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Dal letame nascono i fiori

di p. Maurizio Binaghi da Chicago

 

"Dal letame nascono i fiori"

( F. De Andrè )

di p. Maurizio Binaghi

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              TESTIMONI DELLA CARITA'                                                                      PROVOCAZIONI DI P. ALEX        

 

Chicago, Aprile 2002.

Carissimi tutti ancora una volta devo ricorrere ad una lettera circolare per raggiungervi tutti insieme senza farvi subire le mie famose lungaggini nel rispondere.

Tutto procede qui a Chicago. Grazie anche al vostro aiuto il Peace Corner, il centro per ragazzi coinvolti nelle bande giovanili e che vivono in situazioni sociali ed economiche incredibili, sta continuando a funzionare a pieno ritmo.  Ogni giorno dai 40 ai 70/80 adolescenti e giovani passano per il centro. Le nostre attività funzionano a pieno ritmo. Il biliardo rimane la “main attraction”, ma anche l’angolo palestra con i pesi e il ping-pong non sono da meno. I ragazzi che seguono il corso di computer ormai sono bravissimi: speriamo che nessuno diventi un Hacker! Hanno già violato la mia password per l’accesso Internet e adesso devo continuamente cambiarla. Anche il doposcuola va a mille e davvero lo spazio sta diventando un problema. Nel quartiere poi sono ormai famosissimi e apprezzatissimi i nostri periodici tornei di biliardo e ping-pong. In questi momenti, durante i tornei, la competizione e il tifo raggiungono livelli da stadio, ma senza la violenza, solo le urla!

La presenza al centro di tutti questi adolescenti e giovani e’ una benedizione per me e un segno che davvero il Signore mi vuole qui, nel ghetto più malfamato e pericoloso di Chicago, per testimoniare il suo amore preferenziale per i più poveri ed abbandonati. Mi sento davvero un privilegiato quando posso passare del tempo con loro, ascoltarli, a volte consolarli, o solo sfidarli a ping-pong e biliardo.

 Il nostro piccolo centro (davvero piccolo) sta incominciando a crescere anche se non senza fatica. Il Peace Corner si trova proprio nel cuore del ghetto e per questo ogni giorno sono testimone, impotente e frustrato, di violenza subita e inflitta, di rabbia spesso repressa, ma che a  volte viene espressa con oltraggio e ferocia che possono anche diventare letali. Razzismo e un senso di abbandono ed emarginazione permeano tutta la quotidianità.

 Vivere nel ghetto e’ una sfida quotidiana: sfida al mio stile di vita, ancora troppo borghese, sfida ai miei stereotipi ed immagini falsate di una realtà di cui conosco solo la superficie, sfida al mio atteggiamento ancora troppo incline al giudizio, sfida alla mia immagine di Dio, al suo modo di agire e di essere presente qui, davvero concreto, in queste realtà così crudeli e così stupende. Sto vivendo una esperienza di conversione, dal di dentro, e i miei “missionari” sono i ragazzi e i giovani che ogni giorno incontro. 

Nonostante le incredibili situazioni con cui vengo a contatto non posso fare a meno di ringraziare il Signore per la grazia di essere qui, di condividere almeno in minima parte le sofferenze e le desolazioni che la gente del ghetto affronta quotidianamente. Certo, a volte la frustrazione prevale e allora grido a Dio il mio dolore e la mia rabbia. Rabbia che mi esplode dentro ma che non ho il lusso di poter esprimere quando vedo ragazzi selvaggiamente picchiati dalla polizia o maltrattati, insultati e sospettati solo perché hanno il torto di vivere nel ghetto e di avere la pelle scura.

 Non abbiamo grandi progetti al centro, e nemmeno pretendiamo di “salvare” o “cambiare” i giovani che serviamo quotidianamente. Sicuramente però, uno degli scopi del Centro e’ quello di insegnare a questi ragazzi e a questi giovani a sognare di nuovo, a sognare il bello, a sperare il futuro. Mi accorgo sempre di più di quanto questo sia difficile e quasi impossibile.

Come posso parlare di sogni e speranze quando due settimane fa, proprio di fronte al centro, un ragazzo di 17 anni anni e’ stato selvaggiamente ucciso dalla polizia? E’ vero, stava scappando perché doveva essere in casa agli arresti domiciliari, ma perché spingerlo sui binari elettrificati del treno che funge da metropolitana, quando si era già fermato e aveva le braccia alzate? 

O come parlare di futuro e speranza a Terence, arrestato perché aveva trenta dollari in tasca e quindi “per forza” doveva aver venduto droga? Solo che Terence quel sabato aveva lavorato 5 ore al centro per pulirlo da cima a fondo e sono stato a dargli i trenta dollari come pagamento per il suo lavoro. 

Con che faccia poi, posso parlare dell’importanza della scuola a Nick che a 16 anni, nella più grande potenza del mondo, mi ha implorato di trovargli un lavoro perché ha fame ed entrambi i suoi genitori sono in prigione? Come potrò mai rimproverarlo se domani lo incontrerò all’angolo della strada a vendere marjuana per 10 dollari rischiando 5 anni di carcere? 

E ancora, cosa posso dire a Brian pestato 5 volte in una settimana se so che va in giro armato a 15 anni? 

Come rimproverare i miei ragazzi quando so che al sabato sera moltissimi di loro affogano nell’alcool o nella marjuana gli incubi di piccoli uomini che non possono permettersi il lusso di essere ragazzi e giovani normali, solo perché vivono nella giungla sporca e puzzolente, di fianco ad un inceneritore, che e’ il ghetto Ovest di Chicago? 

Con quali giustificazioni posso chiedere loro di lasciare la banda, unico sostegno e sicurezza, se non ho nessuna valida alternativa da offrire. E infine, come posso pretendere, nella mia ingenua ignoranza, che vadano a scuola se in classe e nei corridoi devono continuamente guardarsi le spalle per paura di essere assaliti? 

Davvero tutti i nostri parametri e anche i valori che tanto esaltiamo qui assumono un aspetto diverso, impregnato di realtà e sofferenza, di solitudine e rabbia, di scetticismo e violenza, di sopravvivenza che non e’ certo vita! 

Esiste una povertà qui, che non e’ solo quella materiale, ma antropologica. Poverta’ dell’essere umano che, non più trattato come “Umano”, si abbruttisce e muore dentro. 

Cosa posso dire, cosa posso fare? Nulla e per ora va bene così. Posso solo Essere. Essere me stesso, essere qui, cercare, nella infinitesima parte che mi e’ data, di condividere, di vivere -con, di piangere con loro, di perdermi nel silenzio della mia e nostra impotenza, nel dolore di chi ha provato ad alzare la testa e se l’e’ ritrovata schiacciata sull’asfalto. E tutto questo nella nazione dove un presidente “macellaio” (quanti di questi “anawim”, ha mandato a morte nelle prigioni del Texas mentre era governatore), si vanta in televisione dicendo che: “schiaccerà i terroristi e li farà sparire in fumo dalla faccia della terra”. Un presidente che continua con il suo diabolico piano di tagliare le tasse ai ricchi e tassare chi lavora, togliendo quel poco, ridicolo, rimasuglio di pubblica assistenza medica rimasta e che non si scompone se i poveri non possono permettersi di avere l’appendicite.

Posso solo essere vero, sincero ed autentico, qui dove decine di preti, all’ombra di vescovi timorosi dello scandalo, hanno continuato per anni ad abusare di ragazzini, forti della loro posizione e nascosti dietro la tonaca. 

Chissà perché mi viene in mente il libro dell’Apocalisse, della fine dell’impero, il libro del gigantesco tiranno dai piedi d’argilla. 

Ma la speranza non muore, e come diceva Lele Ramin, comboniano ucciso a 32 anni, occorre “Creare Primavera”.  

A Chicago, USA, o come dice Alex Zanotelli, “nel ventre della bestia”, rinasce la speranza. Gli incubi tornano ad essere sogni, i poveri si asciugano l’un l’altro le lacrime, l’amore del Dio che e’ mamma e papà, stringe a sé, più forte che mai, questi figli e figlie del ghetto. E io, spettatore privilegiato dell’amore preferenziale (non ho il minimo dubbio su questo) che Dio riserva agli ultimi, vedo la Resurrezione avverarsi a poco a poco, come una nuova nascita, laddove la morte sembrava farla da padrona.

Ed e’ Resurrezione! Miracolo del Dio che ha posto la sua tenda, la sua stanza in affitto, qui nel ghetto. Presenza del  Dio incarnato ogni giorno nei volti e nelle storie di Nick, Jigg, Brian, Joseph, Willie, Swan, Vicky, Elizabeth, Monique, … 

 -E’ miracolo quando 90 membri della gang del ragazzo ucciso dalla polizia si ritrovano al nostro centro per pregare per lui, per la famiglia, per la polizia… 

-E’ Resurrezione quando dopo la preghiera nessuno vuole andarsene, anche se nel centro non ci si può nemmeno muovere, perché vogliono continuare a sentire l’affetto e la solidarietà degli altri, lasciarsi consolare dall’affetto di questo Dio-mamma, di questo Padre che tanto assomiglia alle loro nonne, continuare ad abbracciare i loro fratelli e sorelle nella sofferenza e questo prete bianco, che non sa cosa dire, che ora non parla e a fatica non piange. Mai mi sono sentito tanto onorato, privilegiato e benedetto come quando mi hanno permesso di soffrire con loro la perdita di Bill (questo il suo nome), inghiottito dalla violenza e dal razzismo.

-E’ Resurrezione quando Brian riammesso al centro dopo un mese di espulsione per esserci venuto armato, mi ha riabbracciato e mi ha guardato con gli occhi pieni di lacrime. Un altro miracolo dell’Amore, di quello con la A maiuscola, miracolo per un ragazzo che chiedeva solo di essere amato. 

-E’ Resurrezione quando insieme con lo staff del centro, 7 ex galeotti come diremmo in Italia, tutti di 21 anni, ci sediamo per ore a cercare di organizzare un programma estivo per il centro, un po’oratorio feriale, un po’ campo estivo o grest. 

-E’ Speranza che nasce, che Ri-nasce, quando uno sgarbo subito, con fatica, non diventa vendetta. 

-E’ Resurrezione quando invece di pensare “spaccio’, si programma doposcuola.

-E’ Vita, e vita piu’ che mai, quando finalmente molti non si rassegnano piu’ e smettono di affermare, come giustificazione per la loro tristezza e rabbia: “Tanto lo so, che non arrivo a 21 anni, mi ammazzano prima!” 

-Resurrezione, vita, trionfo dell’amore. Possibile perché Amore e’ stato dato, Amore e’ stato condiviso, perché il Dio dell’amore abita nel ghetto! 

-E’ Resurrezione quando la domenica pomeriggio, anche se in pochi, ci raduniamo per leggere la Bibbia. E come diventa vera, reale, la parabola del Padre Misericordioso, del Figlio che ritorna all’ Amore. Come sa di realtà la croce di Cristo e quella del Buon ladrone. Quasi poi si vede l’adultera che sta per essere uccisa a sassate dai benpensanti. Quasi uccisa,  salvata perché l’Emmanuele, il Dio con noi, interviene in difesa degli indifesi. Ed e’ attuale, impellente, imprescindibile il viaggio dell’Esodo, degli ex-schiavi verso la libertà, verso la vera vita. 

Ed e’ Resurrezione per me, spettatore privilegiato del Dio che con forza e dolcezza interviene a fianco dei suoi poveri. Resurrezione perché il mio essere prete e missionario assume un significato ancora più profondo ed autentico. Perché il mio sogno di lavare i piedi e farmi lavare i piedi (ah l’orgoglio!) da questi ragazzi diventa ogni giorno più reale, pienezza del mio sacerdozio e cuore del mio essere missionario. Perché ogni giorno sono Ordinato, Ri-Ordinato, di nuovo da questa gente: con l’olio della sofferenza e del servizio, con l’unzione riservata ai servi, con l’imposizione delle loro mani. Quella del vescovo e’ stata ed e’ Ordinazione, vera,  reale e ufficiale. Questa e’ reale, vera e quotidiana: entrambe privilegio, entrambe per servire, entrambe per diventare pane spezzato.

Adesso anche la mia preghiera e’ cambiata: e’ fatta di nomi e di storie, di lacrime e sorrisi, di sconfitte e piccole vittorie, di molta sofferenza e nuove Resurrezioni. E’ fatta di uomini e donne, ragazzi e ragazze, figli e figlie e del ghetto, prediletti da Dio, mie guide verso l’incontro con il Cristo. E allora veramente per me, questo e’ il posto giusto, qui e’ il luogo dove come prete e come missionario sono chiamato ad Essere, a vivere la mia vita, a realizzare la mia vocazione. 

Il posto giusto, il luogo prediletto, il santuario della vita, il monte dove si puo’ assistere alla quotidiana Transfigurazione del Figlio di Dio.  

Ho scritto troppo, spero di non avervi annoiato. Ma prima di concludere ho un ultimo favore da chiedervi. Nelle vostre preghiere, ricordate i nostri volti, i nostri nomi, le nostre storie. Lo so non ci conoscete tutti. Ma i nostri sono i volti dell’umanità, le facce sfigurate dei “poveri Cristi” di ogni giorno, umanità puzzolente e paurosa, diffidente e ferita.  Umanità immigrata e tartassata sulle strade d’Italia, umanità disprezzata e insultata, respinta e sempre accusata di tutti i crimini. Umanità che e’ divina perché e’ immagine vera ed autentica di Dio. Umanità che incarna Colui che ogni domenica diciamo di adorare.Un abbraccio,

p. Maurizio Binaghi                       

 

 

p.Maurizio Binaghi
Missionario comboniano
dopo aver svolto un periodo di servizio in Italia (Brescia)
è stato destinato come missionario negli Stati Uniti.
Oggi lavora nella periferia di Chicago
con i giovani esclusi

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p. Maurizio Binaghi
mauriziob@comboniani.org oppure fr_maurice@yahoo.com

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Se vuoi leggere un'altra lettera di p. Maurizio, dal titolo "Anche il Padre nel suo piccolo si infuria",
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