Natale 2006: sr. Donatella da Betlemme
Perchè trattate così Betlemme?
Notizie dal Baby Hospital - lettera di sr. Donatella Lessio, suora Elisabettina
Approfondisci leggendo:
- un articolo di Le Monde Diplomatique sul conflitto Israelo-Palestinese, nelle Notizie Autogestite del sito
- una catechesi GIM sulla nascita di Gesù... in terre già violentate
- solidarietà dei vescovi toscani alla Terra dell'Incarnazione: mons Cetoloni durante la Carovana della Pace
Qui Betlemme, 9 Dicembre 2006
Il Natale si
avvicina e l’ attenzione verso Betlemme si riaccende e ci riscalda il cuore.
Come e` oggi la vita in Betlemme? Ce lo chiedono i
nostri amici, le persone che ricordano con amore i bambini
Il Baby Hospital e` un
interessante punto di osservazione per capire la realta` di Betlemme; qui arrivano i bambini Palestinesi
bisognosi di cure, qui si protegge la loro fragile vita, qui le madri cercano aiuto e sostegno. La realta` che si trovano ad affontare e` spesso cosi` dura ed ostile …..
Le difficili condizioni in cui vivono tante famiglie,
specie nei villaggi, pongono i bambini in una situazione di forte rischio di malattie. La disoccupazione tocca livelli
altissimi e si fa sentire sempre piu` con il carico di problemi a livello umano che inevitabilmente porta con se`; il
marito disoccupato diventa “un figlio in piu`” da gestire, con un peso
moltiplicato per la donna, non raramente soggetta ad una vita priva di
dignita`: in molti casi, sfinita dalle continue gravidanze, la donna partorisce
figli deboli e bisognosi di urgenti cure mediche. Le condizioni igieniche precarie, in particolare la
scarsita` di acqua rendono ancor piu` fragile lo stato di salute dei bambini.
Il contatto diretto, quotidiano con le madri, ci
permette di conoscere i loro drammi enormi, il mondo senza respiro in cui i
Palestinesi sono costretti a vivere una vita da prigionieri, privati della
normale liberta` di movimento e dei fondamentali diritti di un essere umano.
Eppure, nonostante tutte le difficolta`, qui i bambini
sembrano avere una gran voglia di venire al mondo, come Bashir, nato sulla
porta del nostro ospedale, un parto cosi` facile, che….dice la mamma, “quasi non me ne sono accorta che stava
venendo al mondo”, ed ha voluto fermarsi
al Baby Hospital, temendo di non poter raggiungere in tempo la clinica di
maternita`.
Stranamente ci sono anche giorni silenziosi e troppo tranquilli: sono i giorni in cui le maggiori
restrizioni alla liberta` di movimento e blocchi militari impediscono l’accesso
a Betlemme, e i genitori non possono accompagnare
all’ospedale i loro bambini bisognosi di
cure.
Le situazioni piu` complesse da gestire sono i
trasferimenti di un bambino dal Baby Hospital ad un altro ospedale, per particolari cure: il gran numero di persone
coinvolte e le infinite procedure
burocratiche rendono tale “operazione”
una vera impresa.
Data la mancanza, in Betlemme, di reparti di cure intensive, reparti
specialistici e chirurgici, per una consultazione o trasferimento ci si deve riferire a ospedali in Gerusalemme,
ma per raggiungerli bisogna oltrepassare il muro: e qui si sperimenta fino in
fondo la fatica di essere Palestinesi.
Una fitta rete di contatti si mette subito in moto per
far si` che il trasferimento e le
prestazioni mediche avvengano tempestivamente: genitori del bambino, medici, operatori sanitari e
sociali, impiegati ed alcune persone che “contano” … sia in Palestina che in
Israele, vengono coinvolti nel trovare un posto in ospedale, nel far funzionare
l’assicurazione medica (quando c’e`), o per fornirla quando manca,
nell’ottenere il permesso per entrare in Israele, nel trovare le ambulanze… prima quella Palestinese, e poi quella
Israeliana. L’ambulanza palestinese trasporta il bambino fino al muro, al check
point: qui il bambino viene trasferito
nell’ambulanza israeliana che lo trasporta all’ospedale stabilito.
Tutto questo richiede un’enorme mole di lavoro, di
contatti, di tentativi e tentativi, di paziente tessitura di infiniti dettagli,
e richiede interminabili giornate, tempi lunghi, davvero troppo lunghi per un
bambino che sta male…cosi` Amira,
due mesi di vita, in estrema necessita` di cure specialistiche, ci ha pensato
lei a risolvere la situazione e, stanca di aspettare la risposta che non
arrivava mai, se n’ e` ritornata tra gli angeli quasi senza che ce
ne accorgessimo.
Ma a volte le fatiche vengono ripagate. La dottoressa Antke,
tedesca, in pochi anni diventata espertissima in trasferimenti di bambini
ammalati, quando vede l’ambulanza israeliana allontantanarsi verso Gerusalemme portando al sicuro un bambino di Betlemme, fa
volentieri un sospiro di sollievo e lascia che i suoi occhi sorridano di gioia;
un’ altra vita puo` essere salvata!
Palestina sotto l’ ”embargo”
Anche per i bambini non ci sono servizi che funzionino e le madri spendono ore
cercando medicine e cure da un ambulatorio all’altro. Alla fine approdano al
I disagi per la popolazione sono ora incalcolabili e
fanno accelerare impoverimento e malessere. Abituati (ed anche un po’ “viziati”)
ai fondi dell’Europa che puntualmente arrivavano in Palestina, i cittadini si
trovano ora a subire un “embargo” che destabilizza sempre di piu` quella che
prima era la fragile impalcatura dell’Autorita` Palestinese. Si va avanti sotto
il regime del caos e della completa
incertezza su quello che potrebbe succedere domani.
Neppure i bambini suscitano un po` di buon senso e di
responsabilita`; nessuna pieta` per il
loro futuro. Non pagati da mesi, anche gli insegnanti hanno fatto il loro
sciopero. Il primo
giorno di scuola (nelle scuole governative) doveva essere il 2 Settembre. Invece e` stato il 12 Novembre. Per piu` di due mesi la loro
scuola e` stata la strada, con una conseguente tensione da parte dei genitori, resi impotenti dall’obbligo dello
sciopero.
Fortunatamente, da un lato, le numerose
organizzazioni umanitarie di Betlemme cercano di tamponare almeno una buona
parte delle emergenze; dall’altro lato le istituzioni governative tendono a non
assumersi responsabilita` delle condizioni dei cittadini, perche` ci sono le
organizzazioni umanitarie che ci pensano….e non si arriva mai ad una soluzione…
Una poverta`
“silenziosa”, quasi muta, si aggira tra le strade di Betlemme e invade larghi strati di popolazione,
colpendo soprattutto i piu` deboli,
una poverta` che ha quasi bisogno di essere scovata per essere creduta, tanto
e` arrivata a toccare profondamente anche la popolazione che un tempo sosteneva
l’ economia della citta` e che ora si vergogna di farsi vedere povera per le ristrettezze
economiche. Come Elias, autista di grande esperienza, con 6 figli, che il mese
scorso ha ricevuto 45 Euro di salario, e nella cui famiglia non si e` mangiato
carne per un mese.
“Tutto e` chiuso intorno a noi, dicono soprattutto i cristiani, abituati ad
“un’altra Betlemme”, come possiamo vivere qui, chiusi dentro il muro, in questa
“prigione a cielo aperto”, esposti a tensione, conflitti e violenza, senza le condizioni di una vita
serena e pacifica che permetta di
sentirci “normali”?
Per circa cinque giorni, aveva pazientemente fatto la
fila (che inizia alle 3 del mattino) per ottenere il permesso di uscire da
Betlemme e recarsi al Lago di Tiberiade, come ogni anno, su invito di una comunita`
di monaci…un po’ di relax, visite agli amici…
Finalmente la partenza: quattro persone in tutto, Samar e
sua madre, la sorella che vive in Gerusalemme, e una delle nostre
fisioterapiste, tedesca.
Dopo aver passato 9 check points, a meta` del viaggio non
possono piu` proseguire e vengono rispedite indietro dai militari: Samar e la
madre perche` vengono da “Betlemme” e
non devono entrare in Israele, la sorella di Samar perche` viene da Israele e
non deve entrare in Palestina; anzi, i soldati si sentono in dovere di
proteggerla dai Palestinesi, per il suo bene… Solo la fisioterapista potrebbe
proseguire perche` straniera.
Situazione complicata, infatti, perche` questa Terra, che
e` Santa, e` diventata oggi un miscuglio, anzi un intreccio di zone appartenenti ad Israele, e di altre
appartenenti alla Palestina, zone A, B e C, ognuna con un regime diverso, per
le quali la liberta` di movimento e` decisa solo in base agli interessi di
Israele.
Come tanti altri cristiani di Betlemme, Samar
manifesta tutta la sua rabbia:
“Come potete proibirmi di andare a Gerusalemme? Come potete impedirmi di pregare
sui Luoghi Santi?”.
“Proprio cosi`, Samar, per te, come per gli abitanti di
Betlemme non ci sono piu` diritti”.
E questo e` appena l’inizio di cio` che si prevede possa
avvenire, nel caso venisse creato lo Stato Palestinese.
Ci sembra di capire profondamente questa popolazione,
soprattutto quando anche noi sperimentiamo in parte le loro stesse restrizioni.
Una delle sensazioni peggiori che ci possano capitare
quando usciamo di casa con destinazione Gerusalemme e` quella di trovare chiuso il portone del muro.
Ci invade subito un senso di totale impotenza, di
soffocamento, di ribellione e di oppressione, la sensazione di essere nelle mani di un altro che ti toglie la
liberta` e ti rende schiavo, che decide
di tenerti in suo potere, a suo arbitrio.
Allora cominciamo ad innervosirci e a chiamare a
squarciagola il soldato che dovrebbe essere di turno in alto nella torretta di
controllo, per discutere la situazione e capire il motivo di tale chiusura; se non ci risponde nessuno cominciamo a
bussare il portone grigio di ferro, sperando che i soldati ci sentano…ma il
bussare delle nostre mani o i nostri “misurati calci” al cancello chiuso
risultano fin troppo “vellutati” e non
hanno successo.
Cosi` qualche volta dobbiamo tornare a casa con la rabbia, perche` i soldati non permettono
di uscire neppure a noi. E allora ci
ricordiamo delle parole di un soldato: “Se avete deciso di vivere a Betlemme,
insieme ai terroristi, dovete accettare
di essere trattate anche voi da terroristi”…
Ci convinciamo sempre piu` che la vita di una persona
dipende molto dal tipo di passaporto che esibisce…
Completamento
Come un serpente
grigio, il muro stringe la citta` in una morsa mortale; lo constatiamo ogni giorno, da cose molto
concrete.
Il piano di tale costruzione ha qualcosa di malvagio e di assolutamente inumano. Le sue anse si
muovono fin all’interno dei centri abitati, si snodano tra le case stesse
togliendo luce e respiro… apri la finestra e… ti trovi davanti il muro grigio… fino a
sentire un tonfo al cuore.
La casa di Suheila e` stretta da tre lati dalle anse del
muro, quasi fasciata, da far impazzire; la sua ombra penetra fin dentro casa
oscurando ogni cosa. E la famiglia che vi abita deve star zitta….se si
lamentano…rischiano di veder saltare in aria la loro casa.
Il percorso del muro e` stato tracciato con estrema
“intelligenza” e attenzione: non solo si
insinua tra le case, ma anche tra i terreni in modo da ritagliare quanto piu` e` possibile della zona verde, togliendola
al Territorio Palestinese, e tutto cio` come se fosse la cosa piu` ovvia. Il
percorso del muro fa attenzione ad includere
nella parte israeliana anche le sorgenti d’acqua del Territorio
Palestinese, per destinarle ai nuovi
insediamenti che stanno invadendo dovunque le alture che circondano Betlemme,
generalmente le zone piu` belle e piu` verdi.
Tuttavia, anche dopo aver attraversato il check point a piedi, il turista o il pellegrino
straniero, e anche noi stesse che viviamo a Betlemme, ancora non siamo in grado
di capire a quale grado di umiliazione
deve abbassarsi il Palestinese, anche il piu` rispettabile, che con regolare
permesso si appresta ad attraversare il check point.
Perche`, generalmente, al turista o allo straniero viene
riservato un trattamento diverso e gli si
concede di passare piu` velocemente...
Le procedure di controllo per i Palestinesi diventano
sempre piu` minuziose. Le
modifiche si aggiungono alle modifiche in maniera tale da suscitare nel pedone
la voglia di tornarci il meno possibile. Prima di raggiungere la “porticina” ritagliata nel muro
(vi hanno disegnato perfino un paio di forbici!), i pedoni sono obbligati a incanalarsi per decine
di metri in uno stretto passaggio tra
pareti di rete che si incurvano verso l’alto formando una specie di tunnel, tra
sporcizia d’ogni genere, mentre il vento
freddo del mattino fa svolazzare tristemente i sacchetti neri di plastica e li
accumula ad ogni angolo. “Mamma, guarda, siamo in gabbia come le scimmie!”,
diceva Il piccolo Issa in braccio alla sua mamma che lo stava accompagnando ad
una visita medica, anch’essi in coda nel tunnel di rete.
La domenica mattina e` uno dei giorni piu` interessanti per
vedere in che cosa consiste l’umiliazione palestinese e la vendita della
propria dignita` per mendicare a Israele
un po’ di lavoro e di pane quotidiano; la
fila di coloro che attendono di varcare il check point comincia alle 4 del
mattino: persone, anche anziane, in piedi per ore, con il loro misero
sacchetto nero di plastica con dentro un po’ di cibo, esposti alle intemperie,
incanalati pazientemente verso i controlli. E questi sono i pochi “fortunati” che ricevono il permesso di uscire da
Betlemme per lavoro.
Pezzi di cartone stanno disseminati qua e la`, insieme
alla sporcizia, nello stretto passaggio tra le pareti di rete, rendendo piu`
acuta la sensazione di squallore e di abbandono. Su quei cartoni si siedono le persone piu` anziane, soprattutto quando
sono costretti ad attendere per ore, fin dal mattino presto.
Quei pezzi di cartone, cosi` sporchi e ormai consunti,
sono stati molto utili per la festa di fine Ramadan, soprattutto per le donne,
quando, a migliaia, si erano ammassati presso la porta del muro, fin dal mattino presto, per poter passare i
controlli e recarsi a pregare a Gerusalemme. Riversatisi al check point di
Betlemme, dopo che altri passaggi erano stati chiusi e vietati dai militari israeliani, la folla era diventata un fiume umano da far
paura; dato lo stretto spazio a cui si viene attualmente costretti presso le
porte del muro, il disordine e il caos sono stati inevitabili, cosi` si sono
aggiunti i gas lacrimogeni, le bombe assordanti e qualche ricovero in
ospedale.
Le lacrime di Jamil
Conosciamo da tempo Jamil, un uomo mite e semplice, che
trascorreva la gran parte della giornata nel suo cafe` shop, un
piccolo locale privo di molti conforts, ma tutto suo, in un edificio a fianco
della tomba di Rachele, vicino al nostro ospedale, un luogo altamente
strategico, al confine tra Israele e Palestina. In questi ultimi anni i suoi clienti erano diventati rari, ma il locale
era ugualmente tanto importante per lui, e costituiva una specie di simbolo, un
baluardo. E baluardo lo era davvero per
Jamil. Lui sapeva, (o non lo voleva
sapere) , e tutti sapevamo, che prima o poi sarebbe stato privato del suo
piccolo “regno” , incluso l’appezzamento di terra circostante, come stava
avvenendo alle varie proprieta` palestinesi nella zona della tomba di Rachele,
all’entrata di Betlemme .
Le autorita` Israeliane volevano quella terra, ma Jamil
resisteva, fino ad andare in tribunale.
Gli offrirono denaro in abbondanza purche` cedesse i suoi
beni cosi` preziosi. E poiche`, vendendo la sua terra ad Israele, Jamil avrebbe rischiato pelle
e onore di fronte alla Palestina, gli avrebbero anche assicurato vita
tranquilla in un altro Paese.
Jamil rifiuto` ogni offerta, per amore della sua terra,
per onore, per paura per la sua vita, per i suoi figli, convinto che l’onore di
difendere la sua terra vale mille volte di piu` di una montagna di denaro.
Jamil piange quando racconta la sua storia, il suo
sguardo suscita tenerezza e ancora una volta non gli togliamo la speranza che,
chi lo sa, magari un giorno la vita ritornera` felice e semplice come un
tempo….
Le nuove porte grigie
“Come sara` l’entrata del Custode quest’anno, con tutti
questi cambiamenti?” - ci chiedevamo insieme alla gente di Betlemme.
Rispetto allo scorso anno, infatti, ci sono delle novita`, tra cui le due nuove porte (una delle quali vicino alla proprieta` di
Jamil) sul muro che circonda la Tomba-fortezza di Rachele. “Strane queste nuove
porte sempre chiuse”, dicevamo, mentre innalzavano il muro, “a che servono?” Nessuno sapeva dare risposte chiare alla
nostra curiosita` di sapere cosa ci stavano costruendo vicino a casa.
Oggi abbiamo capito il senso di quelle due porte grigie,
porte orribili, porte da carcere, porte che, proprio all’entrata della
citta`, danno a Betlemme l’immagine di
cio` che e` realmente diventata, una
prigione a cielo aperto; esse si
aprono solo in occasione delle feste natalizie, per permettere alle autorita` religiose di
entrare in Betlemme sullo stesso percorso storico che da secoli e millenni veniva
utilizzato dalla popolazione; questo percorso e` stabilito dalle ferree leggi dello “Status quo”, che neppure Israele
ha potuto ignorare nei lavori di costruzione del muro.
Cosi` il Custode e` entrato oggi attraverso le porte grigie aperte per
l’occasione. Dopo il suo passaggio le
porte si chiusero subito.
Anche Jamil era la`, a rendere omaggio al Custode, in piedi, ritto, cercando di raccogliere quanto gli rimaneva del suo orgoglio e della
sua dignita`; e sembrava quasi di sentinella, vicino a quella porta grigia che gli ha tolto la liberta` di
raggiungere il suo cafe` shop.
Li`, finalmente, la festa era proprio vera.
Ci ritroveremo ancora presso le porte grigie la vigilia di Natale.
Scegliere Betlemme. Storia controcorrente
Molti giovani di Betlemme scelgono la strada
dell’emigrazione per una vita “migliore”. Ma c’e` anche chi fa il contrario.
Da qualche mese, nella facolta` di Business Administration
dell’Universita` di Betlemme, c’e` un nuovo docente. Il suo nome e` Rami. E` tornato da poco dall’Italia e
parla volentieri italiano. Una chiacchierata con lui e` motivo per
rievocare i suoi bei ricordi
dell’Italia, ma non solo…
Nato in Kuwait da genitori Palestinesi, torna con la
famiglia a Betlemme nel 1989 e studia economia. Ottiene una borsa di studio e
parte per l’Italia. A
Rami vuole tornare in Palestina, ama molto la sua
famiglia e la sua famiglia conta su di lui, ma non solo; lui ama la sua gente e
sa che qualcosa si puo` fare nella sua terra, anche se e` difficile.
La sua idea e` fare progetti per lo sviluppo, vuole
utilizzare i suoi studi di economia per aiutare la Palestina, per creare
possibilita` di lavoro, vuole studiare cosa il Paese puo` fare per andare
avanti, per avere piu` denaro e migliorare le proprie condizioni.
“Voglio vivere la mia vita in un Paese in via di
sviluppo, non in un Paese ricco”.
Penso che Dio abbia tracciato per me una strada, e questa strada e` in Palestina.
E Rami torna a Betlemme.
“Sei matto! - gli dicono gli amici. - Qui non c’e`
futuro. Cambierai le tue idee fra tre , quattro mesi”.
“L’Europa ci ha dato tanti aiuti, - continua Rami - ma
prevalentemente sul fronte dell’emergenza. Ha dato pochissimo per le cose piu`
importanti, e cioe` per lo sviluppo della Palestina, per creare lavoro ed
autonomia.”
Rami e` convinto che e` su questa linea che si deve
andare avanti.
Ci sorprende sentir parlare cosi`, quando molti giovani
della sua eta` la pensano diversamente e vorrebbero godere la propria vita in
un Paese tranquillo, in pace, senza i problemi quotidiani che si vivono qui in
Betlemme, chiusi dentro il muro…”Quando la vita ti da` l’opportunita` di andar
fuori, non perderla; vivi una sola volta e hai il diritto di godere la tua
vita”. Oggi questa e` la filosofia che va per la maggiore.
Rami continua “Mi sento a casa mia in Palestina, qui ho
la mia famiglia, qui ho i miei amici, e
voglio fare qualcosa di utile per la mia gente. … Forse la penso come i vecchi,
o come i preti, ma io posso veramente vivere e godere la mia vita qui” .
Buona fortuna, Rami!
Natale di Betlemme
Le luci del Natale gia`
brillano ovunque nel mondo.
Cosa regalero` ai miei
amici,
come preparero`
l’albero?
Come mi organizzero`
per il pranzo di Natale?
Le strade scintillano
di luci,
le vetrine abbagliano
di colore.
Con il naso appiccicato
ai vetri,
e`
un mondo rosso e dorato,
cosi` luminoso da
dimenticare
almeno per un po`
la tristezza di una
notte buia,
le strade desolate,
le lacrime dei bambini,
le finestre chiuse per
paura,
la pace che non arriva
mai,
le vittime di ieri, di
oggi, e quelle di domani.
No!
Non voglio dimenticare,
non voglio sognare.
Voglio tenere
spalancati gli occhi
su questo mondo cosi`
umano,
fatto di penombra e di
notte,
di amore e di
conflitti,
di urla e di sorrisi,
di lacrime e dolcezza,
perche` in questo mondo
proprio in questo mondo
Cristo e` nato!
Mi basta questo Natale
di Betlemme,
essenziale,
senza sfarzo,
e inoltrarmi in silenzio su
queste strade strette e sudicie,
tra case dissestate e
umide,
tra gente semplice e
priva di sogni,
che il Natale di Cristo
lo vive sulla propria pelle
e in un cuore povero,
che attende solo da Dio
il pane e la gioia
quotidiana.
La grotta
non dev’essere lontana…
Sorelle
del Baby Hospital