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Il senso dell'attesa

Lettera di Natale di Gigo (Diego Cassinelli) dal noviziato di Lusaka

Il senso dell’attesa

Lettera di Natale di Gigo (Diego Cassinelli)
dal noviziato di Lusaka

Se vuoi scrivermi:

Diego Cassinelli

 

c/o Comboni Missionaries Novitiate

 

P.O.BOX 37423 Lusaka- Zambia

Cammina, non ti preoccupare, non avere paura di incontrare.
Va, e la strada ti porterà dove qualcosa di grande ti sta aspettando. Presta attenzione, poggia il tuo sguardo con cura, perché come tutti i tesori, ciò che ti attende spesso è nascosto bene. Non rattristarti se non lo riconosci all’istante, se ci passi accanto e non ti accorgi della sua profondità, della sua bellezza. La sua semplicità, non si lascia sorprendere e corrompere da passi poco attenti. Quel giorno, la vita era nascosta nelle fessure e nelle crepe dei muri di una “baracca” della township di Bauleni. Così, come una visita inaspettata, il senso dell’attesa ha preso profondità, profumo, gusto, e un nome: Christine. Posso chiamarla così: Christine, donna che segna e insegna l’Avvento. Cosa vuol dire attendere? L’Avvento è un tempo di attesa gestante, di attesa orante, è un tempo denso, tutt’altro che perso. Christine è una donna non più giovanissima, ha tre figli e da anni è ormai vedova. È una donna fisicamente debole, questo per via di un ictus che l’ha segnata profondamente. Si muove lentamente e la sua voce è sottile e arrugginita come il filo di ferro che tiene unite le assi del suo uscio pieno di schegge. Quel giorno Christine ci aspettava per pregare insieme, come già avevamo fatto altre due volte, ma questa, era un’attesa diversa. Una volta al mese il prete o chi per lui, porta la comunione ai malati della township, così quel giorno, quel “chi per lui”, eravamo noi, novizi comboniani.

 

Christine era seduta in casa, su una stuoia di canne di bambù, con le gambe dritte e la schiena leggermente appoggiata all’armadio di legno bruno come la sua pelle. Dopo pochi secondi di silenzio cominciarono a scivolare nell’aria le note della sua voce. Il suo sguardo era fisso sulle sue ginocchia, o sulla stuoia di bambù, come se le parole fossero conservate e nascoste tra gli interstizi delle cannette color fieno. Parole sussurrate in una lingua incomprensibile. Sembravano parole segrete, da pronunciare tra un respiro ed un altro. Nessuno si era preoccupato di tradurre il frutto del suo sforzo, era passato tutto come passano i secondi nel quadrante di un orologio. Nel mezzo della preghiera, Joseph, un mio compagno di cammino, mi bisbiglia nell’orecchio: prima Christine ha detto che si è svegliata alle cinque per preparare la casa e mettersi in ordine”. Erano le 10:30, quando siamo arrivati. Christine, che a mala pena si regge in piedi, si era svegliata alle cinque, perché per le sue forze, per le sue possibilità, ci voleva del tempo per preparare quel momento. L’attesa come tempo di preparazione. Quelle parole mi hanno portato ad osservare attentamente Christine e la sua casa, che, sino a dieci minuti prima ritenevo una baracca. Ad un tratto mi è sembrata sorprendentemente elegante, con la sua camicia bianca perfettamente stirata e la sua lunga gonna scura che si appoggiava delicatamente sulla stuoia. La testa era avvolta da un telo bianco e blu con un nodo ben fatto sopra la fronte, leggermente spostato sulla sinistra. Ho notato la pelle cosparsa di olio riflettere piccole schegge di sole che penetravano dai buchi del soffitto di eternit grigio. Di quell’olio ne ho sentito il profumo, tra l’odore acre del nostro sudore e quello pungente della township, un profumo che mi ha portato a duemila anni fa e ne ho avuto nostalgia. Ho notato il tappeto sul quale era seduta, pulito, senza grani terra rossa, ho notato i bicchieri lucidi ordinati come soldati di cristallo nell’armadio. Ho notato il copriletto colorato e ben teso sul materasso e un bidone di latta al centro della casa, coperto da un telo bianco che fungeva da altare. Ho notato cose che prima avevo ignorato, dato per scontato. L’attesa non è feconda solo per chi la pratica ma anche per chi si aggira nei suoi confini. La sua aurea leggera ti cattura, ti coinvolge e ti chiama in causa. Attendere vuol dire prestare attenzione e aiutare anche altri a rivolgere uno sguardo attento a ciò che ci gira intorno.

 

Ecco il senso dell’avvento, prestare attenzione al Dio che nasce nelle piccole cose, impercettibili, date per scontate o ritenute prive di senso. Vi auguro tutto questo, perché anche voi possiate trovare la bellezza e il senso del Natale, non tra i pacchi luccicanti e i fiocchi colorati, ma tra le fessure e le crepe di un vecchio muro di una casa lontana, sperduta … come quella notte a Betlemme.

 

Vi auguro un Natale semplice come il pane
E un Nuovo Anno da percorrere con coraggio e stupore.
May God Bless you

Gigo


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