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Mettiamola fuori legge. La pubblicità, non l'acqua in bottiglia

Campagna di Altreconomia

Mettiamola fuori legge. La pubblicità, non l'acqua in bottiglia

Noi italiani siamo i più grandi consumatori di acqua in bottiglia.
Mezzo litro a testa, ogni giorno.
È un bisogno indotto dalla pubblicità:
le aziende investono 379 milioni di euro in spot tv, giornali e
radio.
Lanciamo una proposta: regolamentiamo la pubblicità dell’acqua in
bottiglia. Fa concorrenza a quella distribuita dagli acquedotti, che è
buona, controllata, comoda (arriva in casa) e poco costosa.

Dal sito di altreconomia

FARE A MENO DELLA PUBBLICITÁ

In Italia le acque minerali sono uno dei maggiori investitori pubblicitari, un protagonista assoluto del mercato: 379 milioni di euro spesi nel 2005 per convincerci a comperare “l’acqua da bere”.
Ma perché tanto sforzo? E da dove vengono tutti questi soldi? Non si investe così tanto, per esempio, per un altro bene di largo consumo, la benzina. Il fatto è che la benzina non ha bisogno di essere pubblicizzata perché non ha alternative; l’acqua in bottiglia invece sì, ha un concorrente formidabile che è l’acqua degli acquedotti: buona (poche le eccezioni), controllata (più dell’acqua in bottiglia, come hanno dimostrato diverse inchieste), comoda (arriva in casa), e poco costosa.
Se le acque minerali non fossero sostenute da una pubblicità martellante, nessuno o pochi sentirebbero il bisogno di comperarle. In vent’anni i consumi di acqua in bottiglia nel nostro Paese sono triplicati (e così le bottiglie di plastica, e i viaggi dei camion su e giù per il Paese, perché la Ferrarelle o la Boario mica l’imbottigliano sotto casa).
Finirà che nessuno più berrà l’acqua del rubinetto. Di fatto l’acqua in bottiglia fa concorrenza a un bene comune come ha riconosciuto anche l’Antitrust nel 2004 nel caso “Mineracqua contro Acea”.
Senza pensare di ridurre la libertà di produrre e vendere acqua minerale, non si potrebbe invece
legittamente pensare di limitarne l’invadenza pubblicitaria?
C’è almeno un caso simile in cui non si può fare pubblicità di prodotti pur buoni: in quasi tutto il mondo è vietato promuovere latte in polvere per la prima infanzia (e ad altri prodotti di questo genere) perché fa concorrenza all’allattamento al seno che è riconosciuto come “un bene primario”.
Per difendere l’acqua degli acquedotti (buona, controllata, comoda e poco costosa) e garantirle un futuro forse è necessario limitare l’invadenza pubblicitaria delle acque minerali. “Mettiamola fuori legge. La pubblicità, non l’acqua minerale”.

FARE A MENO DELLA PUBBLICITÁ
VOI CHE NE DITE?


Oggi le acque minerali sono uno dei maggiori inserzionisti pubblicitari in Italia: per convincerci a comperare “l’acqua da bere” nel 2005 gli imbottigliatori hanno acquistato spazi pubblicitari per 379 milioni di euro.
Perché tanto sforzo? L’acqua in bottiglia ha un concorrente formidabile, che è l’acqua degli acquedotti: buona (poche le eccezioni), controllata (più dell’acqua in bottiglia, come hanno dimostrato diverse inchieste), comoda (arriva in casa), e poco costosa.
Se le acque minerali non fossero sostenute da una pubblicità martellante, nessuno o pochi sentirebbero il bisogno di comperarle.
Di fatto l’acqua in bottiglia fa concorrenza a un bene comune, lo ha riconosciuto anche l’Antitrust nel 2005 nel caso “Mineracqua contro Acea”. Solo che le forze in campo sono impari: contro i 379 milioni di euro che l’industria spende per sostenere l’acqua in bottiglia, gli acquedotti non investono una lira per pubblicizzare il proprio servizio.

Senza pensare di ridurre la libertà di produrre e vendere acqua minerale, non si potrebbe invece legittimamente pensare di limitarne l’invadenza pubblicitaria?

C’è già almeno un caso in cui non si può fare pubblicità di prodotti pur buoni: in quasi tutto il mondo è vietato promuovere latte in polvere per la prima infanzia (e ad altri prodotti di questo genere) perché fa concorrenza all’allattamento al seno, che è riconosciuto come “un bene primario”.
Ma non c’è solo questo: in 14 regioni su 20 le aziende non pagano alcun canone per la quantità di acqua effettivamente prelevata e imbottigliata, ma solo un “canone di coltivazione”, in pratica l’affitto del terreno all’interno del quale si estrae l’acqua.
E a fare affari d’oro sulla dabbenaggine dei nostri consumi sono i soliti noti: Nestlé, ad esempio, che vende nel mondo 19 miliardi di litri d’acqua e anche in Italia è leader del mercato. In Trentino imbottiglia tra i 90 e i 110 milioni di litri d’acqua (“Pejo fonte alpina”) ma paga al Comune di Peio meno di 30 mila euro l’anno. Uno scandalo.

Per difendere l’acqua degli acquedotti (buona, controllata, comoda e poco costosa) e garantirle un futuro forse è necessario limitare l’invadenza pubblicitaria delle acque minerali.

Mettiamola fuori legge. La pubblicità, non l’acqua minerale.
Voi che ne dite?

[http://www.altreconomia.it/acqua/aderisci.php]

 

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