Ger 29,4-ss: Vivendo come stranieri e pellegrini, cercando la pace della città
campo di Palermo, agosto 2008
Vivendo come stranieri e pellegrini,
cercando la pace della città
Geremia 29,4-ss
Campo di lavoro - 2/11 agosto 2008. Palermo
Autore e ambiente storico
L'attività del profeta Geremia ha inizio nel 626 a.C. e si conclude qualche anno dopo il 587 a.C., iI profeta morì probabilmente in Egitto.
Il piccolo regno di Giuda, coinvolto nel gioco delle grandi potenze (Egitto, Assiria, Babilonia), finì per essere schiacciato dal vincitore Nabucodonosor, re di Babilonia. Questi conquistò Gerusalemme una prima volta nel 597 a.C., lasciò intatta la città, ma condusse in esilio il re Ioiachin e un certo numero di persone qualificate.
Dieci anni dopo, Nabucodonosor ritornò a Gerusalemme, distrusse la città e il tempio del Signore e deportò a Babilonia buona parte della popolazione superstite, insieme al re Sedecia.
Nel territorio di Giuda rimase soltanto la gente più povera, sfruttata e maltrattata da bande di soldati sfuggiti al massacro.
Geremia, ancora giovane, ricevette da Dio l'incarico di spiegare ai suoi contemporanei il significato della tragedia che stavano vivendo:
• suggeriva la sottomissione perché scorgeva in essa l'ubbidienza al piano di Dio
Sperando in questo, egli poté annunziare ai deportati in Babilonia e a quelli rimasti in Giudea la futura rinascita.
“Lettera agli esiliati”
Il tono di questa lettera è ben differente da quello che il profeta ha quando si rivolge al popolo rimasto a Gerusalemme. Invece di avvertimenti severi e solenni, esprime loro da parte dell’Eterno dei «pensieri di pace e non di male», delle consolazioni, degli incoraggiamenti.
L’esperienza dei giudei fu un esilio forzato. Non avevano una reale possibilità di ritornare al loro paese di origine. Come tanti immigrati di ieri e di oggi.
L’esperienza dell’immigrazione implica un forte senso di “perdita”. Uno dei momenti più difficili per molti immigranti è rendersi conto che devono lasciare andare l’idea di ritornare nel proprio paese di origine.
In questo momento di crisi i Giudei chiedono una parola di Geremia, forse per cercare direzione o forse sperando che gli promettesse un intervento straordinario di Dio che li facesse ritornare alla loro terra.
Il tono della esortazione fa intravedere l’uomo di Dio che legge i fatti della storia con gli occhi della fede e denuncia la tragedia dell’esilio:
Invita a recuperare la fiducia in Dio, che non li ha abbandonati. Nonostante tutto Dio non abbandona il suo popolo e gli eventi storici, è il Signore della storia (Ger 29,11), la speranza per il futuro che inizia fin da subito nell’edificazione del “benessere” vicendevole. Jahvè infatti non può venir meno alla fedeltà del suo amore.
Costruire e piantare sono azioni che una persona compie quando desidera rimanere in un posto per un periodo di tempo prolungato, sono gesti che implicano “permanenza” e “appartenenza”. Istruisce gli esiliati affinché si stabiliscano nel paese straniero, si inseriscano nella nuova realtà, integrandosi nel nuovo contesto sociale. Li incoraggia a pregare per la potenza straniera che ha devastato Gerusalemme.
Incoraggia gli esuli a sentirsi attivamente coinvolti nel “progetto di pace e non di sventura” (Ger 29,11) che Dio sta realizzando. Questo piano è per Shalom, per la pace. Dio vuole la pace, ma potrà realizzarla soltanto con la collaborazione degli esuli (29,7). E la pace è per tutti, anche per i potenti.
Shalom non è un semplice saluto augurale, comprende tutto ciò che si può immaginare in “bene” ed esclude tutto ciò che è “male”. Senso di completezza, sicurezza, riappacificazione, giustizia. Dono di Dio, “sono venuto per dare la vita, e la vita in abbondanza” (Gv 10,10), ma conquista degli esuli.
Come? Geremia lo esprime in tanti dei suoi capitoli:
- poi impegnarsi per un progetto positivo, di bontà, reciproca accoglienza. “Praticate il diritto e la giustizia” (Ger 22,3)
Chi vuole la pace deve impegnarsi in prima persona per costruirla, per questo Geremia ricorda agli esuli che lo Shalom di chi vive lontano dalla sua patria è strettamente legato allo Shalom della patria adottiva.
Esorta a “cercare Shalom” cioè a praticare la giustizia nei rapporti con il prossimo, ma anche a “pregare il Signore” perché doni Shalom al paese nel quale gli esuli vivono deportati. A riprendere il culto e la proclamazione della loro fede.
La parola di Geremia non è solo per l’esiliato ma per ogni credente in Cristo Gesù che è e si riconosce “straniero e pellegrino”(Eb 11,13 e 1Pt 2,11) dovunque viva. Ogni credente, immigrato o no, deve cercare e costruire la pace nel posto in cui vive.
Geremia ci sprona a cercare il bene della città, però anche a parlare e agire profeticamente contro il peccato strutturale che nega lo Shalom a tante persone, particolarmente stranieri e immigrati (Ger 22,3).
Cosa puoi fare per costruire Shalom nella tua comunità, nella tua città?
Villafañe, un autore latinoamericano, suggerisce sei atteggiamenti o doveri che dobbiamo fare nostri per costruire la pace e la città secondo Dio
b) comunicare un vangelo incarnato
c) creare servizi sociali di carità
d) confrontare le strutture sociali difendendo la giustizia
e) celebrare la fede e la presenza di Dio nella nostra vita e nella società.
f) passare delle opere di carità a condividere quello che siamo dando opportunità e incoraggiando tutti a diventare soggetti di carità fraterna
Dobbiamo crescere nella responsabilità di cercare il bene e confrontare il male, chiedendo l’intervento divino. Come seguaci di Cristo Gesù non possiamo ignorare la responsabilità che abbiamo circa quello che succede nel mondo, non importa dove siamo. Cercare lo Shalom divino significa qualcosa molto amplio in un mondo globalizzato. Così che insieme agli immigrati è necessario considerare che responsabilità si hanno verso il nostro paese e verso il loro paese di origine, le loro famiglie e che partecipazione hanno nel paese di adozione. L’invito per tutti è riconoscere che la nostra cittadinanza è nel regno dei cieli (Fil 3,20) e che siamo “stranieri e pellegrini su questa terra” (Eb 11,3).
Le sfide dell’immigrazione, le risposte dei giovani
Noi, Giovani per l’Impegno Missionario, insieme ai Missionari Comboniani-e vediamo i gravi segni di contraddizione della nostra storia, ascoltiamo il grido delle vittime e sogniamo un mondo nuovo, la società delle convivialità delle differenze in cui vogliamo vivere.
Per questo, in ascolto delle proposte della commissione Giustizia e Pace dei comboniani, proponiamo anche noi, a nostra misura, questo ‘decalogo’ per crescere insieme agli immigrati oggi.
Nasce da un cammino di ascolto, servizio tra i poveri, condivisione tra noi; si rivolge a tutti i giovani di buona volontà.
1. Va’ in cerca dell’immigrato. Ascoltalo, offrigli la tua amicizia. L’importante è esserci, contro la logica assistenzialista del ‘fare’. Recupera la sua storia di sofferenza, la sua ricchezza e quella delle sue radici. Promuovi occasioni di incontro più informali (feste, cene, momenti teatrali, occasioni culturali e sportive…)
2. Conosci te stesso nell’incontrare l’immigrato. Impara ad avvicinare l’altro senza etichettarlo. Matura una spiritualità che ti guidi all’incontro con l’altro. Chiediti quali aspetti della tua cultura sei disposto a cambiare per venire incontro all’altro.
3. Conosci il territorio, le necessità che vive la gente e i punti d’appoggio per rispondervi. Da’ una visibilità alle associazioni che già operano sul campo, nello sforzo di creare rete.
4. Favorisci l’aggregazione di giovani e immigrati tramite laboratori di convivenza, occasioni e spazi di conoscenza reciproca e confronto, per capirsi a fondo, individuare gli obiettivi di entrambe le parti. Ad esempio, siccome entrambi abbiamo bisogno di conoscere di più le leggi e i meccanismi con cui si regola l’immigrazione, promuovi percorsi di formazione comuni su questo.
5. Promuovi l’autoconsapevolezza e la partecipazione degli immigrati. Appoggia tutti i modi renderli protagonisti del loro inserimento sociale.
6. Dialogane soprattutto con amici che non condividono le tue idee. Parti da ciò che loro capiscono, credono, comincia dai loro pregiudizi. Rifiuta sia l’immagine dell’immigrato-criminale sia quella dell’immigrato-utopico, proiezione dell’ingenuità di un certo tipo di volontariato. Sfata i pregiudizi cercando di comprenderne prima di tutto l’origine. Fa’ incontrare l’immigrato a chi non si interessa di lui o ha pregiudizi.
7. Sfrutta tutte le occasioni e le forme possibili di comunicazione: per strada, nelle scuole, nelle comunità cristiane. Sappi denunciare e manifestare anche il tuo dissenso. L’educazione alla diversità comincia nelle scuole, i giovani possono fare molto in questi ambienti. La formazione politica per la gente delle nostre città e paesi deve essere maggiore e più curata. Nelle comunità cristiane i preti hanno il potere di orientare una cultura, i giovani devono spronarli perché questi temi siano affrontati apertamente.
8. Come comunità e come persona prenditi a cuore la vita di un migrante, accoglilo, ospitalo, impegnati con lui nelle situazioni più pratiche (telefonate periodiche di contatto, accompagnamento in Questura o simili, aiuto nella ricerca di un alloggio o lavoro…)
9. A livello politico nazionale vigila sulla destinazione dei soldi e promuovi campagne di pressione perché siano destinati più fondi per l’immigrazione e una politica di accoglienza consapevole e seria, sottraendoli ai soldi e energie investiti per impedire a priori l’ingresso della gente. Sorveglia i politici sulle loro scelte, chiedendo loro conto periodicamente e con insistenza a proposito di questi temi.
10. Lotta perché tutti abbiano opportunità di regolarizzare la propria condizione. Combatti il lavoro nero; nell’ambito degli studi, ad es., insisti con gli immigrati per il riconoscimento dei titoli di studio non occidentali (come per i paesi dell’est Europa)
a cura di J-Pierre Piessou
Quattro Volti della Testimonianza su fatti, situazioni, esperienze e desiderio di Cittadinanza attiva. Ben venga ad una carovana che ci porti fuori da ogni realtà stereotipata, pregiudiziale e ci permetta di gustare ed assaporare la novità di ogni cosa.
Sarà la carovana che ci potrà aiutare finalmente a far i conti con noi stessi e con ogni realtà che ci circonda. Le realtà sono ormai tante, tante quanti i volti delle persone che le portano quotidianamente e poi le riversano sulle nostre piazze e quindi nelle nostre coscienze.
Prendiamone una a caso. L'immigrazione. Molto dibattuta, molto chiacchierata direi, e poco riflettuta. I mass media e i loro editorialisti, spesso dei politici, ne hanno tratto dei vantaggi cospicui sia dai punti di vista elettoralistici che di immagine. Così il tema è entrato nelle nostre coscienze, solo come un problema di cui sbarazzarsi in maniera aggressiva. L'immigrazione è spesso considerata una delle piaghe dei nostri tempi.
Qualcuno scrive sui muri nostri "una tua firma, per allontanare gli immigrati dalla tua città" o ancora "via i clandestini immigrati, islamici" o ancora "immigrati rompicoglioni". Potremmo citare molti altri slogan eloquenti sulla realtà. Essi però ci danno la misura del grado della situazione e soprattutto sulla sua percezione collettiva.
Normalmente, si fa una duplice lettura dell'immigrazione. Una è di tipo criminalizzante e di rifiuto che si basa sui fenomeni ricorrenti, ovvero la microcriminalità, degli episodi di violenza, di aggressioni nei quartieri, di spaccio di stupefacenti ben volentieri attribuiti alla presenza degli "extracomunitari" a dire della gente troppo numerosi e fannulloni. La seconda è quella pietistico-assistenziale, inizialmente espresso dagli ambiti religiosi confessionali e successivamente dal mondo dell'associazionismo in generale e perfino dalle organizzazioni sociali, quali i sindacati dei lavoratori. Ma giri e rigiri, e si rimane un po' bloccati a questa visione assistenzialista, talvolta professionale e strutturalmente efficiente, anche nei risultati immediati. Si parla dei problemi, dei bisogni, delle esigenze. Si dibatte molto sui fattori dell'immigrazione e dei suoi perché. Taluni parlano dell'immigrazione come di un fenomeno epocale, irreversibile ed altri di un fatto di durata limitata legata semplicemente a fatti di cronaca nera e legati ai traffici degli esseri umani attuati dai grandi gruppi "mafiosi". Molto fumo e poco arrosto purtroppo. Mancano al dibattito i soggetti veramente coinvolti, cioè gli immigrati dei “quattro venti”. Mancano i loro veri volti, le loro storie vere e non inventate da qualche giornalista politicamente o sociologicamente orientato e pilotato. Non notizie "scoop" come si suole dire. Sono assenti i protagonisti veri, le loro esperienze che scalfiscono ogni elucubrazione mentale. Solo loro stessi ci possono fare assaporare la tristezza e la bellezza del loro "viaggio". La bellezza dei luoghi di provenienza, gli ostacoli incontrati nei paesi di approdo e soprattutto le aspettative. Quelle aspettative che sono sepolte dai silenzi rumorosi dei nostri giorni. Aspettative vere della realizzazione di sé attraverso la partecipazione e la creazione degli spazi dentro la città per sentirsi cittadino. Con responsabilità e Diritti, naturalmente.
Quali sono gli ostacoli a questa legittima aspirazione, sentirsi cittadina/o? Chi li rimuove e come? Ma allora a cosa serve essere cittadini in una realtà o in un contesto che fino a ieri era estraneo al proprio vivere, alle proprie tradizioni, alle proprie abitudini, anche alimentari. Il sentirsi cittadini partecipanti al vivere della società è già una realtà visibile o una utopia e quindi un sogno lontano da realizzarsi? dunque Sogni o realtà? Miraggio o desiderio realizzabile e a quale prezzo? Qualcuno ci è arrivato finalmente dopo molte lotte, e come? Ascoltiamo le voci dei testimoni. I cittadini immigrati presenti tra di noi e con noi dentro gli spazi creativi della nostra polis. Essi provengono da varie aree del nostro pianeta. E allora mentre li ascoltiamo, ci predisponiamo da ora in poi ad interagire con loro in ottica di impegno civile perché vengano rimossi i piccoli, grandi e terribili ostacoli che ancora ci allontano una moltitudine di noi immigrati e minoranze etniche da quel desiderio profondo di ogni essere umano, quello cioè di sentire di Essere considerato una Persona che ha la sua dignità, anche nelle povertà di mezzi, di poter esprimere delle responsabilità e di essere detentore di Diritti. Sì, i diritti ad avere una casa, degna di tale nome, di avere il Permesso di soggiorno-permesso di Vivere in mezzo agli altri contribuendo alla crescita culturale, spirituale, umana, politica ed economica della Polis. I cittadini nuovi, cioè gli immigrati vogliono dare il loro contributo attraverso il loro lavoro nelle fabbriche, nelle cooperative di servizi, nelle famiglie come assistenti familiari e badanti, nelle attività autonome; attraverso il loro patrimonio culturale ancora poco esplorato nei e dai contesti e spazi sociali in cui vivono. Vogliono offrire il loro contributo attraverso la messa a disposizione della collettività delle loro esperienze sportive, musicali, educative. E allora occorre rimuovere tutte le barriere che quotidianamente vengono frapposte. Ci serve la normalità nei rapporti. Solo la normalità può offrire raggi di speranza e dare La Pace!!
Abbattiamo le mura nuove e vecchie che impediscono a noi immigrati e a chi sceglie l'alternativa di accedere per esempio ai beni fondamentali, la casa, il lavoro, la salute, l'istruzione. Con questa carovana, i testimoni immigrati vogliono dire a chi si nutre e si accontenta di stereotipi e pregiudizi che l'Immigrazione-emigrazione è una Risorsa da valorizzare in ottica di Relazione e di contatti umani. Non solo a parole!!! La Cittadinanza umano-sociale è l'apice di un lavoro d'integrazione e di interazione.