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No alle basi militari straniere, in Ecuador e in Italia

Nicola dall'Ecuador

Nicola, Angela e bimbi


Pubblichiamo questa lettera dall’Ecuador di Nicola, missionario laico della diocesi di Padova: Nicola è partito insieme a sua moglie e i loro due bimbi, dopo un cammino di formazione, per condividere tre anni di vita con la gente di Quito.
Questa lettera dalla missione collega con forza i due mondi a cui la famiglia appartiene: Vicenza (e la lotta nonviolenta contro la base USA) e l’Ecuador.




Pagine correlate:

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A un certo punto della discussione un uomo seduto nelle prime file sbotta: "Gesù non ci ha insegnato ad essere sempre e comunque pazienti! Gesù disse di non essere venuto a portare la pace; naturalmente non perché è venuto a portare la guerra, ma perché ci ha insegnato a lottare radicalmente per le nostre idee. Quando c'è stato da cacciare i mercanti dal tempio è stato piuttosto energico. Con questo comportamento – aggiunge il ragazzo – la Chiesa sta perdendo ogni credibilità. La Chiesa antica non permetteva di professarsi cristiani e contemporaneamente prestare il servizio militare per l'imperatore. Vorrei che i pastori queste cose le dicessero ad alta voce, e che per una volta fossero davanti al gregge, non sempre dietro, al seguito!".
L'uomo si chiama Andrea Busolo, ed è uno dei circa 400 partecipanti all'incontro organizzato dal Gruppo di Famiglie per la Pace (insieme alle Acli provinciali, all'Agesci Vicenza-Berica, e ai Beati i Costruttori di Pace) lo scorso 6 febbraio presso il Patronato Leone XIII a Vicenza.

tratto da Adista n. 13 del 17.02.07

Quando sentiamo che dove si preparano le armi da guerra le comunità cristiane diventano luoghi dove tutti gli uomini della pace si riuniscono per opporsi al potere, io esulto perché questo sì che è Vangelo!
Ernesto Balducci.

EcuadorNon è un caso se in Ecuador, a Quito e Manta, dal 5 al 9 marzo si è svolta la prima Conferenza Internazionale per l’abolizione delle basi militari straniere; incontro promosso dalla rete No Bases, rete internazionale per l'abolizione delle basi militari, nata qualche anno fa in all’interno di un Forum Sociale Mondiale e che poi ha tessuto i fili attraverso internet.
I lavori dei primi tre giorni si sono svolti a Quito, presso il centro culturale della Università Cattolica, e questa è stata per me una fortunata coincidenza; infatti in queste settimane sto frequentando il corso di spagnolo proprio presso la Cattolica e così, al termine delle lezioni, nel pomeriggio potevo seguire le attività dei gruppi di lavoro o le discussioni in plenaria.
Infatti mi affascina, in occasioni come queste, l’incontro tra persone con gli stessi ideali ma anche molto diverse per nazionalità, cultura, età, credo religioso o ideologico e che si confrontano alla ricerca, a volte difficile, di un linguaggio comune, condiviso da tutti.
Il fatto di intendere sempre più lo spagnolo, e la traduzione simultanea di chi parlava inglese, mi ha permesso di apprezzare il lavoro che veniva svolto; e il fatto che il numero dei partecipanti  fosse limitato, il pomeriggio con maggior partecipazione in plenaria si era circa in 300, ha permesso che ci fosse una partecipazione effettiva.

Inoltre mi spingeva a partecipare pure la mia pericolosa indole da new global che mi porto addosso… e quindi era difficile non partecipare ai lavori di un covo di pericolosi pacifisti!!
A parte gli scherzi, e apro una piccola parentesi, mi sembra chiaro che la libertà d’informazione in Italia (siamo all’ottantesimo posto al mondo… AIUTO) continua a presentare il  pacifismo come qualcosa di offensivo, di pericoloso per la società. E visto che ho l’impressione che l’opinione pubblica inizi a crederci, mi sono ricercato una definizione di pacifismo: si intende una tipologia di opinione fondata sulla convinzione che i conflitti tra diverse comunità (stati, etnie, etc.) o tra diverse fazioni all'interno della medesima comunità, debbano essere risolti senza ricorrere allo scontro militare e/o violento.

Diventa quindi più facile comprendere gli obiettivi di questa rete internazionale, che vede nelle basi militari straniere uno degli strumenti fondamentali della “guerra permanente” portata avanti dall’amministrazione statunitense.     
Sì perché il 95% delle basi militari che esistono nel mondo sono degli Stati Uniti, per un totale di 735. Un numero che sinceramente mi ha sorpreso, della serie “la realtà supera la fantasia…”.
Anche se le basi non solo l’unico modo utilizzato dagli Usa per esercitare militarmente i propri interessi, basti vedere il Plan Colombia che agisce ai confini con l’Ecuador (e su questa “guerra dimenticata” magari vi scriverò un’altra volta).
La presenza delle basi Usa in America Latina è strategica: difatti sono collocate in luoghi chiave per il controllo di giacimenti petroliferi, delle più grandi riserve d’acqua dolce e della biodiversità amazzonica, garantendo così gli interessi  nordamericani e, soprattutto, gli investimenti delle multinazionali.
Ma “politica Usa” non significa “popolo statunitense”, ed era significativa la presenza alla conferenza di cittadini Usa  impegnati nel proprio paese a promuovere una politica di pace.

Ma, come dicevo all’inizio, non è un caso che la conferenza si sia svolta in Ecuador.
Infatti a Manta, città che si affaccia sull’Oceano Pacifico, c’è una base Usa dal 1999, quando i governi di Ecuador e Stati Uniti firmarono un accordo per la durata di dieci anni che prevedeva operazioni di monitoraggio e controllo del traffico aereo per il trasporto di droga. Successivamente, questo obiettivo è stato ampliato, così gli Stati Uniti hanno utilizzato la base ed il porto di Manta pure per il controllo migratorio e per operare con le vicine (a 20 minuti d’aereo) forze militari della Colombia che combattono la guerriglia interna. “Occhi e orecchi del Plan Colombia”, come scrive il titolo di un rapporto di 18 associazioni e gruppi ecuadoriani contrari alla base che si sono riuniti nella coalizione “No Bases Ecuador”  e che da anni protestano, producono documentazione e sensibilizzano l’opinione pubblica. E così, se nel 1999 la maggioranza della popolazione era favorevole alla base di Manta che era arrivata con l'idea di portare progresso e sicurezza, oggi la percezione della gente è mutata sostanzialmente dopo l'impatto economico, sociale e culturale prodotto. I contadini sono stati sgomberati, il porto militarizzato ed i pescatori non possono fare il loro lavoro. Il lavoro non è arrivato, il costo della vita e delle abitazioni sono diventati spropositati. Sembra inoltre sia aumentata la prostituzione infantile, la dipendenza dalle droghe e le attività notturne.

Ora il governo di Correa sembra ben deciso a rispettare le promesse elettorali e nel 2009, quando l'accordo della base di Manta scadrà, non rinnoverà l’uso della base da parte degli Usa.
Questo nonostante le pressioni esplicite degli Stati Uniti che però sono state con fermezza e chiarezza  rispedite al mittente. Ecco alcune dichiarazioni del vicepresidente Moreno (vicepresidente in carrozzella, altra lezione di civiltà) riportate dal quotidiano Crónica: “Noi vogliamo solo essere rispettati. Gli ecuadoriani sono gente molto rispettosa della società nordamericana, rispettiamo e ammiriamo il popolo nordamericano. Non riteniamo però che sia corretto che il loro presidente prenda decisioni che diminuiscano o ledano la nostra dignità. La autodeterminazione dei popoli è una risorsa fondamentale”. E aggiunge poi:“Non c’è motivo che i soldati di un paese abbiano basi in altri paesi. Cosa pensereste se noi pretendessimo avere una base militare ecuadoriana negli Stati Uniti per difendere i diritti umani degli ecuadoriani che vivono lì? Non avrebbe senso, così come non ha nessun senso una base nordamericana in Ecuador”.

Parole molto semplici e chiare, ma voi riuscite ad immaginarvi che a dirle possano essere i nostri vicepresidenti D’Alema o Rutelli? Io sinceramente no, mi sforzo ma la mia fantasia non arriva a tanto…

No Dal MolinE da questo punto, visto che finora ho scritto poco…, scusatemi, ma da Manta passo a Vicenza.
Sì perché tra l’altro nei giorni della conferenza Vicenza è stata nominata spesso, nonostante purtroppo non vi fosse nessun italiano fra i relatori.
Avevo chiesto al mio amico Francesco, vicentino e cattolico impegnato nel no al Dal Molin
, di scrivermi cosa ne pensava della situazione cittadina, politica ed ecclesiale di Vicenza rispetto alla nuova base ma, nonostante la sua grande passione per la scrittura, ha gentilmente rifiutato dicendomi che il bombardamento di opinioni è continuo, con chiunque che dice la sua, ed è difficile in ciò dire qualcosa di “sapiente”.
Ma di Vicenza ho bisogno di parlarne, visto che mi tormenta da qualche mese…
Penso che non scriverò nulla di sapiente, e quindi sarebbe opportuno scegliere un saggio silenzio, ma consideratelo lo sfogo di un emigrante vicentino (i primi 26 anni della mia vita) con gli amici, e quindi come sfogo vedete un po’ voi fino a dove prendermi sul serio:

Come cittadino italiano sono proprio schifato. Sulla politica estera italiana avevo dei dubbi; ad esempio, è giusto o meno rimanere ancora in Afghanistan? La scelta del governo rispetto a Vicenza mi chiarisce, se avevo qualche dubbio, con quali finalità i soldati italiani vengono spediti nel mondo dai vari governi a “portare la pace”; ritagliarsi il proprio pezzettino di dominio, consolidare quella “credibilità internazionale” che sembra ti possa dare solo le armi.  La mia fiducia nei partiti politici ha toccato il punto più basso, se oggi dovessi dare il mio voto di rappresentanza mi resta solo Turigliatto?
E l’amministrazione comunale di Vicenza? da anni le imprese locali delocalizzano in Romania e Cina,   loro risolvono il problema occupazionale dando il benvenuto alla delocalizzazione dell’economia di guerra degli Usa?

Come cittadino italiano ho una speranza. Vicenza sta dimostrando ancora una volta che sempre più gente che non si sente più rappresentata dalla politica partitica si attiva nella società civile. Le espressioni di democrazia diretta aumentano, è questo il futuro di una  politica che garantisca la democrazia;

Come cristiano sono ancora una volta deluso. In queste settimane ho cercato su internet per capirne qualcosa in più sulla posizione della Chiesa vicentina; spero che la mia ricerca presenti delle falle e qualcuno mi corregga fraternamente! Infatti io ho trovato la prudenza “pacificatrice” del vescovo Nosiglia nell’introduzione del Comunicato del Consiglio Pastorale Diocesano sulla base americana, lettera scritta dopo il sì di Prodi alla nuova base e di cui anche i giornali hanno dato risalto alla frase: “Ora che la decisione è stata presa dal governo, occorre guardare avanti con realismo e speranza uscendo dalla logica contrapposta del no e del sì“ che, a dirla tutta, con l’avvicinarsi della Settimana Santa mi ricorda una posizione già vista…

E poi l’incomprensibile, per me, posizione di una persona colta come il precedente vescovo Nonis che nell’articolo “Il campo della confusione” dell’8 dicembre riduce quasi tutto ad antiamericanismo di stampo stalinista e  rimprovera chi sta “gonfiando a dismisura minacce e venti di guerra che grazie a Dio non ci incombono”. Certo, se guardiamo solo Vicenza… ma forse una visione più universale si avvicina maggiormente al Vangelo. Ma subito dopo chiarisce il concetto ricordando: “il sostanziale buon accordo esistente da cinquant’anni fra i “nostri” americani e la popolazione che lavora, costruisce ed affitta case, paga le tasse ed osserva le leggi”. Mah…
Mi è invece d’aiuto quando infastidito ricorda che “non appartiene propriamente alle competenze della comunità cattolica addentrarsi nella gestione ordinaria della politica, ove non lo esigano motivi d’indole morale o religiosa, come lo sarebbe la difesa di valori e principi che hanno a che fare con la sfera dei comandamenti e degli adempimenti propri dei cattolici, e dei cittadini attenti all’ordine morale”. Adesso forse mi è più chiaro perché la Chiesa italiana non si è pronunciata su Vicenza: forse non vi sono valori e principi cristiani da difendere! Ma forse non era tra le preoccupazioni maggiori del card. Ruini e forse si esprimerà il nuovo Presidente della CEI, mons. Bagnasco che è stato Arcivescovo Ordinario Militare per l'Italia e quindi, come Generale di Corpo d’Armata ha maggior conoscenza in materia. E forse potrà contare sui consigli del Segretario di Stato Vaticano, card. Bertone, che nel 2004, quand’era arcivescovo di Genova, diede la benedizione alla portaerei Cavour, nuova nave da guerra della Marina Militare Italiana costata  900 milioni di euro ( e se aggiungiamo i costi delle armi e delle strumentazioni a bordo arriviamo a 1390 milioni di euro), il tutto fra aspre critiche del pacifismo cattolico. Tanti forse, forse ho pure usato un tono non appropriato, ma veramente io non ci capisco più nulla, cerco il Vangelo ma non lo trovo… Perché rispetto a questo ordine mondiale iniquo, con la forza militare che le fa da guardiano, la gerarchia della Chiesa italiana non va oltre le dichiarazioni di rito?

Come cristiano ho una conferma e una speranza. A Vicenza i cattolici sono in prima fila, come singoli, associazioni (interessante il sito http://www.famiglieepace.netsons.org/) , parrocchie. Diversi preti hanno pubblicamente preso posizione contro la nuova base. Il popolo di Dio è in cammino, la Chiesa è sempre più plurale.

Grazie per la pazienza.
Nicola

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