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La gloria di Dio è l'Uomo Vivente - Aviano 2007

 

La gloria di Dio e' l'Uomo Vivente

L'undicesimo percorso della Via Crucis Pordenone-Base Usaf di Aviano potrebbe sembrare un segno ripetitivo che si consuma in una ritualità prevedibile, mentre i drammi della storia continuano. Per noi e per chi accoglierà il nostro invito a parteciparvi, questo momento di riflessione e di preghiera si propone di rimotivare la sensibilità, la spiritualità e l'impegno per costruire con la nonviolenza attiva  un mondo di giustizia, di pace, di fraternità, mettendo sempre in primo piano lo stile e il tenore del nostro modo di vivere.

Il riflettere e pregare in cammino verso la base Usaf di Aviano, emblema dell'intreccio mondiale sempre più terribile e mortale fra i poteri forti dell'economia e dell'uso delle armi, intende essere un segno, anche se piccolo, del cammino che migliaia di comunità, bambini e bambine, giovani, donne e uomini compiono ogni giorno nella resistenza, nella progettualità, nella dedizione fino al dono della vita stessa. E' il cammino degli impoveriti, degli oppressi, delle vittime che diventano protagonisti di una storia umana.

Vorremmo che questa Via Crucis sia un percorso di fede dentro la storia, insieme a quel Dio che ascolta il grido dei poveri, prende a cuore la loro condizione, li ama di un amore preferenziale per animarli nel cammino della liberazione e della vita; insieme a quel Gesù di Nazaret che è venuto ad annunciare e attuare la buona notizia per i poveri, a proclamare beati i nonviolenti, e figli e figlie di Dio i costruttori di pace.

Non pretendiamo nessuna esclusiva nell'interpretazione del Vangelo, ma le nostre coscienze sono persuase che non possa esserci sequela autentica di Gesù di Nazaret se ai poveri non si riserva un amore preferenziale.

Per questo, attualizzando l'affermazione di s. Ireneo "la gloria di Dio è l'uomo vivente", il vescovo martire Romero dice: "La gloria di Dio è che il povero possa vivere".

La nostra spiritualità non può essere disincarnata dalla storia, non può accontentarsi solo di una ritualità feriale o occasionale. Deve essere invece la dedizione a spendersi per umanizzare la storia, perché appassionati dal Vangelo e dalle vicende delle persone e delle comunità.

Se la gloria di Dio è che il povero possa vivere, il disonore di Dio sono le morti per fame, sete, violenze, guerre, discriminazione e sfruttamento, distruzione dell'ambiente vitale...

Nella Chiesa, nelle diverse fedi religiose, nella politica, nella società si denunciano troppo poco le armi come strumenti di morte nella loro produzione, commercio, utilizzo.

Accanto alla base di Aviano, ampliata ed efficiente, piena di armi omicide di tutti i tipi, ora si vuole aggiungerne un'altra a Vicenza. Dietro a una distorta idea di sicurezza che vuole giustificare la potenza di queste installazioni, si nasconde solo la prepotenza, la pretesa di assurgere a controllori del Pianeta nell'accaparramento delle risorse e delle ricchezze, nella difesa di un sistema di dominio, di oppressione, di privilegio e di consumo disumanizzante e distruttivo; nella repressione dei movimenti popolari, nelle guerre che in modo sempre più evidente sono irrazionali, omicide, distruttive, strade senza ritorno.

La costruzione e il commercio delle armi sono invece un furto ai poveri e la premessa della loro uccisione, perchè diventano il proficuo investimento di pochi prendendo il posto di pozzi d'acqua, produzione degli alimenti necessari per la vita: scuole, case, luoghi di lavoro, ospedali e farmacie...

Preghiamo camminando su queste nostre strade per chiederci quanto siamo stati noi per primi incoerenti e rassegnati se abbiamo permesso e permettiamo di perpetuare un sistema di dominio, di oppressione, di privilegio e di consumo che appare - e in modo particolare a chi prende seriamente il Vangelo di Gesù di Nazaret - disumanizzante, perché organizza e gestisce la guerra, "avventura senza ritorno", e il modo irrazionale e distruttivo di gestire i conflitti che insorgono tra le
nazioni.


 

<!--[if !supportLists]-->· <!--[endif]-->Camminiamo convinti che al di fuori dei poveri non ci può essere salvezza per l'umanità, nel senso che solo condividendo la loro sorte e vivendo con loro il cammino della giustizia e della pace possiamo contribuire a rendere più umana la storia

<!--[if !supportLists]-->· <!--[endif]-->Camminiamo con tutte le comunità e i popoli del Pianeta, con le donne, gli uomini, i bambini/e stranieri presenti fra di noi, costretti da condizioni di vita ingiuste e precarie, da guerre, da violazione continua dei diritti umani a partire dai loro paesi

<!--[if !supportLists]-->· <!--[endif]-->Camminiamo con le persone che in questa società sono messe ai margini da pregiudizi, meccanismi sociali, ortodossie religiose astratte, lontane dai drammi e dalle speranze delle persone

<!--[if !supportLists]-->· <!--[endif]-->Camminiamo in sintonia con il sogno di migliaia di comunità, di milioni di persone di diverse ispirazioni, fedi religiose, percorsi storici, di un mondo di convivenza fra le differenze

<!--[if !supportLists]-->· <!--[endif]-->Camminiamo con le diverse spiritualità, emanazioni dell'unico Spirito, per liberarci dall'ossessione dell'avere e del consumare, per riscoprire il senso profondo della de-crescita e della semplice e festosa convivialità; per risentire nel profondo l'importanza del silenzio, della contemplazione, del dialogo cuore a cuore, dell'amore e dell'amicizia; per sperimentare la relazione con tutti gli esseri viventi, l'intero creato.

<!--[if !supportLists]-->· <!--[endif]-->Camminiamo in compagnia del viandante di Emmaus che ci conforta con la sua presenza, la sua parola incoraggiante, il gesto eloquente dello spezzare il pane della condivisione e della fraternità. Il cammino è il segno della scelta da rinnovare quotidianamente, della nonviolenza attiva che costruisce nuove relazioni fra le persone, con il denaro, con il potere, con la legge, con le istituzioni, con la politica.

<!--[if !supportLists]-->· <!--[endif]-->Al nostro camminare vogliamo aggiungere un gesto concreto di solidarietà: troppe sono le popolazioni, i territori, le comunità travolte dalla violenza, provate dalla tragedia della guerra che anche da Aviano è partita. A queste comunità deve essere data la possibilità di ricostruire un tessuto sociale ed economico fondato sulla solidarietà, sulla fratellanza, concreto antidoto alla violenza, seme di pace.

Per questo, aderendo all'iniziativa della Chiesa in Concordia-Pordenone, vogliamo partecipare al gemellaggio che unisce la Caritas diocesana alle comunità di Vajevo (Serbia) contribuendo concretamente al progetto 'donne sole' che punta a dare una autosufficienza economica a coloro che hanno subito più di tutti le conseguenze della guerra, donne e bambini, attraverso la costruzione di una esperienza lavorativa di tipo cooperativo e socio/assistenziale.

<!--[if !supportLists]-->· <!--[endif]-->Camminiamo con fiducia ragionevole, con speranza consapevole: non con l'entusiasmo facile di un momento e di una stagione; né con la stanchezza e l'avvilimento arrendevoli per mancanza di risultati visibili e riscontrabili.

La speranza è quella dimensione profonda che si esprime contro ogni evidenza contraria; che si alimenta alla Parola del Signore che non tradisce perchè resta fedele a se stesso; alle testimonianze esemplari di tante donne e di tanti uomini; alla nostra interiorità.
La speranza si nutre nei frammenti di speranza già concretizzata... La nostra Via Crucis è un segno di speranza che nutre la nostra speranza...


 

Riflessione del Centro "E. Balducci" Zugliano - Prima tappa della Via Crucis

 

Gesù di Nazaret subisce la condanna a morte.
Ma perché, se è passato dovunque operando il bene, ascoltando, prendendosi a cuore, prendendosi cura delle persone, perdonando, incoraggiando, guarendo?
Come mai dunque e da chi? E con quali accuse?
Il suo modo di essere, di stare con le persone, le sue parole mai prima ascoltate; i suoi gesti, mai prima visti e partecipati hanno messo in radicale discussione un sistema  in cui la legge, la religione del tempio, la cultura e l’organizzazione sociale e politica, la struttura militare nel loro intreccio e sostegno determinano una società in cui pregiudizi, esclusioni, scomuniche, allontanamenti, sono diffusi e resistenti; in cui bambini, donne, malati, persone che hanno sbagliato, gente comune, sono considerati inferiori e disprezzati; così come i poveri nel senso più concreto e drammatico.

Gesù annuncia loro che è possibile il cambiamento e lo attua come contributo esemplare a proseguirlo ed ampliarlo.
La situazione più disturbata è proprio quella della religione del tempio, perché Gesù pretende nella sua persona e nei suoi gesti di rendere presente il Dio vero, l’Abbà che vive l’amore incondizionato e la premura per i suoi figli a partire proprio dai più bisognosi…
Il motivo primo e più grave della sua condanna è la rivelazione di un’altra immagine di Dio: non quella dei principi astratti, del premio e del castigo, della separazione e della divisione, della protezione della ricchezza e di privilegi, della violenza e delle armi, dei riti religiosi e delle preghiere formali, ma il Dio della relazione, dell’amore, della vicinanza, dell’accoglienza misericordiosa, dell’incoraggiamento e della speranza…

E come conseguenza la condanna per essere un disubbidiente della legge, dell’ordinamento a motivo della sua attenzione prioritaria e continua alle persone.
E ancora, la condanna per essere un potente guaritore, imparentato quindi con le forze occulte che riesce e dominare e allontanare…
E poi, anche per essere un probabile sobillatore del popolo…
Le autorità ebraiche condannano.

I capi allora concludono: “Ormai non abbiamo più bisogno di prove! Noi stessi lo abbiamo udito direttamente dalla sua bocca.” (Lc 22,11). (si riferiscono appunto al suo dichiararsi Figlio di Dio).
Pilato, procuratore di Roma, è incerto, la folla insiste: “A morte quest’uomo! Vogliamo libero Barabba…. In croce! In croce!” (Lc 23,11)
E’ la folla delle emozioni facili e strumentali, del tornaconto superficiale, del rifiuto ad approfondire, delle soluzioni sbrigative, dell’esigenza aggressiva di una vittima, dell’esaltazione di un facinoroso, protagonista violento rispetto all’umile non violento.
“E alla fine Pilato decide di fare come volevano. Avevano chiesto la liberazione di Barabba, quello che  era stato messo in prigione per sommossa e omicidio e Pilato lo liberò. Invece consegnò Gesù alla morte come essi volevano.” (Lc 23,24-25)

La compassione per Gesù, il Giusto per eccellenza, condannato ingiustamente, ci coinvolge nelle vicende delle moltitudini di giusti e innocenti condannati dal sistema dell’ingiustizia, del dominio, della violenza, della guerra, delle varie forme di egoismo, dalla crudeltà…
I primi cristiani furono condannati ingiustamente: erano considerati atei, senza Dio, senza il Dio dell’impero sacralizzato, ricco, ingiusto, violento, armato, padrone di donne e uomini schiavi; condannati perché vivevano in fraternità, mettevano in comune i beni, rifiutavano di far parte dell’esercito…

Un’infinità di donne e uomini per la fedeltà e la coerenza a Gesù sono stati condannati nella storia: le donne e gli uomini profeti, resistenti, progettuali, coraggiosi nell’attuare alcuni frammenti del Regno da allora fino ad oggi…
E tanti e di più, donne e uomini, non appartenenti in modo esplicito alla fede e alla Chiesa, (in realtà in Dio non ci sono queste distinzioni), ma egualmente giusti, caldi utopisti, coraggiosi messaggeri di buone notizie di giustizia e di pace, fedeli nell’attuazione concreta, nella speranza incarnata.

Appunto, viviamo la memoria attiva delle donne e degli uomini martiri e facciamo il nome di uno di loro molto conosciuto, il vescovo Romero, caduto come ieri 27 anni fa mentre offriva il pane dell’Eucarestia, per ricordarli proprio tutti, quelli conosciuti e i più non conosciuti se non dai vicini, dagli appartenenti alla medesima famiglia e comunità.
E ricordiamo i condannati ingiustamente alla povertà, i 2 miliardi e mezzo di persone, che sopravvivono con meno di due euro al giorno; le oltre 25 mila persone, a cominciare dai bambini/e condannati a morte per fame, sete, malattie oggi, domani, dopodomani; così giorno dopo giorno, la condanna si ripete in modo devastante e impressionante…

Ricordiamo i condannati alla morte, al ferimento perenne del corpo e dell’anima dalle guerre, di ogni guerra mai accettabile.
Ricordiamo i condannati allo sfruttamento del lavoro nelle miniere, nei campi, nelle fabbriche di tutto il Pianeta, a cominciare proprio dai bambini/e.
Ricordiamo i condannati alla prostituzione, resi/e merce a pagamento, non più persone…

Ricordiamo accanto a lui, a Gesù di Nazaret, il Giusto condannato ingiustamente, tutte le donne e gli uomini condannati alla pena di morte da parte di chi ha la presunzione di poter decidere della vita e della morte degli altri…
Vediamo accanto a Gesù tutte le donne e gli uomini condannati per la loro idealità, il loro impegno, la loro dedizione perché animati dal desiderio del cambiamento; per questo criticati, isolati, calunniati, minacciati…
Vediamo le persone, donne e uomini, condannati perché diversi nel corpo, nella psiche, nelle relazioni, nella vita…
Vediamo le persone, i gruppi, le comunità condannate per la loro ricerca di verità, le loro espressioni, le diversità teologiche (pensiamo a Jon Sobrino), liturgiche rispetto alla centralità indiscutibile dell’ortodossia….

Pensiamo a tante persone che, anche se non in modo evidente, si sentono condannate da una società dell’avere, del potere, della forza, della prestanza, dell’apparenza, del successo…
E a quante si sentono condannate da una Chiesa che a loro chiude le porte…
Preghiamo perché la contemplazione del Giusto condannato diventi impegno di liberazione e di giustizia in questa società, nel mondo, in tutte le esperienze religiose, nella Chiesa.

 


 

Segni di resurrezione e di vita

Riflessioni  di Pierluigi Di Piazza davanti alla base Usaf di Aviano

Alla conclusione della Via Crucis di pace di

Domenica 25 marzo 2007

 

Il nostro itinerario è stato vissuto nel continuo rapportarsi, intrecciarsi fra vivere e morire, segni di morte e segni di vita, dall’ultima esperienza che abbiamo ascoltato dalla Serbia, alla testimonianza dalla Locride, a quella degli amici di Vicenza rispetto all’ampliamento della base militare Usa, alla riflessione del Centro "E. Balducci", alle parole significative del vescovo di Pordenone Ovidio Paletto.

Tra i Crocefissi sul Golgota quel venerdì pomeriggio, uno di loro è Gesù di Nazaret. Ora il suo corpo è fra le braccia di Maria, sua madre, che lo guarda e inizia a ripulirlo con tenerezza, insieme a un gruppetto di donne e a Giovanni, l’unico dei discepoli.

Il macabro spettacolo è finito, ma sembrano soprattutto finiti il sogno e i segni di un’altra umanità possibile di giustizia, accoglienza, di condivisione, di pace, di fraternità. Sembra che prevalgano ancora una volta l’ingiustizia, la menzogna, l’oppressione, la violenza, le armi e la religione del tempio e della legge che tutto questo sostiene. Il dolore è profondo e vasti sono lo sconforto, lo sconcerto e la delusione; la speranza è frantumata.

Ma allora, l’amore incondizionato di Gesù di Nazaret; tutte le sue parole mai prima udite e i suoi gesti mai prima visti e partecipati; la forza della vita, la fiducia e la speranza comunicate a tante persone sono un’esperienza passeggera, un’illusione momentanea? Ma è a motivo di questo amore, di queste relazioni che è andato incontro alla morte, che è stato Crocefisso: quindi nella sua morte violenta c’è l’amore che non muore, che non può essere ucciso; ci sono tutte le parole e tutti i segni della nuova umanità possibile; c’è già il seme della resurrezione, della vita dentro e dopo la morte.

Ancora: che senso ha parlare di amore, di preghiera, di speranza, di Dio dentro e dopo Auschwitz? E dentro al fuoco e dopo l’apocalisse di Hiroshima? E dentro e dopo i milioni uccisi nella Regione dei Grandi Laghi in Africa; ed egualmente dopo i massacri della Bosnia e i tanti in ogni parte di America Latina? E oggi dell’Afghanistan e del martoriato Iraq? E considerando le migliaia di vittime di ogni giorno per la mancanza di cibo, di acqua, di medicine?

Dentro a tutte queste tragedie di prepotenza, di violenza, di crudeltà è ancora credibile e ragionevole la speranza nel bene,nella vita, nella giustizia, nell’accoglienza, nel perdono, nella pace? E’ ancora possibile pronunciare una ragionevole speranza ora, qui, davanti a questa base militare che custodisce nella separatezza le armi omicide più sofisticate, fra cui le testate atomiche?

Siamo credibili, prima di tutto a noi stessi, quando constatiamo che la base non solo non è diminuita e tanto meno scomparsa o riconvertita, ma si è ampliata con nuove strutture, perfino con la chiesa?

Sì, sono possibili la ripresa e l’alimentazione della speranza perché ad Auschwitz, a Hiroshima, nella Regione dei Grandi laghi, nella Bosnia, in tanti luoghi di massacri in America Latina sono stati presenti anche l’amore e la preghiera e lo sono stati anche qui tra noi, davanti a questa base in questi ani, e lo sono anche oggi.

Come Gesù di Nazaret una moltitudine di donne e di uomini vittime sono martiri: sono andati incontro alla morte, non senza timore e tremore, con la consapevolezza di donare la propria vita, con la speranza nella vita.

Uno di loro, che data la sua vicenda, dato il suo compito, ne ricorda tantissimi altri è il vescovo Oscar Romero, di cui ieri si è ricordato il 27° anniversario del suo martirio avvenuto a San Salvador il 24 marzo 1980, mentre celebrava l’Eucarestia. Riascoltiamo le sue parole:

“ Sono stato frequentemente minacciato di morte. Come cristiano non credo alla morte senza resurrezione: se mi uccidono risorgerò nel popolo salvadoregno… il martirio è una grazia di Dio che credo di non meritare; ma se Dio accetta il sacrificio della mia vita, che il mio sangue sia semente di libertà é il segno che la speranza si tramuterà ben presto in realtà. La mia morte, se accettata da Dio, sia per la liberazione del mio popolo e come una testimonianza di speranza per il futuro”.

E ancora: “Per donare la vita ai poveri bisogna dare qualcosa della propria vita e anche la propria vita. La miglior dimostrazione di fede in un Dio della vita è la testimonianza di chi è disposto a dare la sua vita: “Nessuno ha maggior amore di chi da la sua vita per il fratello”. E lo vediamo ogni giorno: molti sono disposti a dare la propria vita perché vi sia vita per i poveri; stanno così seguendo Gesù e mostrando la loro fede in Lui. Inseriti come Gesù in questo mondo reale, minacciati e accusati come Lui, dando la vita come lui, stanno testimoniando la Parola di Vita”.

Per il suo amore incondizionato e totale, per essere vissuto totalmente per gli altri, per il suo angosciato affidamento, per la sua fede, il Padre ha resuscitato Gesù dalla morte, proprio Lui, il Crocefisso, la Vittima, il Martire; che sia vivo, Vivente oltre la morte ci comunica che la forza dell’amore di Dio e l’amore delle persone è più forte del male, delle menzogne, della prepotenza, della violenza, delle armi, dell’oscurità, della morte, e che quindi, i sentimenti, gli ideali, i vissuti, le esperienze di giustizia, condivisione, accoglienza, perdono, pace, sono più forti, permanenti, eterne e seminano di umanità il futuro, anche il terreno della disumanità e della crudeltà.

La vita oltre la morte, la resurrezione è dunque anche rendere giustizia alla vittima Gesù di Nazaret e a tutte le vittime; è immettere una speranza nella storia sia per coloro che vengono uccisi perché denunciano l’ingiustizia e cercano attivamente la giustizia; sia per le grandi masse di poveri sterminati o uccisi lentamente dall’ingiustizia.

Dove c’è l’amore vissuto nella disponibilità, i Crocefissi di oggi, non solo persone singole, ma interi popoli, possono nutrire ragionevole speranza e noi con loro.

Come nel corpo di Gesù Risorto restano i segni delle ferite rimarginate, così noi camminiamo nella storia con i drammi, le sconferme, le morti, le ferite riconsiderate e vissute nel dinamismo della vita.

Cerchiamo di vivere con libertà e coraggio per vincere egoismi, paure, fallimenti; la libertà è quella di immergerci nella storia per incaricarcene e caricarcene, per contribuire a salvarla: “Nessuno mi toglie la vita, la offro da me stesso” (Gv 10,18).

Cerchiamo di vivere con serenità e fiducia per non soccombere alla tentazione di scoraggiamento: siamo tribolati, ma non invasi dalla tristezza; colpiti, ma non uccisi nel cuore e nell’anima; alle volte perplessi, ma non sconfitti e rassegnati.

Cerchiamo di vivere con giustizia e amore per togliere dalla croce i crocefissi e per non crocifiggerne ancora.

Gesù Vivente oltre la morte comunica vita e speranza nelle possibilità di “cieli nuovi e di una nuova terra” nelle relazioni con le persone che proprio così riprendono fiducia, speranza, coraggio nel progetto di una nuova umanità prima sperimentato e poi travolto dall’uccisione di Gesù.

La presenza di Gesù si sente e accompagna; la sua Parola rigenera le ragioni profonde della fiducia e della speranza; la condivisione del pane spezzato esprime concreta vicinanza e autentica solidarietà. Anche nella storia attuale i segni di morte sono tanti, drammatici e preoccupanti; e nello stesso tempo tanti sono i segni di resurrezione e di vita.

Così il vescovo Pedro Casaldaliga:

Nessuno può professare onestamente la propria fede in un’altra vita risorta se non professa verità, giustizia e libertà in questa vita. L’Autore della vita ci coinvolge a vivere audacemente in questa quotidianità storica.

Per arrivare a vivere “il nuovo cielo e la nuova terra” dobbiamo rinnovare poco a poco radicalmente questo cielo tante volte opaco e questa terra così violata. Il peggior servizio che possiamo fare alla fede nella vita–resurrezione che sarà data, è disinteressarsi irresponsabilmente di questa vita-militanza che ci è affidata.

Ad ogni atto di fede nella resurrezione deve corrispondere un atto di amore, di giustizia, di servizio, di solidarietà. Potrà costarci la vita, ma noi risorgeremo”.

L’ingiustizia strutturale e le ingiustizie personali provocano impoverimento, sfruttamento, morte, sete, malattie, svilimento, sconforto.

Credere nella vita nonostante e oltre la morte significa impegnarsi per la giustizia, per un’autentica cooperazione, per la condivisione, per il rispetto della dignità di ciascuna persona, per la sobrietà della vita; per la semplice e festosa convivialità.

Le violenze, le armi, le guerre provocano morte, ferimenti, angosce, distruzioni e le basi di Aviano, di Vicenza e tante altre presenti in troppi luoghi del Pianeta custodiscono gli strumenti di morte e preparano tali disumanità; la fede nella resurrezione di per sé implica e richiede la non violenza attiva e la costruzione della convivenza pacifica fra le persone, gruppi, popoli…

I pregiudizi, le discriminazioni, le varie forme di razzismo, le esclusioni, provocano umiliazione, prostrazione, morte dell’anima; la fede nella resurrezione e nella vita coinvolge nell’accoglienza, nel prendere a cuore, nel prendersi cura, nell’accompagnamento, nel sostegno dell’altro, di chi fa più fatica, dello straniero, di ogni altro.

L’arroganza e la logica dell’avere e dell’approfittare determinano sfruttamento, usurpazione, distruzione, inquinamento dell’ambiente vitale, dell’intero eco-sistema; la fede nella resurrezione fa vibrare fin nelle fibre più profonde dell’animo la relazione con tutti gli esseri viventi, anch’essi tutti animati dalla vita da rispettare, da custodire con premura e cura, da favorire e alimentare.

L’avidità dell’accumulo del denaro e delle cose, e l’illusione dell’apparire vincente determinano la morte dei sentimenti e degli ideali; affievoliscono fino ad annullarla la disponibilità, inducono freddo pragmatismo, calcolato efficientismo, anche cinismo e crudeltà.

La fede nella vita oltre la morte significa coinvolgimento a operare per quelle dimensioni ed esperienze che riguardano il senso ultimo e permanente, “il segreto delle cose”; la profondità umana; significa operare per la continua umanizzazione della storia, spesso dentro alla disumanità della stessa.

E’ l’incontro, nelle relazioni fra persone e comunità che si comunica la vita, l’amore, la disponibilità, la ragionevole speranza. E i tanti, tanti segni di vita, resurrezione e speranza diffusi su tutto il Pianeta nelle concrete esperienze delle persone e delle comunità alimentano la perseveranza nella speranza.

Ancora una volta riascoltiamo la voce del vescovo amico, profeta e poeta don Tonino Bello: “In piedi, in cammino costruttori di pace”.

 

 


 

 


Appello per la Via Crucis 2007 

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