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L' AMORE PER I POVERI AL CENTRO DEL VANGELO. A proposito della proposta di radere al suolo i campi rom

A proposito della proposta di radere al suolo i campi rom

Che città sognamo?

L’amore per i poveri è al centro del Vangelo!”, ha detto papa Francesco. E ha aggiunto: “E’ strano, ma se parlo di questo per alcuni il Papa è comunista. Ma in realtà il diritto alla Terra, casa e lavoro sono diritti sacri. Esigere ciò non è affatto strano, è la dottrina sociale della Chiesa!”.

Questi diritti sacri valgono anche per i rom? Certo, i campi nomadi devono essere superati, come ha stabilito la Commissione Diritti Umani del Senato, perché spesso in questi campi si vive in condizioni disumane, ma devono essere superati – specifica la Commissione - in vista di una concreta strategia nazionale per l’inclusione di Rom e Sinti in Italia, che includa soluzioni abitative stabili e il riconoscimento delle minoranze nel nostro Paese.

Non si risolvono i problemi radendo al suolo le baracche in cui vivono i poveri, non si diminuisce il degrado aumentando il numero della gente che dorme in strada perchè è rimasta senza casa. E invece è proprio questo che propone Matteo Salvini. Posizioni simili, ha commentato il cardinale Antonio Maria Vegliò, capo dicastero Vaticano per i migranti, “sono posizioni estreme, assurde. Sono frasi stupide, e non varrebbe nemmeno la pena perdere tempo per commentarle". Non varrebbe la pena commentarle se non fosse che queste posizioni stanno conquistando sempre più terreno. Il sindaco di Padova, Bitonci, da tempo ha annunciato che raderà al suolo o sgombererà i campi rom della città; e il sindaco di Albettone, un paesino in provincia di Vicenza, col fucile in mano, ha annunciato che nel suo comune c’è divieto di sosta per i Rom.

Insomma, c’’è un contrasto tra due visioni di città. Sentiamo cosa dice papa Francesco: “Oggi viviamo in città che offrono innumerevoli piaceri e benessere per una minoranza felice, ma che poi negano una casa a migliaia di nostri vicini e fratelli… Quanto fa male sentire che gli insediamenti poveri sono emarginati o, peggio ancora, che li si vuole sradicare! Sono crudeli le immagini degli sgomberi forzati, delle gru che demoliscono baracche, immagini tanto simili a quelle della guerra. E questo si vede oggi. Quanto sono belle, invece, le città che superano la sfiducia malsana e integrano i diversi e fanno di questa integrazione un nuovo fattore di sviluppo! Quanto sono belle le città che, anche nel loro disegno architettonico, sono piene di spazi che uniscono, relazionano e favoriscono il riconoscimento dell’altro!”. Il papa sogna una “città bella”, una città che riconosce l’altro, che favorisce la comunione e la relazione con i diversi. C’è invece chi sogna una città dominata dalle gru, una città che sradica, rade al suolo ed elimina i poveri, creando un malsano clima di guerra. Quale modello di città sceglieremo noi cristiani?

 

 

Una non-città

In realtà quando il papa dice che le città dovrebbero essere caratterizzate da un’architettura della relazione, fa riferimento al significato etimologico del termine. La parola ‘cittá’ deriva dal sostantivo ‘civitas’ e dal verbo ‘cieo, ciere, civi, citum’, che propriamente significa ‘convocare, provocare un incontro’. Da questa radice deriva la parola spagnola ‘cita’, che significa ‘appuntamento’, e si applica soprattutto all’incontro tra due fidanzati. La cittá, storicamente, nacque dall’ansia di voler superare l’isolamento delle ‘villae’, case di campagna distanti l’una dall’altra: la cittá nacque dal desiderio di raggrupparsi, incontrarsi e abbracciarsi.

Contro questa idea originaria di città una certa mentalità politica ci propone altri due modelli: la cittá-dormitorio e la città-fortezza. La prima è una città – e una società - in cui varie famiglie e vari popoli vivono e dormono in case fisicamente vicine gli uni agli altri, ma senza conoscersi, senza amarsi e senza abbracciarsi, senza la coscienza di essere legati da un destino comune. La città-fortezza, invece, è quella che addirittura vuole eliminare i poveri e impedirci di avere un contatto o una relazione con loro. Questi due modelli sono la negazione dell’idea stessa di cittá. Perchè una città senza contatti e senza abbracci è una non-città. Quando manca la dimensione dell’incontro e dell’abbraccio, quando manca la passione per la giustizia e la fraternità, la cittá si trasforma in un deserto o in un manicomio. Come afferma il sociologo Phil Cohen, le ‘nuove’ ideologie politiche etniche e xenofobe trasformano le città in prigioni o manicomi.

Risuonano dunque più profetiche e attuali che mai le parole del Cantico dei Cantici: “Mi alzeró e ricorrerò la città. Per le strade e le piazze cercherò l’Amato della mia anima” (Ct 3,1). Circondati da manicomi e da barriere invisibili, una delle priorità missionarie qui in Europa é correre insieme per le vie della nostra città per riscoprire o ricreare il calore dell’amore e dell’incontro nelle nostre strade e nelle nostre piazze.

 

Mala tempora?

Un mio amico mi ha confidato che recentemente ha scritto ad un importante rappresentante dell’opposizione politica nel Consiglio comunale di Padova, per incitarlo a fare qualcosa contro la politica fascio-leghista del ‘radere al suolo’, e questo consigliere gli ha risposto con un messaggio stringato: “Mala tempora!”. Come dire, questi sono tempi brutti, la mentalità dell’odio e della diffidenza si sta diffondendo a macchia d’olio; non è politicamente conveniente prendere una posizione troppo aperta su questo punto; dobbiamo aspettare che cambino i tempi. Ma Martin Luther King, a chi gli diceva che erano tempi brutti e difficili per combattere il razzismo, rispondeva che “in realtà il tempo è neutrale: può essere usato costruttivamente o distruttivamente”. Sta a noi decidere se vogliamo che questo sia il tempo dell’indifferenza e dell’eliminazione dei poveri o il tempo dell’accoglienza e della fraternità. In particolare, la comunità cristiana deve scegliere se vuole essere semplicemente un termometro – che misura la temperatura e la mentalità dell’opinione dominante, accettandola passivamente - o se invece vuole essere un termostato, che propone una sua propria temperatura, un suo proprio progetto, trasformando la società e impedendole di scendere a livelli di barbarie inaccettabili.

 

Il fucile o la carezza?

Qualche giorno fa ho visto un dibattito in televisione tra Salvini e la Serracchiani, e mi ha colpito che a un certo punto la vicesegretaria del PD, per non apparire troppo ‘buonista’ e troppo accogliente, ha detto: “Noi non vogliamo mica accarezzarli gli immigrati!”. Come se voler dare una carezza fosse una colpa! Viviamo tempi brutti, dunque, in cui i politici – per raccogliere voti -devono convincerci e assicurarci che non nutrono sentimenti di tenerezza verso gli stranieri. E invece è proprio di questo che ci sarebbe bisogno, di una carezza. “Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia per ricevere amore e trovare la carezza”, dice l’autore della lettera agli Ebrei (4,16). Possiamo fare la politica con il fucile in mano oppure dando una carezza. Quasi nessuno ha protestato quando ha visto quel sindaco col fucile: sembra che si dia per scontato che ormai siamo nel Far West, in cui la politica si fa con la violenza e la pistola. E se invece inaugurassimo una politica che dia anche ai poveri la possibilità di trovare una carezza? Come credenti, abbiamo il coraggio di proporlo? O ci sembra assurdo ispirarci al Vangelo?

Il papa ci ricorda un principio irrinunciabile per i cristiani: “L’amore per i poveri è al centro del Vangelo!”. Avremo il coraggio di vivere questo principio, o temiamo di passare per sinistrorsi? In un periodo in cui anche tanti ex-comunisti hanno paura o vergogna a mettere i poveri al centro dei loro programmi, i cristiani sono chiamati a ricordare e a vivere questo semplice e fondamentale principio evangelico, facendone anche il criterio principale del nostro impegno politico.

(fratel Alberto Degan)

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