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Trasformare il tempo - lettera di natale

di fr. Alberto Degan dall'Ecuador

 

Lettera di Natale:

"Trasformare il tempo"

 

di fratel Alberto Degan

 

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fr. Alberto Degan vive attualmente in Ecuador, ma ha fatto un'esperienza prolungata anche in Colombia. Se vuoi conoscerlo meglio, puoi leggere le altre sue lettere: 

Nella terra del Vichada (dalla Colombia)  -  Non era un indigente... (dalla Colombia)

Convertirci all'impossibile (dall'Ecuador)  -  Con un forte grido (dall'Ecuador)

 

Trasformare il tempo...

 

 

I “valori morali”

 

Secondo una agenzia di stampa utilizzata da tutti i principali quotidiani del mondo, la vittoria del presidente Bush si spiega – fra le altre cose – tenendo presente che almeno il 30% dell’elettorato nordamericano “ritiene i valori morali piú importanti di temi come l’economia e la guerra in Iraq”. L’elettorato, dunque, si dividerebbe in due categorie: quelli che sono interessati nei ‘valori morali’, e quelli che si preoccupano dell’economia e della politica internazionale. In quest’ottica, sembrerebbe che l’economia e la politica non abbiano niente a che vedere con la morale.

E cosí, il fatto che il presidente Bush fosse impegnato in una guerra chimica in Colombia, facendo fumigare vaste regioni di quel paese allo scopo di far scappare la gente e sfruttare a piacimento le materie prime di cui sono ricche quelle zone, è una ‘meschina’ questione economica in cui gli elettori che hanno cuore i ‘valori morali’ non sono minimamente interessati. Come scrive Noam Chomsky, questafumigazione chimica  avvelena la terra, muoiono bambini e la gente che é costretta a fuggire soffre di varie malattie. L’agricoltura contadina tradizionale di queste zone sará distrutta in una generazione, e con essa si distruggerá una delle piú ricche biodiversitá del pianeta. E intanto altri contadini, indios e afrocolombiani  andranno ad ingrossare le fila del quasi tre milioni di ‘desplazados’ “. E quando questa gente finalmente se ne sará andata, “le multinazionali potranno smontare le montagne in cerca di carbone, potranno estrarre petrolio e altre materie prime, e poi, forse, trasformeranno ció che rimarrá di quelle terre in una zona in cui allevare bestiame per i ricchi o per l’esportazione, in un ambiente spogliato della sua varietá e dei suoi tesori”. Tutto questo, come si riconosce apertamente nei circoli accademici statunitensi, è visto come “un’ulteriore tappa nel processo storico di espellere i contadini dalle loro terre per garantire il profitto delle compagnie straniere e della elite colombiana”.

E cosí, ritorniamo alla questione di fondo:

 

che cosa intendiamo per “valori morali”?

È chiaro che, a giudicare da come si usa questa espressione, i ‘valori morali’ si riferiscono solo alla sfera della vita privata e familiare, in particolare al tema dell’aborto e alla difesa della vita.  Ma come ci si puó ergere a paladini della famiglia, se poi si promuove una guerra chimica che sta uccidendo e avvelenando intere famiglie? Come si puó parlare di difesa della vita, se poi si approva una guerra di aggressione che, secondo i dati di un autorevole Istituto inglese, ha giá provocato 100.000 morti civili iracheni - soprattutto donne e bambini – e piú di mille morti statunitensi? Che senso ha dire ‘Io sono per la vita, sono contro l’aborto, voglio che i bambini possano nascere’, e poi accettare che si uccidano migliaia di bambini innocenti? Davvero crediamo che Dio possa accettare questa moralità ipocrita e criminale? Se siamo in difesa della vita, dobbiamo esserlo sempre, e soprattutto essere convinti che la vita dei nostri bambini vale tanto come quella dei bambini iracheni e colombiani.

È il solito nefasto dualismo che abbiamo ereditato da un certo tipo di tradizione teologica, secondo la quale i valori morali valgono solo a livello di vita sessuale e familiare. Chiaro che valgono anche a questo livello, ma non solo a questo livello! E sí che il Concilio giá lo ha detto chiaramente piú di quarant’anni fa - e il Papa continua ripeterlo - che l’Evangelo si applica a tutte le sfere della vita umana! Ma nella mentalitá comune questo concetto non è ancora entrato. E allora, fino a quando non riusciremo a far entrare i ‘valori morali’ nella politica e nell’economia, continueremo ad assistere a questo scandalo: politici ‘cristiani’ che provocano morte e massacri di innocenti, e che continuano a presentarsi sfacciatamente come difensori dei ‘valori morali’.

Il presidente Bush, a un giornalista che gli faceva notare il caos in cui ha fatto cadere l’Iraq, ha risposto: “Ma pensate quanto ha avanzato quella società dai tempi della camera di tortura usata da Saddam!”. Che progresso, mister Bush, complimenti! Prima Saddam faceva uccidere centinaia di persone in camere ‘private’ di tortura: adesso, invece, lei fa uccidere migliaia e migliaia di donne, uomini e bambini senza bisogno di queste camere, perché con  i suoi aerei assassini lei ha trasformato il cielo aperto in una enorme camera di tortura: complimenti, un vero progresso!

 

 

Il Diritto appartiene alla preistoria

 

Molti politologi e storici statunitensi affermano ormai apertamente che la guerra in Iraq apre una nuova era della politica internazionale. “Il resto del mondo ha inteso molto bene il carattere esemplare dell’operazione in Iraq”, scrive ad esempio lo storico Roger Owen, professore dell’Universitá di Harvard. Finora si pensava che prima di fare una guerra si doveva pensarci bene dieci volte: la guerra doveva avere una causa giusta e ben documentata, e legittimata – in qualche modo - dagli Organismi internazionali. Ma d’ora in poi i governi dovranno cambiare la maniera di considerare la politica mondiale, e passare “da un’ottica basata sulle Nazioni Unite e sul Diritto Internazionale a un’altra basata sull’identificazione con l’agenda politica di Washington”, come dice il prof. Owen. In altre parole, è finito il tempo del Diritto, il Diritto Internazionale giá appartiene alla preistoria; adesso è il tempo dell’Impero e della ‘guerra preventiva’. D’ora in poi per fare una guerra, basterá che lo voglia il governo di Washington: non sará più necessaria nessun’altra legittimazione.

Ed è proprio a questo, penso, che si riferiva Tony Blair, quando – in una recente riunione dell’Unione Europea, ha affermato: “É ovvio, a giudicare dai commenti che si sono fatti in Europa in questi ultimi mesi, che c’è molta gente che non ha ancora voluto rendersi conto dei cambiamenti che sono avvenuti. Non voglio additare nessuno in particolare. Ma sto cercando di dire che dobbiamo andare avanti. C’é una nuova realtà, e dunque dobbiamo accettare di lavorare con  questa realtà”. Blair – senza fare nomi – si riferiva a quei governi europei che si intestardiscono a difendere il Diritto Internazionale. È come se il primo ministro inglese ci stesse dicendo: “La realtà è cambiata. Voi credete ancora nella Convenzione di Ginevra e in altri patetici documenti del Diritto Internazionale? Svegliatevi! Non è piú tempo di credere in queste favole. Questo è il tempo della ‘guerra preventiva’ : la volontà e il capriccio dell’Impero sará la nuova legge che tutti dovranno rispettare“.

 

 

Usare il tempo creativamente

 

Di fatto, leggendo alcune riviste italiane, anche alcune riviste cattoliche, si percepisce l’idea che si dá quasi per scontato che non si puó fare nulla contro questo stato di cose: questo è il tempo dell’Impero nordamericano, che sono i piú forti; non si puó andare contro la realtà, non si puó andare contro il tempo.

Ma a questo proposito, penso che è utile andarci a rileggere le parole che scrisse Martin Luther King dalla prigione di Birmingham. Il grande leader afrostatunitense aveva ricevuto una lettera da parte di un bianco ‘moderato’ del Texas, che affermava: “Tutti i cristiani sanno che alla fine i neri conquisteranno l’uguaglianza di diritti, peró sembra che lei si sia fatto prendere da una fretta e da un entusiasmo religioso troppo grande. Si ricordi che gli insegnamenti di Cristo hanno bisogno di tempo per arrivare sulla terra”.

A queste obiezioni, Martin Luther King rispondeva: “Quest’atteggiamento è la conseguenza di una  nozione irrazionale, di un concetto tragicamente erroneo del tempo, secondo il quale c’è qualcosa nel flusso stesso del tempo che inevitabilmente curerà tutti i mali. In realtà il tempo è neutrale: può essere usato costruttivamente o distruttivamente. Mi rendo sempre più conto che i figli delle tenebre hanno utilizzato il tempo con più astuzia di quanto abbiano fatto le persone di buona volontà Per questo noi dovremo pentirci non solo delle parole odiose e delle azioni criminali dei ‘cattivi’, ma anche dello spaventoso silenzio dei ‘buoni’. Il progresso umano non cammina sulle ruote dell’inevitabilità, ma arriva solo grazie agli sforzi instancabili degli uomini disposti ad essere collaboratori di Dio; senza questo sforzo, il tempo si trasforma in un alleato delle forze dell’immobilismo sociale. Dobbiamo usare il tempo creativamente, sapendo che non è mai troppo presto per fare il bene: adesso è il tempo di realizzare la promessa della democrazia”.

Quanto risuonano attuali queste parole! Anche oggi vediamo che i “figli delle tenebre” – a qualsiasi credo e a qualsiasi religione appartengano - non perdono un minuto per mettere in atto i loro piani criminali, e stanno usando il tempo distruttivamente.

E noi?

 

Noi tergiversiamo, aspettiamo, abbiamo paura di denunciare apertamente certe cose, perchè ci sembra che non è ancora venuto il tempo per farlo. Ma anche noi siamo chiamati ad usare il tempo creativamente. Ci dicono che questo non è più il tempo del Diritto? E che al terrorismo bisogna rispondere con un terrorismo dieci volte maggiore? E vogliono presentarci come inevitabile la strategia imperiale della ‘guerra preventiva’? E convincerci che il futuro dell’umanità è un futuro da incubo? Beh, questo dipende anche da noi. Come hanno sottolineato molti politologi, ormai sulla scena mondiale esiste solo una superpotenza in grado di controbilanciare lo strapotere dell’Impero statunitense: l’Opinione pubblica mondiale.

Di fatto, le prime comunità cristiane si opposero all’Impero romano in un modo nonviolento e creativo, semplicemente facendo circolare nuove idee, ed imponendosi – poco a poco - come opinione pubblica dominante. Come opinione pubblica dominante, il cristianesimo riuscì a debellare antichissimi mali, come l’infanticidio e la lotta dei gladiatori.

Anche noi dobbiamo usare creativamente il tempo per fare della pace l’Opinione e il Pensiero dominante: è una responsabilità che cade su ciascuno di noi.

 

 

Termometro o termostato?

 

Anche oggi, dunque, la comunità cristiana è chiamata a far sentire la forza delle sue idee, la forza dell’Evangelo, senza complessi di inferiorità né davanti al Moloch imperiale nè davanti al terrorismo islamico o di qualsiasi altro colore. Come diceva Martin Luther King, la Chiesa deve decidersi se vuole essere un semplice termometro – che misura la temperatura e i principi dell’opinione dominante, accettandoli passivamente – o se vuole essere un termostato – che propone una sua propria temperatura e i suoi propri principi, trasformando la società e impedendole di scendere a livelli di barbarie inaccettabili.

 

 

Sogni e incubi

 

In questo contesto, compito imprescindibile dell’Evangelizzazione è aiutare la seconda superpotenza – l’Opinione pubblica – a prendere coscienza della sua forza e delle sue responsabilità. 

É evidente, infatti, che l’Impero ‘democratico’ può fare guerra a paesi poveri e indifesi, e massacrare donne e bambini, solo con l’appoggio della propria opinione pubblica. E l’opinione pubblica può essere persuasa ad appoggiare un massacro di innocenti solo se si sente in preda al terrore e al panico. Quando ci sentiamo minacciati, approviamo qualsiasi tipo di violenza, per quanto crudele ci possa sembrare. Per questo l’Impero poggia il suo potere sul panico, perchè sa che la gente può approvare una politica criminale solo se si sente in balia di un incubo.

E di fatto, la politica imperiale vuole suscitare e alimentare incubi. In uno spot pubblicitario usato da George Bush nella recente campagna elettorale, si vedevano un gruppo di lupi feroci - in agguato - pronti ad attaccare. Il sentimento che si voleva suscitare nella gente è un sentimento di paura e terrore verso i nemici degli Stati Uniti. Questa politica di creare panico e suscitare incubi sembra aver avuto successo, ma in realtà non è ancora detta l’ultima parola.

Io sono convinto che gli incubi non prevarranno, sono convinto che possiamo vincere questi incubi. Come? Usando lo stesso metodo di Gesù: suscitando sogni. L’Impero si alimenta di incubi, e l’incubo si combatte con il sogno.

A partire da questo momento, non parlerò più di incubi, e mi concentrerò sui sogni di Gesù. Quando lottiamo contro le forze di morte, infatti, un grande pericolo è quello di lasciarci imprigionare da quegli stessi incubi che diciamo di voler combattere, ossia, di concentrare tutte le nostre energie e i nostri sforzi nello studio delle forze del male. Preferisco invece studiare e contemplare i sogni che Dio è venuto ad annunciarci.

 

 

Dio in pannolini

 

Prima di tutto, è bene ricordare che quello che stiamo vivendo adesso non è una novità. Anche Gesù nacque in una epoca di incubi: negli anni in cui il Nazzareno era bambino, l’Impero romano fece massacrare e crocifiggere migliaia di ebrei, e rase al suolo – fra le altre – la città di Sefforis, a pochi chilometri da Nazareth, passando a fil di spada tutti gli uomini e catturando come schiave le donne.

Davanti allo strapotere imperiale, molti ebrei speravano in un messia guerriero, che doveva apparire sulla scena politica internazionale accompagnato da un esercito potente in grado di combattere Roma. E invece Dio – sorprendendo tutti – si presentò nelle vesti di un bambino indifeso: “Oggi vi è nato nella cittá di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore. Questo sará per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia” (Lc 2,11-12). Come commenta Francisco Reyes, generalmente noi ci soffermiamo solo su due dei segni indicati dagli angeli: il bambino e la mangiatoia. Peró è importante notare anche il terzo segno: Cristo è avvolto in fasce, cioè in quei panni che aiutavano la mamma a pulire il bambino quando si ‘sporcava’. Cristo, dunque, diremmo oggi, è avvolto in pannolini: Dio ha voluto assumere la condizione umana in tutta la sua fragilità. La vulnerabilità di questo Dio in pannolini sfida la logica delle forze che dominano questo mondo con prepotenza e violenza. Per sentirsi sicuro e per stabilire il suo dominio nel mondo, l’Impero ha bisogno di carri armati, cacciabombardieri e missili supersonici. Dio, invece, per annunciare il suo Regno, ha bisogno soltanto di una mangiatoia e di due pannolini.

 

 

Trasformare il tempo

 

Gesú è il piú grande sognatore di tutti i tempi. Nessuno, nella storia dell’umanitá, ha saputo suscitare tanti sogni - e tanto audaci - come ha fatto Lui. Il Vangelo della Natività ci dice che il bambino Gesú ha potuto continuare a vivere, sotto la persecuzione di Erode, grazie a un sogno che Dio ha inspirato a san Giuseppe, incitandolo a rifugiarsi in Egitto. Anche oggi, Gesú continua a vivere nelle nostre comunitá grazie ai sogni che suscita in mezzo a noi.

 “Dio dá vita ai morti e chiama all’esistenza le cose che ancora non esistono” (Rm 4,17). In questo versetto si racchiude la fede e la speranza del cristiano. È vero che quello che sognamo non si è ancora realizzato, ma avere fede significa credere che Dio puó dare vita a ció che ancora non esiste. Se non crediamo in questo ‘sogno’, non  siamo uomini di fede.

Speró contro ogni speranza…Questo gli fu accreditato come giustizia” (Rm 4,18-22). Per un cristiano, dunque, credere in questo ‘sogno’ non è facoltativo ma ‘obbligatorio’: essere giusto agli occhi di Dio implica saper sperare e sognare contro ogni speranza, credere nei sogni di Gesú. Solo un sognatore puó essere uomo di fede. E se la fede puó muovere montagne, il sogno puó trasformare il tempo.

E così, a quel bianco ‘moderato’ che gli diceva di aspettare a lottare per i diritti dei neri, perchè si stava ancora vivendo il tempo della razzismo, Martin Luther King rispondeva: ‘Questo è il tempo della segregazione? Beh, io ho un sogno. E con il mio sogno posso trasformare il tempo del razzismo nel tempo della libertà e della democrazia’. A Comboni dicevano che non era ancora arrivato il tempo dell’Africa, che la Chiesa – per molti anni – avrebbe continuato a concentrare la sua attenzione su altri continenti. Ma Comboni rispondeva: ‘Voi siete molto prudenti, e la vostra eccessiva prudenza vi fa perdere la confidenza in Dio. Io ho fiducia in Dio, e Dio mi ha ispirato una visione, un sogno: Salvare l’Africa con l’Africa. Voi mi dite che questo è ancora il tempo del colonialismo europeo, il tempo della schiavitù. Ma io sogno di trasformare questo tempo nel tempo dell’Africa, nel tempo della liberazione’.

E si potrebbero citare tanti altri santi che hanno imitato l’esempio di Gesú, che disse: ‘Voi mi dite che questo è il tempo dell’Impero romano, che impone il suo calendario a tutto il mondo, iniziando a contare gli anni dalla fondazione di Roma (754 A.C.). Voi mi dite che questo è il tempo dell’oppressione e della schiavitù, imposta con la violenza e con il sangue. Ma io vi dico che ho un sogno, e voglio che questo sia il tempo della fraternità e della pace. Questo che fino a ieri sembrava il tempo dell’Impero del carro armato e delle bombe a grappoli, sará adesso il tempo del Dio che si presenta in pannolini e monta un asinello. Questo che fino a ieri sembrava un tempo ‘maledetto’ si trasformerá adesso in un tempo benedetto, provvidenziale, in un ‘kairós’, un tempo dove cominceremo a praticare la giustizia, l’uguaglianza, la solidarietà e la pace”.

Gli indios quechua dell’Ecuador chiamano questo tempo in cui prevale il neoliberismo Yakipachi”, cioè “Il tempo della tristezza e della corruzione”, il tempo in cui il mondo è rovesciato rispetto a quello che era il progetto originario di Dio. Ma grazie alla loro fede, gli indios ecuatoriani sognano di trasformare il Yakipachi in Pachakutik, cioè nel ‘Tempo in cui si restaura il progetto di Dio’.

Natale è questo: riconoscere che Dio ha il potere di creare ció che ancora non esiste, ha il potere di trasformare il Yakipachi in Pachakutik, un tempo di morte in un tempo di vita.

 

 

La ‘pazienza ardente’

 

“Vigilate, perché non sapete quando il padrone di casa ritornerá…Non sia che giunga all’improvviso e vi trovi addormentati. Quello che dico a voi lo dico a tutti: Vegliate!” (Mc 13,35-36).

Ciò che caratterizzava la comunità cristiana era l’attesa del ritorno del ‘padrone di casa’, l’attesa del Messia. E per aspettare il Messia, ci dice Gesù, dobbiamo vegliare nella notte; concretamente, questo significa che dobbiamo lottare contro la tentazione di addormentarci e di appiattirci sui ‘valori’ e sui timori su cui l’Impero poggia il suo potere.

Ma vegliare nella notte non è facile, e non è qualcosa che si improvvisa: si richiedono alcune doti e alcuni atteggiamenti che bisogna coltivare. Il popolo afroecuatoriano ha l’abitudine di vegliare e cantare la notte intera per celebrare le principali feste della propria tradizione religiosa: Sant’Antonio, la Madonna del Carmelo, la notte di Natale, etc. Questa festa di vigilia si chiama ‘arrullo’, parola che propriamente indica il canto che accompagna la veglia. Io ho partecipato il luglio scorso all’arrullo della Madonna del Carmelo: arrivata la mezzanotte, per me era molto difficile rimanere sveglio, e mi sorprendeva vedere l’ostinato entusiasmo con cui gli afro continuavano a cantare alla Madonna, e a suonarle il tamburo, per tutta la notte, senza fermarsi.

In questa tradizione del popolo afroecuatoriano ho percepito un aspetto messianico. Vegliare cantando fino all’alba, in effetti, è una forma di resistenza, è una maniera di rispondere allo Parola, che ci sprona a “resistere saldi nella fede” (1Pt 5,9). Se l’Impero, di giorno, ci fa vivere in una realtà di incubi, e alimenta incubi per rafforzare il suo potere, il popolo espressa la sua volontà di continuare ad alimentare sogni. Non siamo soddisfatti di come l’Impero organizza la nostra vita durante il giorno: per questo aspettiamo la notte, per cantare e sognare liberamente. L’incubo si combatte con il sogno, con il canto e con la festa. Per questo rimaniamo svegli, cantando a Dio e a Maria, perchè con loro cerchiamo un cammino nuovo, con loro vogliamo creare un mattino diverso. L’arrullo, dunque, è una maniera di trasformare il tempo, una maniera per affrettare la venuta del Bambino Gesú, o di Maria, perché vengano a consolare le nostre pene e a darci l’energia necessaria per continuare a lottare, a resistere e a cantare canti di vita.

Se non siamo disposti a vegliare e cantare nella notte, se rinunciamo ad aspettare il Messia, se ci siamo già abituati a convivere con gli incubi imperiali e non vogliamo rivitalizzare i sogni di Gesú, non possiamo piú definirci cristiani.

 

Certo che restare svegli la notte è difficile, dicevamo: da un lato bisogna tenere pazienza, perché sembra che la notte sia infinita e che l’alba non giunga mai, ma dall’altro bisogna cantare con entusiasmo, e toccare il bombo (un tamburo) con energia, per disperdere la tentazione del sonno. Saper unire la pazienza all’entusiasmo dovrebbe essere la caratteristica propria del popolo messianico, del popolo cristiano. Il nostro criterio di condotta, dunque, dovrebbe essere la ‘pazienza ardente’ di cui parlava Pablo Neruda in una sua poesia:

 

“Solo con una ardente pazienza

Conquisteremo la splendida cittá

Che dará luce, giustizia e dignitá

A tutti gli uomini”.

 

Le prime comunità cristiane, nella loro attesa messianica, usavano un linguaggio molto simile: “Attendendo la venuta del giorno di Dio…noi aspettiamo, secondo la sua promessa, nuovi cieli e una terra nuova, nei quali avrá stabile dimora la giustizia. Perciò, nell’attesa di questi eventi, fate in modo che Dio vi trovi in pace (2Pt3,12-14).

Vigilare e “resistere nella fede”, dunque, significa sognare un mondo diverso, impegnarci a sviluppare una prassi di giustizia, in modo che Gesú ci trovi in pace. Purtroppo, se il Messia venisse adesso, non ci troverebbe in pace, bensì in guerra: ci troverebbe coinvolti in un massacro di innocenti che abbiamo la spudoratezza di giustificare in nome della democrazia.

 

Cosa dobbiamo fare, dunque, perchè Dio ci trovi in pace? Dobbiamo trasformare questo tempo di incubi (terrorismo, cambiamenti climatici, guerra biologica, fine del Diritto Internazionale, etc) in un tempo di sogni.

 

Essere cristiani significa non adeguarci a questa ‘nuova realtá’, come la chiama Tony Blair, non rassegnarci all’idea che questi incubi siano la meta ultima e inevitabile del cammino dell’umanitá, ma continuare a credere nel sogno. Se non ci impegnamo in questo, rinunceremmo ad essere cristiani, e la nostra presenza nel mondo non avrebbe piú nessun senso.

Il Natale ci ricorda la virtú fondamentale che ci aiuta a vegliare nella notte, e che alimenta la nostra speranza: la capacitá di sognare, e la pazienza di saper continuare a sognare nonostante tutto.

 

 

Un’arma nonviolenta: la festa

 

“Il Signore degli eserciti preparerá per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto di grasse vivande e vini eccellenti…Eliminerá la morte per sempre; il Signore Dio asciugherá le lacrime su ogni volto, restituirá l’onore al suo popolo…” (Is 25,6-9).

In questa straordinaria profezia messianica, Isaia immagina che Dio invita tutti i popoli a una festa. La finalitá di questa festa è ‘distruggere la morte’. Di fatto, la festa è una forma di resistenza contro la cultura di morte, è uno spazio dove si vivono certi valori vitali, normalmente negati dalla società. In questo senso, celebrare la festa è un’altra maniera di trasformare il tempo, un’altra arma nonviolenta che Dio mette a nostra disposizione per combattere la morte: la festa trasforma il tempo dell’egoismo e dell’individualismo nel tempo della solidarietà e della condivisione.

Nella cultura popolare degli Afro, la festa ha questo significato: in mezzo a tante difficoltà, il popolo sente la necessitá di trascorrere un po’ di tempo insieme agli altri, in allegria e serenitá, condividendo quel poco che si ha. Si puó dire che la festa è lo strumento principale con cui il Popolo Afro, per molti secoli, ha lottato contro la morte, cercando - attraverso il canto, la danza e l’allegria - di non soccombere alla disperazione e all’angoscia provocata dalla schiavitù e dall’oppressione.

Alla fine di questa festa cui sono invitati tutte le genti, Dio asciuga le lacrime e restituisce l’onore al suo popolo. La Parola, dunque, come scrivevo in un’altra lettera,  ci propone la festa solidale dei popoli come modello di politica estera. La politica internazionale dovrebbe essere lo spazio in cui i popoli dialogano pacificamente per affrontare e risolvere insieme le situazioni che provocano sofferenza. Scopo della politica estera, dunque, dovrebbe essere asciugare le lacrime delle nazioni oppresse, e riconoscere a ciascun popolo i suoi diritti, il suo onore.

Purtroppo, viviamo in un tempo in cui la politica internazionale, invece di asciugare le lacrime dei popoli, le moltiplica, provocando dolore, distruzione e morte. Questa profezia messianica, dunque, ci invita a trasformare il tempo della guerra preventiva nel tempo della festa solidale dei popoli. Di fatto, per molti aspetti, la festa è ció che piú si contrappone alla guerra. Nella festa la gente si sente serena, tranquilla, allegra, in pace: la festa è lo spazio in cui si celebra la vita. La guerra, invece, é la situazione in cui la gente sente paura, angoscia, terrore, panico, e piange: è lo spazio in cui domina incontrastata la morte.

L’incubo della guerra, dunque, si combatte con la festa, cioè, alimentando il sogno di una politica estera festiva e fraterna.

 

 

Evocare il sogno

 

Nella mia lettera di Quaresima - “Preparare profumi” - ricordavo che nel Vangelo di Luca Gesú, subito dopo aver istituito l’Eucaristia, parla dell’esercizio del potere: “Questo è il mio corpo che é dato per voi. Fate questo in memoria di me….I re delle nazioni le governano come signori assoluti e quelli che esercitano il potere si fanno chiamare benefattori. Peró tra voi non sia cosí…Io sto in mezzo a voi come colui che serve” (Lc 22,19-26). E dicevamo che pronunciando queste parole durante l’ultima cena, Gesú vuole trasmetterci  e alimentare in noi un grande sogno: quello che sia possibile una politica senza violenza, una politica senza imposizione da parte del piú forte, una politica che esca dalla logica del potere e della sopraffazione ed entri nella logica eucaristica del servizio. E cosí, da un lato Cristo ci propone una politica ‘eucaristica’, e dall’altro ci propone una eucaristia ‘politica’: ricevere il sacramento dell’eucaristia significa entrare in comunione con una Persona che aveva un progetto comunitario e politico alternativo, dove non prevalesse la legge del piú forte. Entrare in comunione con  questa persona significa – fra le altre cose – condividere il suo progetto e i suoi sogni: la logica del servizio fraterno deve entrare in tutti gli ambiti della vita, anche nella maniera di organizzare la società e di gestire il potere.

Nel momento stesso in cui istituisce l’Eucaristia, e ci propone questo progetto, Gesù ci dice che dobbiamo “fare memoria di lui”. Quando celebriamo l’Eucaristia, dunque, dobbiamo far memoria, ricordare questo sogno che Gesú ci ha lasciato alla vigilia della sua Morte. É importante ricordare tutti i sogni di Gesú. Le nostre eucaristie dovrebbero aiutarci in questo: ad ‘evocare’ - cioè a richiamare alla memoria - i sogni del Messia, a tener viva la speranza e l’attesa messianica.

 

 

Invocare, evocare, provocare e convocare

 

E-vocare propriamente significa ‘chiamare da fuori’: dobbiamo riconoscere che, per molto tempo, questo sogno è rimasto fuori dalle nostre celebrazioni, è rimasto fuori dalla vita delle nostre comunità.

Ma per poter ‘chiamare da fuori’ questo sogno, dobbiamo in-vocare Dio, dobbiamo cioè ‘chiamare dentro’, portare la nostra preghiera e il nostro impegno dentro il cuore il Dio: dobbiamo familiarizzarci con il sogno di Dio, entrando in comunione con il Cuore che ha originato questo sogno. Come ci avverte padre Rupnik, una tentazione in cui possiamo facilmente cadere è quella di credere che si possa vivere da cristiani senza entrare nel cuore di Cristo, e pensare che si possano proporre i valori evangelici senza entrare in comunione con Colui che ci ha annunciato il Vangelo.Io sono la Resurrezione”, dice Gesú. La Resurrezione, dunque, è il modo di essere di Dio, che ha in se stesso la capacitá di suscitare vita, gioia e speranza lí dove i potenti volevano produrre rassegnazione, disperazione e morte.

A questo proposito, è importante ricordare – nell’episodio della resurrezione di Lazzaro – il ruolo di sua sorella Marta. Marta ama moltissimo suo fratello Lazzaro, ma nonostante il suo grande amore non ha in sé la forza di vincere la malattia che lo sta uccidendo, non ha in sé la forza di produrre gioia lí dove la malattia e la morte han prodotto disperazione. Solo quando Marta entra in comunione con Gesú e lo riconosce Figlio di Dio (Gv 11,27) Lazzaro puó uscire dalla tomba. Questo significa che se noi – come missionari – non invochiamo Dio e non entriamo nel suo cuore, il nostro annuncio non puó essere Buona Notizia, perché – anche se parliamo di valori evangelici – ci mancherebbe la forza del Vangelo vivo, Gesú Cristo, che è l’unico che puó infondere gioia e speranza in una situazione di dolore e di morte, l’unico che puó trasformare un tempo di tenebra in un tempo di luce. In altre parole, se la Resurrezione non è in noi, potremo sdegnarci e denunciare le tenebre, ma non saremo capaci di combattere la rassegnazione e lo scoraggiamento, perché ci mancherebbe quell’energia contagiante, quello Spirito di amore, di bellezza e di gioia senza il quale non è possibile risvegliare i cuori e suscitare speranza.

Solo in questo modo, dopo aver invocato Dio, dopo essere entrati nel suo Cuore ed esserci lasciati contagiare e profumare dal suo Spirito, potremo pro-vocare, potremo cioè ‘chiamare in avanti’. Come cristiani, siamo chiamati a ‘provocare’ la nostra societá, cioè, a lanciarla in avanti: il sogno di Dio ci proietta verso il futuro, ci invita a non rassegnarci, a non accontentarci di ciò che ci propone l’attualità, e a trasformare il presente nel futuro che il Signore sogna da sempre. In questo modo, e solo in questo modo, potremo con-vocare, potremo cioè chiamare molta gente attorno all’altare del Dio che si fa pane per condividere con noi il suo sogno di pace e di fraternità.

In altre parole, solo una chiesa che provoca puó convocare; se non ‘provochiamo’ la nostra societá, se non la lanciamo in avanti verso Cristo e il suo Vangelo, se perdiamo il nostro profumo messianico, perderemo il nostro potere convocatorio, perderemo la nostra ragione d’essere.

Invocare per poter evocare, evocare per poter provocare, provocare per poter convocare: in queste quattro parole si riassume il nostro programma pastorale per questo Avvento.

 

 

Cambiare il corso della storia

 

Cominciamo, dunque, a evocare i sogni che Gesú ha suscitato nelle prime comunitá cristiane.

Il primo di questi sogni é strettamente collegato alla Resurrezione. Sappiamo che l’antico Israele non credeva nella risurrezione dei morti. La fede nella risurrezione cominció ad emergere solo attorno il III e II secolo avanti Cristo, in un momento di profonda crisi, quando il popolo d’Israele era oppresso dall’Impero ellenista. Dio sembrava impotente di fronte alla prepotenza di questo grande Impero; fu allora che – in mezzo al popolo – nacque una grande speranza, cui dette voce la letteratura apocalittica: sembra che Dio stia ‘dormendo’, ma in realtà sta preparando il suo intervento. Non sappiamo ancora come e quando, peró sí sappiamo che Dio interverrà, non abbandonerà la storia nelle mani dei potenti: fra poco Dio si manifesterà ai poteri del mondo per fare giustizia. Dio ha il potere di trasformare il tempo e di rifare il mondo, Dio ha il potere di cambiare il corso della storia.

La maggior parte della letteratura apocalittica – a differenza del libro di Daniele – immaginava questo intervento di Dio come un intervento  militare spettacolare. Gesú rifiuta il militarismo apocalittico, peró riprende l’idea che Dio ha a cuore il destino del suo popolo e interverrá per inserire in questa storia di ingiustizia e violenza un seme di giustizia e di pace. Questo progetto Gesú lo esprime attraverso la categoria del “Regno di Dio”: di fronte alla violenza e allo crudeltà dell’Impero romano, Gesú propone il progetto alternativo del Regno.

Per i discepoli questo stesso progetto di Dio si manifestó pienamente nella Resurrezione: “Voi l’avete inchiodato sulla croce per mano di empi e l’avete ucciso. Ma Dio lo ha risuscitato, liberandolo dalla morte” (At 2,23-24). Con queste parole Pietro presenta la Resurrezione come una reazione divina contro la violenza umana. I sacerdoti del Tempio e i rappresentanti dell’Impero fecero assassinare Gesù; con la Resurrezione, Dio volle dis-fare questo assassinio, volle annullare la morte decretata dai potenti; con la Resurrezione, Dio dimostra che ha il potere di invalidare le decisioni criminali dell’Impero, e di rendere nulla la sua politica di morte.

Gesú fu ammazzato dal potere politico-religioso in nome di Dio. Ma adesso Dio, resuscitando suo Figlio, mette in chiaro che Lui non ha  niente a che vedere con tutte quelle strutture e quei governi che promuovono massacri, torture e guerre nel suo nome. Si potrebbe definire la Resurrezione come un atto di obiezione di coscienza, da parte di Dio, contro l’Establishment politico-religioso che parla in suo nome per giustificare l’omicidio e l’oppressione. Con la Resurrezione, Dio crea vita lí dove l’Impero aveva voluto distruggerla. Cosí, in mezzo a una storia di crocifissione, di peccato e di morte, Dio scrive una contro-storia di resurrezione, di grazia e di vita.

In altre parole, con la Resurrezione Dio vuole riscrivere la storia, vuole lanciare il corso della storia in  una nuova direzione, e apre la porta a un sogno audacissimo: la morte sará sconfitta; non saranno la morte e l’oppressione a pronunciare l’ultima parola sulla vita dell’uomo.

 

 

Annunciare la pace

 

“Il Signore annulla i disegni delle nazioni, rende vani i progetti dei popoli. Ma il piano del Signore sussiste per sempre, i pensieri del suo cuore per tutte le generazioni” (Sal 33,10-11).

Il signore annulla la morte decretata dall’Impero, il Signore annulla i disegni di guerre preventive, rende vani i progetti di ‘massacri umanitari’.

Come dice il salmista, il progetto del Signore non è cambiato in tutti questi secoli: è rimasto lo stesso, sussiste per sempre. E qual é questo progetto del Signore?

 

Ascolteró che cosa dice Dio, il Signore. Egli annunzia la pace…” (Sal 85, 9). ‘Pace’: questo era il progetto di Dio tremila anni fa, quando cominciarono a cantare questo salmo. Mille anni dopo, quando mandó suo Figlio, il suo progetto non era cambiato: “Gloria a Dio nel piú alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama” (Lc 2,14).

Pace’ è la parola che collega il Natale alla Pasqua: ‘pace’ fu la parola degli angeli ai pastori, e ‘pace’ fu la parola del Risorto ai suoi discepoli: “La pace sia con voi” (Gv 20,21). È incredibile: dopo aver sofferto la violenza della croce, la piú grande tortura che infliggeva l’Impero, Gesú continua a sognare la pace: dalle sue labbra non esce una sola parola di odio o di vendetta, o di rappresaglia, o di incitazione alla violenza ‘preventiva’.

Certamente, annunciare la pace in un momento in cui l’Impero parla solo di guerra, puó sembrare una pazzia; credere nella vita e nella resurrezione in un tempo di violenza e di morte puó sembrare un delirio. E di fatto, questo fu l’atteggiamento degli apostoli quando le donne dissero che era apparso il Risorto per annunciare la pace: “Pensavano che si trattava di un delirio, e non ci credettero” (Lc 24,11). ‘Peró tu, Chiesa di Dio’, ci esortava il compianto Tonino Bello, ‘figlia primogenita della Pasqua di Gesú, non aver paura di cadere in certi delirii. Sto ricordando le parole di don Tonino a memoria, non ho sottomano la citazione esatta. E continuava: ‘Se credi nella Resurrezione, devi credere anche nelle parole del Risorto: non puoi accendere il video e spegnere l’audio. La prima parola del Risorto è ‘pace’: non puoi accogliere solamente la visione di Gesú e dimenticare quello che Gesù ti sta dicendo, non devi permettere che riducano la pace a un elemento del mondo delle favole’. E di fatto, è questo che vuole ottenere l’Impero: ridurre il sogno di Gesù a un delirio, farci desistere dal nostro sforzo di evocare i sogni del Risorto, farci credere che i sogni di Gesù sono pura illusione, convincerci che la tortura, la distruzione di città intere e il massacro di innocenti sono uno strumento legittimo e necessario della politica internazionale.

Ma noi sappiamo che la nostra fede nella resurrezione è tutt’uno con la nostra fede nella pace, che è il progetto politico e missionario di Cristo: “Egli è venuto ad annunciare la pace” (Ef 2,17). La pace  non è una fola, non è l’illusione eccentrica di un profeta impazzito: è la ragione dell’Incarnazione di Dio, è ciò che ha spinto Dio ad indossare pannolini nella grotta di Betlemme, è il sogno che il Risorto ha voluto suscitare nelle nostre comunità. La pace, la nonviolenza evangelica, non è una chimera, non è una menzogna: la vera menzogna è la violenza, è la ‘guerra preventiva’, che promette di combattere il terrorismo, ma in realtà lo alimenta, lo moltiplica e lo rafforza.

 

 

 

 

Il diritto di delirare

 

E comunque, se per un attimo anche noi avessimo pensato – con gli apostoli - che il racconto di Maria Maddalena è solo un delirio, dobbiamo adesso riconoscere che l’avvenimento della Resurrezione dà diritto di cittadinanza al delirio. Se per l’Impero l’unica politica saggia e razionale è la ‘guerra preventiva’, dobbiamo rivendicare il diritto di delirare e di continuare a gridare e sognare la pace.  Vi propongo adesso alcuni passi del “Diritto al delirio”, che Eduardo Galeano ha composto in occasione dell’inizio del nuovo millennio:

 

Per un millennio che se ne va, ecco un altro che viene: è l’occasione propizia - per gli oratori di infiammata retorica - di dissertare sul destino dell’umanità, mentre il tempo continua, con la bocca chiusa, a camminare lungo lo spazio dell’eternità e del mistero. Anche se non possiamo indovinare come sarà il tempo che verrà, abbiamo almeno il diritto di immaginare come vorremmo che fosse. Nel 1948 e nel 1976 le Nazioni Unite hanno proclamato lunghe liste di diritti umani; ma l’immensa maggioranza dell’umanità ha solo il diritto di vedere, sentire e tacere. Che ve ne pare se cominciamo ad esercitare il diritto di sognare, anche se  non è riconosciuto in nessun documento? Che ne dite se per un po’ ci mettiamo a delirare?

 

E allora iniziamo: L’aria sarà pulita; gli unici veleni permessi saranno quelli dei timori umani e della passioni umane. La gente non sarà più guidata dall’automobile, nè sarà programmata dal computer, nè sarà comprata dal supermercato, nè sarà guardata dalla televisione. Il televisore non sarà il membro più importante della famiglia, e sarà trattato come il ferro da stiro.

 

Gli uomini lavoreranno per vivere, invece di vivere per lavorare. Nei codici penali di tutti i paesi si introdurrà il reato di stupidità, commesso da coloro che vivono per possedere o per guadagnare, invece di vivere semplicemente per vivere, così come fa l’uccello che canta senza sapere cosa canta, o il bambino che gioca senza sapere a cosa sta giocando.

 

In nessun paese si metteranno in carcere i giovani che si rifiutano di svolgere il servizio militare; al contrario, andrà in prigione chi vorrà arruolarsi.

 

Gli economisti smetteranno di chiamare ‘livello di vita’ il livello dei consumi, e non chiameranno più ‘qualità di vita’ la quantità delle cose.

 

Gli storici smetteranno di credere che le nazioni non vedono l’ora di essere invase e distrutte. Il mondo non farà più guerra ai poveri ma alla povertà, e l’industria militare si vedrà obbligata a dichiarare bancarotta.

 

Il cibo non sarà una merce, né la comunicazione sarà un affare, perché il cibo e la comunicazione sono diritti umani. Nessuno morirà di fame, perchè nessuno morirà di indigestione. L’educazione non sarà più privilegio esclusivo di chi può permettersi di pagarla, e la polizia non sarà più la maledizione di chi non può comprarla.

 

Una donna, una negra, sarà presidente del Brasile, e un’altra donna, anche lei negra, sarà presidente degli Stati Uniti; una india governerà il Guatemala, e un’altra il Perù. In Argentina le ‘pazze’ di Plaza de Mayo saranno un esempio di salute mentale, perchè si rifiutarono di dimenticare quando l’amnesia era un obbligo per tutti.

 

Saranno rimboscati i deserti del mondo e i deserti dell’anima. Saremo compatrioti di tutti coloro che amano la giustizia e la bellezza, non importa dove siano nati, perché dalla carta geografica saranno sparite le frontiere….”

 

 

 

Il potere della stella

 

 

“Quando riapparve la stella,

i Magi provarono una grandissima gioia” (Mt 2,10)

 

Tanto più scura è la notte, tanto più brillano le stelle. In questa notte oscura, in questo ‘scontro di civiltà’ decretato dall’Imperatore, i cittadini dell’Impero ostentano decisione e sicurezza sotto le ali protettive dei loro cacciabombardieri. Ma nel cuore che palpita al di là della ‘corazza’ che vogliamo ostentare, vivono tante nostalgie: nostalgia di verità, nostalgia di pace, nostalgia di comunione, nostalgia di fraternità. Tanto più scura è la notte, tanto più brillano le stelle. Per questo la stella di Betlemme quest’anno risplende più luminosa che mai.

 “Io dormo, ma il mio cuore veglia, dice la protagonista del Cantico dei cantici (Ct 5,2). Nonostante tutti i loro cacciabombardieri e nonostante tutti i loro kamikaze, l’Impero e Al-Qaeda non possono distruggere questo cuore, al massimo lo possono addormentare per un po’ o drogare. Questo è il punto debole dei violenti: che sono impotenti di fronte ai sussurri di pace e fraternità che Dio continua ad alimentare nel nostro cuore. E questo è il nostro punto di forza: che i violenti non possono impedire che Dio continui a parlare al cuore. La nostra priorità missionaria, dunque, sarà risvegliare questo cuore: portare alla luce tutte queste nostalgie che quest’anno palpitano più forti che mai, risaltare la forza di questa piccola stella che, in mezzo alla preponderanza del buio, ha il potere di risvegliare in tutti noi fragranze dimenticate, speranze che sembravano perdute.

A volte, quando vedo la tronfia arroganza dei cannoni e dei missili, mi fanno pena, perché nessun cannone potrà distruggere il profumo della fraternità; al contrario, alimenterà tante nostalgie. L’Impero romano, con tutti i suoi carri e i suoi cavalli, con tutte le sue lance e le sue spade, non ha potuto impedire che il Dio in pannolini diffondesse il profumo ‘sovversivo’ del Vangelo.

Per alimentare la nostra speranza e la nostra allegria, dunque, abbiamo bisogno di guardare questa piccola stella che con gli angeli ci grida: “Pace in terra!”. È una stella che Erode vorrebbe far tacere, ma in questi duemila anni nessun Imperatore è riuscito a spegnerla: dopo due millenni, questa stella rimane lì, imperterrita, a indicarci il cammino del Signore, a turbare il sonno dei potenti, a mantener vivi i sogni che l’Impero non riesce a strappare dal nostro cuore.

 

 

Imparare a con-siderare

 

Sappiamo che la parola ‘con-siderare’ deriva dal latino ‘con’ (‘insieme’) e ‘sidus-sideris’ (‘stella’). ‘Considerare’, dunque, propriamente significa ‘guardare insieme la stella’: non accontentarci dei progetti dei governi terreni, ma contemplare e considerare le cose dal punto di vista di Dio; non limitare il nostro sguardo alla convenienza del presente, ma allargarlo all’orizzonte del futuro. E tutto questo dobbiamo farlo insieme. In questo Natale, impegnamoci – nella nostra scuola, nella nostra famiglia, nella nostra parrocchia, nei nostri gruppi, nella nostra comunità – a ‘guardare insieme la stella’. Fermiamoci un po’ di tempo a contemplare, ricreamo spazi comunitari di riflessione, insegnamo ai nostri figli a sognare, introduciamo una nuova materia – il ‘delirio’ – nel curricolo scolastico, educhiamo i giovani a considerare la nostra vita alla luce della stella e del messaggio di Betlemme, senza complessi d’inferiorità di fronte al mondo ‘postmoderno’. Perché questa società sembra aver perso la capacità e la volontà di sognare, ma è proprio quando l’aridità si fa più forte che la gente – assetata – ricomincia a cercare l’acqua. Credere nel Natale significa credere che è possibile trasformare il tempo della siccità nel tempo della fertilità, il tempo del buio nel tempo della stella che risveglia il cuore.

 

fr. Alberto Degan

 

 

 

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