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Per una spiritualità del VAJONT (1° tappa della Carovana NORD EST)

Carovana Missionaria della Pace 2008

PER UNA SPIRITUALITA' DEL VAJONT

Per la Bibbia, 'spirito' non si oppone a materia, nè a corpo, bensì a malvagità (distruzione); si oppone a 'carne', a morte (la fragilità di ciò che è destinato a morire); si oppone pure a legge (l'imposizione, la paura, il castigo). in tale contesto semantico, spirito significa VITA, costruzione, forza, azione, libertà. Lo spirito non è qualcosa che si trova fuori della materia, fuori dal corpo o fuori dalla "realtà reale", ma qualcosa che è dentro, che inabita la materia, il corpo, la realtà, dando loro vita, facendogli essere quello che sono; li colma di forza, li spinge al movimento, li getta nell'avventura della crescita e della creatività in uno slancio di libertà.
In ebraico la parola spirito, ruah, significa, vento respiro, alito. Come il vento, lo spirito è leggero, forte, travolgente, imprevedibile. E' come il respiro, il soffio corporeo che ossigena la persona facendola restare in vita.

La CAROVANA MISSIONARIA DELLA PACE 2008, si mette all'ascolto dello Spirito che parla dentro la Realtà, dentro la Storia, dentro il Respiro dei popoli, soffocati da smania di potere, ansimanti la liberazione, ma danzanti, nonostante tutto, la VITA.

Il VAJONT ha una forte spiritualità, che scorgiamo a partire da due luoghi significativi:

- il bosco vecchio
- il lago residuo


IL BOSCO VECCHIO
INTRODUZIONE ad una SPIRITUALITA’ del VAJONT

Camminare in questo luogo è qualche cosa che fa dei passi un respiro. Ci si concentri sul respiro dunque, sapendo che ad ogni passo ritmicamente introduciamo vita. Il passo e il respiro sono imprescindibili, come lo è da essi la vita.
Un’andatura lenta, silenziosa e sacrale è quindi auspicabile, perché il ritmo della natura possa effettivamente entrare nei nostri cuori.

I luoghi che “calpesteremo” sono luoghi particolari. Immaginiamo dunque che camminando, i nostri passi, facendo attrito col terreno e spingendoci in avanti, concorrano alla rotazione della Madre Terra.
 
La terra qui è migrata, per ricordare all’essere umano la sua dimensione di elemento facente parte di un equilibrio fra altri fraterni elementi. Equilibrio che non dovrebbe essere disturbato.
 
Un po’ come migrano le persone da luoghi costretti dalla guerra e divenuti inospitali e disumani. Anche qui si è consumato un conflitto (idroconflitto), non armato, ma potente. Un conflitto che vedeva l’essere umano contrapposto, per motivi di interesse, ad un ambiente e ad un popolo che lo abitava, e che ha determinato la morte violenta di circa 2000 persone. Una volontà di dominio votata agli interessi economici e di prestigio tecnologico-scientifico, rivolta verso l’acqua, la terra, e le genti qui da millenni ospitate.

Noi, che siamo di passaggio, possiamo accogliere e ri-assumere questa storia, fatta anche di sofferenza, ma da subito, di resistenza e di speranza. Cerchiamo dunque i segni di questa speranza attaccata tenacemente alla vita. Facciamoci ispirare dalla Madre che ci ospita, guardiamoci attorno, ascoltiamo il silenzio che ci invita a risorgere, dalle nostre difficoltà, dalle logiche di morte dominanti e a volte scoraggianti.

Alberi strani, alberi eccezionali… unici al mondo. Dialogano con noi facendosi educatori naturali. Erano alberi che appartenevano al versante del Monte Toc prima del franamento e si trovavano quindi, a quote molto superiori rispetto alle attuali. Quando la massa è franata, alcune porzioni del corpo di frana (parti terminali) si sono arrestate in posizione topografica elevata rispetto al resto del corpo, riuscendo quindi a non interagire con l’onda generata dal disastro e non venendo denudate e decorticate. Questo ha permesso la conservazione della vegetazione pre-frana e della storia particolare e unica che questa porzione del territorio ha subito. Gli alberi in questione risultano quasi sradicati ed orizzontalizzati. In alcuni casi la pianta non è morta, e i rami che puntavano verso il cielo sono diventati di fatto nuovi tronchi, non radicati immediatamente a terra ma passanti attraverso il tronco madre, per aver accesso al nutrimento. Si sono sviluppate anche delle spettacolari uncinature di alcuni alberi che hanno variato notevolmente il loro assetto, e poi ripreso la verticalità a partire dal tronco stesso.
Questo atteggiamento perpetuato dalla natura risulta particolarmente illuminante rispetto all’auspicio di una Continuità di Vita facente perno attorno al concetto di Memoria. Il legno fa Memoria deformandosi, ma puntando alla vita verso la luce. Questi alberi non rinunciano a quella notte dimostrando che è sempre possibile ricominciare, cambiando assetto, accettando la modificazione e facendo ricchezza del poi. Così facendo questi esseri mantengono una bellezza, implementata dall’esperienza, che li proietta a non voler con-tenere la terra direttamente attraverso le loro radici. Fra loro e la terra c’è un tramite, la parte quasi morta… per-corsa per riprendersi la Vita.

Il dialogo con questo bosco magico (bosco vecchio) che ricopre questa unità di frana, offre spunti meravigliosi all’essere umano che assiste. Un’attività interessante può essere quella di scegliere un (o più di uno) soggetto arboreo e di disegnarlo. Questi disegni possono poi essere donati alla gente locale, spiegando loro l’invito che questi alberi implicitamente fanno a chi li incontra e facendo notare come per la natura, la notte del IX ottobre 1963, sia stata ed è, ricchezza che rivitalizza. Come la croce, anch’essa di legno.
“Come legno sarò, memoria ostinata che continua a vivere”.





IL LAGO RESIDUO:
CONTEMPLAZIONE dell’ACQUA e della VITA


L’Acqua anche se la sposti o la trattieni, continua a scorrere non rinunciando mai alla sua libertà. Provate a mettere le mani nel torrente, l’Acqua per quanto possiate stringere fra loro le dita, passerà oltre. Si gonfierà attorno all’ostacolo, attraverserà gioiosa quello che per noi è troppo stretto, andando ad abitare con il suo passaggio anche gli spazi più piccoli.
Se per ipotesi riuscissimo ad impermeabilizzare il concavo delle mani, essa eternamente paziente, attenderebbe l’usura, e prima o poi, mantenendosi ancora limpidamente libera, andrebbe oltre, a servire ciò che sta oltre. Tornando Acqua, bella Parola.
La sua missione intrinseca è portare vita, ed è inarrestabile. Anche una diga di cemento alta quasi 300 metri non la distoglie dalla sua essenza. Nel frattempo, eternamente generosa, rinfresca, lava, nutre, alleggerisce dalle fatiche. Se inquinata può sempre infossarsi, facendo l’amore con le ghiaie e le sabbie, cercando poi, dopo essersi fatta filtrare, una fonte come via d’uscita, per ripresentarsi all’amico cielo che la contiene e l’attende, pura… ancora una volta. R-esitente.
Se poi dovessimo riuscire a fermarla per sempre, essa morrebbe lentamente, ma la sua morte è sempre legata alla vita… migliaia di insetti la userebbero come grembo per le loro uova, gli esseri vegetali la ricoprirebbero trovando nutrimento, qualche assetato animale di passaggio la berrebbe… e se qualcuno dovesse commuoversi per la sua lenta morte, ancora rinascerebbe dagli occhi, attraverso il pianto, ancora Acqua, ancora libera… per ripercorrere il suo ciclo, che è vita nella sua essenzialità.
Qui l’Acqua apparentemente a portato morte, ma se la guardiamo da una prospettiva più ampia essa non si è tradita, ci ha solo ri-preso, per ricordarci come si possa rischiare sentendosi onnipotenti, come si possa perdere la misura e smettere di partecipare all’armonia.
Non esiste l’Acqua cattiva. È l’essere umano che ha portato la morte, non l’Acqua…essa è innocente. L’essere umano che ha smesso di saperla com-prendere, che si è dimenticato di amarla, di ringraziarla, di celebrarla. L’essere umano che ha deciso di mercificarla. Ma lei non è merce, è vita, ha solo l’esigenza di scorrere per raggiungere gli Altri, per nutrire i mari che diventano nubi, poi pioggia e ancora vita.
Di un grande bacino artificiale ora resta un lago residuo, che è di una bellezza unica. Una bellezza d’Acqua. Dedichiamo il nostro silenzio a quest’Acqua. Resti solo il rumore del suo scorrere. Diventi canto ci conduca a noi stessi. Una melodia da interiorizzare e che ci colleghi a quella moltitudine di donne (portatrici d’Acqua) che in luoghi arsi dal sole distanti da qui, camminano quotidianamente verso il pozzo, per chilometri, con anfore sulla testa, vuote all’andata e colme di vita al ritorno. Anfore piene di vita per tutti al villaggio. Anche qui, su questo fondo ghiaioso di fiume, le donne scendevano in cerca dell’Acqua, per lavare. In altri luoghi, su nel paese vecchio, la gente si radunava attorno all’Acqua (fontane), la sera con le bestie, per bere. Anche le case le hanno costruite in stretto rapporto con l’Acqua (alcune letteralmente sopra le sorgenti) per vivere.
L’auspicio è quello di ri-assumere anche questa dimensione celebrativa e contemplativa dell’Acqua, da ricordare quando avviciniamo le labbra ad una bottiglia di plastica, moderna trappola per l’Acqua, ed inquinante per l’ambiente; o quando passiamo di fianco ai nostri fiumi, ridotti a rivoli, cementificati e semplificati, maledetti quando straripando inondano le nostre invasive e spudorate costruzioni spinte oramai oltre gli argini naturali. Perchè l’Acqua sia maestra di vita, come quando sgorgò, non a caso, dal costato di quel Cristo morto in croce, tradito come l’Acqua, ma portatore di vita.

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