violenza durante la crisi algerina: "Vengo al fatto più orribile, l’assassinio dei monaci di Tibhirine, che per me è stato peggio di un sacrilegio. Non riesco neanche ad ammettere che sia avvenuto. Come musulmana, ho urlato. Vergogna per il sangue versato di persone del culto di Dio; vergogna per il mio popolo, per il mio paese; orrore e vergogna per la mia religione! Oggi, nel leggere l’articolo del giornale che parlava di loro, le lacrime mi hanno inondato il viso, il cuore lacerato dal dolore. Ho pianto come se fossero stati uccisi ora, come se mi avessero dato la notizia della perdita di una persona cara. Quanta miseria, mio Dio, quanta sofferenza, quanta ignoranza. Effettivamente, questi monaci sono nostri fratelli in Dio! Sono nostri fratelli in umanità! Il vostro dolore è mio, è nostro. Penso che è Dio a volere la presenza della chiesa cristiana algerina nella nostra terra d’islam. Dio è onnisciente e ciò che dovrà avvenire dovrà esserlo con voi. Che questo si avveri".
   Questa lettura mette in risalto quanto affermavo. Le prove della comunità cristiana sono, nello stesso tempo, quelle di molti nostri amici musulmani. È una crisi vissuta insieme, che prepara, oltre la violenza provocata dal fanatismo, un livello più profondo delle relazioni tra musulmani e cristiani.

LE RESPONSABILITÀ
NEL RICORSO ALLA VIOLENZA

   Si possono misurare le responsabilità nel ricorso alla violenza, ponendo a confronto i due movimenti islamici, il Fis (Fronte islamico di salvezza) e l’Hamas, oggi Msp (Movimento della società per la pace). Quest’ultimo, pur proponendo una ricostruzione della società algerina sulla base delle scelte islamiche, non ha mai fatto appello alla violenza, almeno dopo la sua legalizzazione nel 1989.
   Quando nel 1995, a Roma, è stata presentata una piattaforma per la pace, questo movimento si è ritirato dalle discussioni perché il ricorso alla violenza non era da loro ritenuto sufficientemente condannato dai loro rivali del Fis. Il loro numero due, Bouslimani, venne assassinato e il suo corpo tagliato a pezzi perché aveva rifiutato di legittimare il ricorso alla violenza. Altri 250 militanti del movimento vennero assassinati da parte dei fautori della violenza sacra

HENRY TEISSIER
  © MISSIONE OGGI

 

DIO È FANATICO?

   I monoteisti non sono stati, non lo sono – lo saranno totalmente in futuro? – all’altezza della difficile missione che è stata loro affidata, essere dei Giusti e testimoniare: perché, detto banalmente, non sono che uomini, né migliori né peggiori degli altri uomini. L’intolleranza è nell’humus dell’uomo e, per un fenomeno psicologico naturale di transfert, egli la proietta sempre sull’Altro, sul totalmente Altro
   È sull’uomo, quindi, che dobbiamo interrogarci, non su Dio. Credenti o non credenti, siamo tutti interpellati. Lo conferma la storia. Ma non si può rifare. Però possiamo impararne le lezioni per il futuro, senza perderci in geremiadi puerili o in stupide apologetiche.
   L’intolleranza e il fanatismo non sono una fatalità. Invece di lavarcene le mani oppure – cosa che ha la stessa radice – darne la responsabilità a Dio, uniamo tutti i nostri sforzi – monoteisti, credenti di ogni confessione, agnostici e non credenti di ogni tendenza – per sradicarli insieme. Perché gli intolleranti e i fanatici si trovano dovunque.
   Possiamo essere ragionevolmente ottimisti. Un processo è in atto, che, come dice Jean Mouttapa, "farà del dialogo con la fede degli altri uno dei dati centrali dell’esperienza religiosa".

MOHAMMED TALBI
(La Croix, 28 marzo 1997)

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