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Mc 6, 30-44: Date loro voi stessi da mangiare

campo di Firenze 2008


 

“DATE LORO VOI STESSI DA MANGIARE”

 

Mc 6, 30-44:

30Gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e insegnato. 31Ed egli disse loro: "Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un po'". Era infatti molta la folla che andava e veniva e non avevano più neanche il tempo di mangiare. 32Allora partirono sulla barca verso un luogo solitario, in disparte.
33
Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città cominciarono ad accorrere là a piedi e li precedettero. 34Sbarcando, vide molta folla e di commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore, e si mise a insegnare loro molte cose. 35Essendosi ormai fatto tardi, gli si avvicinarono i discepoli dicendo: "Questo luogo è solitario ed è ormai tardi; 36congedali perciò, in modo che, andando per le campagne e i villaggi vicini, possano comprarsi da mangiare". 37Ma egli rispose: "Voi stessi date loro da mangiare". Gli dissero: "Dobbiamo andar noi a comprare duecento denari di pane e dare loro da mangiare?". 38Ma egli replicò loro: "Quanti pani avete? Andate a vedere". E accertatisi, riferirono: "Cinque pani e due pesci". 39Allora ordinò loro di farli mettere tutti a sedere, a gruppi, sull'erba verde. 40E sedettero tutti a gruppi e gruppetti di cento e di cinquanta. 41Presi i cinque pani e i due pesci, levò gli occhi al cielo, pronunziò la benedizione, spezzo i pani e li dava a discepoli perché li distribuissero; e divise i due pesci fra tutti. 42Tutti mangiarono e si sfamarono, 43e portarono via dodici ceste piene di pezzi di pane e anche dei pesci. 44Quelli che avevano mangiato i pani erano cinquemila uomini.



Il brano di Marco ci presenta i discepoli di ritorno dalla missione, dove li aveva inviati Gesù; tornare per fare riferimento ancora a Lui, la missione parte da Lui e arriva a Lui, proprio perché è Gesù l’autore principale della missione. I discepoli hanno voglia e bisogno di raccontare al Signore ciò che hanno vissuto e visto; raccontare la propria vita, il raccontarsi al Signore, davanti al Signore è il luogo dell’agire di Dio, del discernimento, perché è rileggere la propria vita alla luce e sotto lo sguardo di Dio per capirla e interpretarla secondo la sua logica, i suoi pensieri, la sua volontà.
È lo stesso Gesù che si vuole prendere del tempo con i suoi discepoli, con me (Os 2,16)

Mi metto davanti al Signore e mi racconto, e ancora una volta
gli affido la mia vita e me la faccio spiegare.


La folla cerca Gesù perché non semplicemente sa dove sta andando, ma sa cosa più dare loro. Innanzitutto mi metto davanti a questa folla, cercando di scorgerne i desideri, gli aneliti di vita; nel mondo ci sono ancora folle che cercano vita, e tante che ancora non sanno da Chi andare!

Ma anch’io faccio parte di questa folla, e due cosa diventano importanti:
– sapere cosa sto cercando e cosa sto chiedendo al Signore
– mettermi in cammino se seguire Lui e non qualcun altro o farmi da solo/a la mia strada, rischio è di “sbagliare strada” e di sentirmi dire quello che Gesù ha detto a Pietro, cioè di rimetterci dietro di lui perché stava pensando con la logica umana e non di Dio (Mc 8,33).


Ed io chi sto seguendo?
Una folla che cerca Gesù mi interpella e mi chiede di mostrarlo,
che risposta do?



Gesù accoglie la folla, parla del Regno e viene incontro alle necessità fisiche. È la realtà intera della persona che interessa a Gesù, corpo, anima e spirito; nulla viene escluso. A questo punto interpella i discepoli. A dire il vero i discepoli cercavano di risolvere il problema in fretta: li mandano da un’altra parte perché si arrangino da soli; gli altri, i necessitosi, i poveri sono scomodi perché ci interpellano a dare delle risposte molto concrete, ci scomodano perché non hanno orario, giorni fissi, e il più delle volte sono insistenti, esigono tempo e attenzione, oltre che energie e risorse. Altra “tentazione” dei discepoli è di non ritenersi all’altezza: “abbiano solo cinque pani e due pesci”, non abbiamo le possibilità e le capacità; quello che sta chiedendo Gesù è troppo, ha delle pretese assurde, che vanno al di là delle nostre possibilità, ma anche della nostra immaginazione. È IMPOSSIBILE!!!


Ed io che tentazioni ho di fronte alle sfide dei poveri e di Dio?


E Gesù rincara la dose: “Date voi stessi da mangiare”. Gesù pone la sfida su due piani:
– l’impegno personale a dare una risposta a chi ha fame; Gesù chiede di sporcarmi le mani, di metterci del mio tempo, delle mie energie, forze, intelligenza per trovare una risposta significativa ed efficace alle domande dell’umanità, e delle singole persone che incrociano il mio cammino.
– il dono di sé stessi. A Gesù non basta un po’ di tempo (o anche tanto), cose, energie o soldi; potremmo dire che non si accontenta di “così poco”; chiede ai discepoli di diventare pane, di lasciarsi mangiare; chiede di diventare pane spezzato perché gli altri si possano sfamare. “Date voi stessi da mangiare”, è la vita stessa che si fa nutrimento, dono; il Signore sta chiedendo tutto, in modo completo e totale, senza riserve, mezze misure. Diventare pane spezzato è lasciarsi modellare, impastare da Dio, lasciarsi cuocere dal fuoco del suo Spirito e del suo amore, por poi lasciarsi spezzare per essere mangiato da tanti; diventa il dono della vita fatto quotidianamente e totalmente.


Cosa metto a disposizione di Dio
Cosa sento che mi sta impedendo un dono totale della mia vita
a Dio e all’umanità?



Il dono si realizza e si vede quando ci si riconosce come comunità. I discepoli si muovono e si sentono partecipi di questa folla, delle sue sorti, loro non si sentono più fuori dalla folla, ma cominciano a “mescolarsi”, a fare causa comune, a camminare insieme, cosicché la folla non è fatta più da persone “estranee”, cominciano a prendere un volto, diventano piccole comunità (i gruppi di cinquanta) che si possono guardare in faccia, conoscere ed ascoltare.


Mi lascio coinvolgere dalla vita e dai problemi dei poveri,
li sento come miei, o riguardano “solo loro”?
mi lascio “contaminare” o resto “asettico”?



Lasciarsi coinvolgere, ed ecco che i discepoli cominciano a fare da spola tra Gesù e la gente, per portare il pane e i pesci, ma in questo modo fanno da ponte, mezzo di comunicazione dove Gesù entra nella vita di quella gente, facendosi dono, ma anche la gente entra ancora di più nella vita di Gesù, perché gli apostoli tornando ancora da Lui portano la loro “fame”. Ecco un compito del discepolo: accorciare le distanza tra Dio e l’umanità. Diventa perciò indispensabile un’intimità con Dio e anche con questa umanità; l’imparare a stare a cuore a cuore con tutti e due per sentire i palpiti del Primo e i desideri e le speranze della seconda.

Ed ecco che si compie il miracolo: dall’azione di grazie di Gesù si realizza la vita per tutti; Dio condivide la sua vita, si fa pane, pane spezzato; e la comunità che si riunisce per ascoltare la Parola e condividere il pane, impara a sua volta a farsi dono, tanto che dalla generosità di tutti avanzarono “dodici ceste”, cioè per tutto il popolo d’Israele, per tutti quanti.


Con quale comunità sto facendo eucaristia, condivisione?
Qual è la folla per la quale il Signore mi chiede di diventare pane spezzato,
cibo perché altri possano mangiare e vivere?




Prima il pane, poi la libertà!

La libertà nella fame è un fiore su un cadavere!
Dove c’è il pace c’è Dio.
“Il riso è il cielo”, dice il poeta dell’Asia.
La terra è un’enorme piatto di riso,
un pane immenso e nostro, per la fame di tutti.
Dio si fa pane: lavoro per il povero dice il profeta Gandhi.
La Bibbia è un menu di pane fraterno.
Gesù è il pane vivo.
L’universo è la nostra tavola, fratelli.
Le masse hanno fame, e questo Pane è la loro carne, 
martoriata nella lotta, vincitrice nella morte.
Siamo famiglia nello spezzare il pane.
Solo allo spezzare del pane ci potranno riconoscere.
Cerchiamo di essere pane, fratelli.
Dacci, Padre, il pane quotidiano:
il riso, il mais o la schiacciata,
il pane del sud del mondo.

(Pedro Casaldaliga)


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