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Lettera da Bogotà

da Filomena Santamaria

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Carissimi gimmine e gimmini spero che stiate tutti bene!

Mi presento…. Sono Filomena Santamaria, una carissima amica della famiglia comboniana che da quando ero giovane come voi ho avuto la fortuna di conoscere e così mi ha aiutato a crescere con una mentalità aperta al mondo necessaria per conoscere e interessarsi di ciò che accade intorno a noi aldilà del nostro piccolo orticello per amare sempre più e questo mi ha portato a sentirmi cittadina del mondo e cosi dal mio piccolo paesino Torre a Mare in provincia di Bari Puglia, ora sono in Colombia con tutta la mia famiglia da 10 anni. La Colombia, dopo un breve periodo di speranza per l’accordo di pace, è ripiombata nuovamente in una situazione di grande violenza e la negazione dei diritti umani e all’ordine del giorno, generando crisi umanitarie come quella che stanno vivendo gli indigeni Embera che da più di quattro mesi hanno occupato uno dei parchi più importanti e centrale nel cuore di Bogotá. Un dramma invisibile dei “desplazados” interni vissuti come stranieri nel proprio paese natale. Un paradosso in cui i nativi di questa splendida terra sono considerati persone di serie B da trattare con indifferenza e disumanità.

Già nel 2004, l’aggravarsi del conflitto armato nell’ovest della Colombia ha portato a una massiccia migrazione degli indigeni Embera (sia del gruppo Katío, originario della regione del Chocó, sia del gruppo Chamí, originario della regione di Risaralda) verso la capitale Bogotà. Da allora, le vittime dello sfollamento forzato si sono stabilite in "paga-diario” ossia spazi per dormire con pagamento giornaliero nel centro di Bogotá, nei quartieri Las Cruces, La Favorita, San Bernardo, Santa Fe e Voto Nacional. Questi luoghi sono caratterizzati da sovraffollamento, condizioni malsane e accesso limitato ai servizi pubblici, che li ha resi vulnerabili alla discriminazione etno-razziale, alle molestie e alle aggressioni fisiche, verbali e sessuali. Inoltre, un rapporto della Urban Renewal Company (2015) ha evidenziato forme di dipendenze come l’accattonaggio e la prostituzione come mezzo per risolvere le loro insicurezze economiche e sociali. Attualmente la Segreteria di Governo ha registrato 187 famiglie Embera composte da 736 persone che vivono in tali condizioni precarie.

L'inasprimento dei bisogni insoddisfatti della popolazione Embera, durante l'inizio della pandemia, ha portato allo sviluppo di manifestazioni pubbliche tra aprile e giugno 2020. Oltre all'indignazione causata dallo stupro di un minore di Embera di 12 anni da parte di sette soldati del Battaglione San Matteo a Pueblo Rico, Risaralda, il 18 luglio 2020, 118 indigeni hanno preso il controllo del Parque Tercer Milenio chiedendo garanzie di alloggio e cibo. Dopo 104 giorni, sono stati firmati cinque accordi con l'Alto Consiglio per le vittime e la Segreteria per l'integrazione sociale che includevano un affitto di quattro mesi, principalmente nella località Ciudad Bolívar, nonché assistenza alimentare fino alla fine dell'anno.

Durante il secondo trimestre del 2021, la comunità Embera ha manifestato, ancora una volta, il proprio malcontento, allestendo campi sul lato occidentale del Parque Tercer Milenio, sostenendo che il trasferimento in contanti di $ 270.000 COP circa 40 euro, non era sufficiente per pagare l'affitto e che il buono-spesa non era sufficiente per soddisfare i bisogni alimentari, tra l'altro, perché esclusivo da riscattare in una catena di negozi particolarmente cara. La situazione è stata brevemente controllata dalle autorità locali fino a quando, durante l'ultima settimana di settembre, gli indigeni Embera Chamí, Katio e Dobidá hanno deciso di occupare il Parco Nazionale allestendo tende improvvisate con teli di plastica nera e pali di legno per ripararsi dalla pioggia, per denunciare l’indifferenza dello stato.

Hanno dovuto lasciare le loro terre per sfuggire alla violenza dei narcotrafficanti e delle miniere illegali di estrazione dell’oro. Infatti, il controllo delle miniere ha creato uno scontro tra le multinazionali del settore, le comunità e i minatori locali ignorando i diritti ancestrali della comunità indigene. In mezzo a tutta questa situazione, il governo non garantisce nessuna sicurezza nei loro territori dove le minacce e gli assassini dei leader social sono all’ordine del giorno. Di conseguenza non accettano le proposte di rientrare nei propri territori e continuano la loro rotta cercando di resistere e sopravvivendo al freddo, alla fame e alle condizioni igieniche precarie sotto gli occhi di tutti tra indifferenze e pregiudizi, ma anche tra tante solidarietà dei passanti, di famiglie e associazioni che in maniera spontanea cercano di alleviare un po’ la loro sofferenza e necessità primarie instaurando un rapporto di amicizia basato sull’ascolto.

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