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2 GIM Padova: Il segreto del Volto

gennaio 2007

GIM2 gennaio 2007
Veglia di Preghiera
 

Il segreto del Volto

 

Incontriamo... David Maria Turoldo

 

Canto iniziale

 

Introduzione alla preghiera (leggiamo insieme questa poesia di Turoldo) 

Per favore, non rubatemi

la mia serenità.

E la gioia che nessun tempio

ti contiene,

o nessuna chiesa

t'incatena:

Cristo sparpagliato

per tutta la terra,

Dio vestito di umanità:

Cristo sei nell'ultimo di tutti
come nel più vero tabernacolo: 
Cristo dei pubblicani,
delle osterie dei postriboli,
il tuo nome è colui
che-fiorisce-sotto-il-sole. 

 


In ascolto della Parola (Salmo 23) 

Il Signore è il mio pastore: nulla mi manca.
Egli mi fa riposare in verdeggianti pascoli,
mi guida lungo le acque calme.
Egli mi ristora l'anima,
mi conduce per sentieri di giustizia,
per amore del suo nome.
Quand'anche camminassi nella valle dell'ombra della morte,
io non temerei alcun male,
perché tu sei con me;
il tuo bastone e la tua verga mi danno sicurezza.
Per me tu imbandisci la tavola,
sotto gli occhi dei miei nemici;
cospargi di olio il mio capo;
la mia coppa trabocca.
Certo, beni e bontà m'accompagneranno
tutti i giorni della mia vita;
e io abiterò nella casa del Signore
per lunghi giorni. 


Canto: Il Signore è il mio Pastore
(questo canto è una rilettura del Salmo, scritta e musicata da Turoldo)

In ascolto di David Maria Turoldo

Giuseppe Turoldo nasce a Coderno di Sedegliano il 22 novembre 1916. Dopo alcuni anni di formazione presso l’ordine mendicante religioso dei Servi di Maria (che lui definiva “mendicanti d’amore”), professa con il nome di fra David Maria. Nel ’40 viene ordinato sacerdote e per quindici anni tiene la predicazione domenicale nel duomo di Milano. Fin dall’inizio del suo sacerdozio si impegna in ambiti diversi: predicazione, scritture, resistenza, assistenza ai poveri e Nomadelfia (“piccola città” con l’unica legge della fraternità). Fonda il centro culturale “Corsia dei Servi”e alterna l’attività culturale alla testimonianza civile e politica, all’attività di predicatore e soprattutto di poeta. Durante la Resistenza fonda una rivista antifascista clandestina, “L’Uomo”, dove pubblica le sue prime poesie; scrive anche testi in prosa di contenuto biblico-letterario, testi teatrali; traduce inoltre tutti i salmi della Bibbia e compone nuovi inni e cantici a commento della liturgia domenicale e festiva. Per i suoi scritti anticonformisti, viene chiamato “coscienza inquieta della Chiesa”. Viene allontanato da Pio XII da Milano per la severità con cui interpreta il Vangelo di fronte alla borghesia milanese e viene inviato all’estero. Nel ’63, il giorno della morte di Papa Giovanni XXIII, si trasferisce nella comunità dei Servi di Maria a Fontanella, vicino a Sotto il Monte, paese natale del papa. Denuncia tutti i soprusi, soprattutto istituzionali ed economici, e si fa voce degli oppressi, anche di quelli più lontani, per la libertà e la giustizia. Crede, infatti, che l’unica scelta di salvezza sia la spartizione dei beni (incontro con Ernesto Cardenal, valorizzazione di Rigoberta Menchù, canto per Oscar Romero). 
Nel suo testamento spirituale, scritto nel 1986, padre David ringrazia i suoi “tre amori” con l’aiuto dei quali ha saputo superare ogni difficoltà: gli amici laici, i confratelli e i poveri (che lui chiamava “mie radici e mio sangue” e “la mia gente”). Dopo una lunga malattia che lo segna fisicamente e moralmente, ma che non gli fa mai abbandonare la speranza, padre David muore nel 1992.

   Ogni uomo è una novità assoluta sulla terra, nel mentre che è immerso nel fiume della vita.
E in questo caso si può osare di smentire lo stesso Qohelet, perché non c’è mai, come ho già cantato, la stessa luce che si posi sullo stesso fiore; non c’è mai una primavera uguale a un’altra primavera; non c’è mai un atto d’amore che non sia un nuovo atto d’amore, e una comunione che non sia una nuova comunione. E ogni giorno è un giorno mai vissuto da nessuno sulla terra.
E nessuno sa dire neppure di se stesso cosa penserà alla fine della giornata, avanti che cali la sera.
E anche Dio, soprattutto Dio è sempre nuovo.
Ogni uomo dunque è una novità assoluta. Non per nulla io, e tu, e l’altro, chiunque egli sia, siamo tutti unici: io e tu; io con la mia e tu con la tua faccia, unica e irripetibile pure in mezzo a miliardi di uomini; ognuno col proprio destino, e la propria missione, dentro il proprio tempo e il proprio spazio; ognuno con la sua testimonianza da rendere.
E allora compito irrinunciabile di ognuno è di realizzare se stesso, poiché anche questo è verità: che l’uomo è continuamente da farsi, è in continuo accadimento; ogni uomo è un’infinita possibilità, ed è una sorpresa perfino a se stesso.
E mai che una madre, pur dopo nove mesi che ti ha portato in seno, sappia predire quale creatura abbia generato.
Allora compito di ognuno è di esprimersi nel coro dell’umanità.
Non si tratta di presunzione, di proporsi di dire cose mai dette, ma si tratta del dovere di testimoniare e pertanto di servire la stessa cultura umana. Meglio: per il fatto che si è immersi nello stesso fiume della vita, se ognuno di noi fa propria anche una minima parte dell’immenso patrimonio del sapere, e lo interpreta quale nuovo ermeneuta, e lo elabora trasmettendolo alle generazioni! Così, nel mentre che è nella tradizione, riuscirà ad essere ancora più se stesso.
Allora compito di ognuno è di servire, secondo la propria vocazione, e mettendo a frutto dei fratelli i talenti che ognuno possiede: in spirito di umiltà.
Nella speranza che almeno serva ai tuoi coetanei, compagni di cammino, aiutandoci ad essere –sempre nella misura che ci serve – meno disperati e soli.

 (…)

La mia vocazione non è mai stata tranquilla, e non lo è neppure oggi.
Infatti io non sono mai sicuro di me stesso. La sicurezza è una categoria che non mi appartiene; e spesso nei miei scritti io ho distinto tra sicurezza e certezza.
Ad esempio, io sono certo di Dio, ma non sono mai stato sicuro di raggiungerlo; io sono certo di un progetto, cioè sogno di Dio che attraversa tutta la storia e la creazione, e che questo progetto è la realizzazione della stessa umanità: del regno dell’umanità composta nell’amore.
E questo è vero, che si creda o non si creda; ma non sono sicuro che questo si realizzi.
Ancora: io non sono sicuro di essere davvero un cristiano; cerco di esserlo, mi propongo di esserlo; faccio di tutto per esserlo, ma non sono sicuro che ci riuscirò.
E ugualmente dico riguardo alla mia fede: io non sono mai sicuro di credere; cerco di credere, voglio credere; sento che senza fede non potrei vivere, ma basta tutto  questo per dire di credere?  

Turoldo diceva: “il libro che più mi ispira è il volto umano”.
Levinas aggiunge: “La vera natura del volto, il suo segreto sta altrove: nella domanda che mi rivolge, domanda che è al contempo una richiesta di aiuto e una minaccia. Ed è qui che nascono per me, assieme, l’ordine e l’obbligo”. “E’ nel volto dell’altro che c’è Dio. Dio –se possiamo dire così- non è nient’altro che il bisogno, l’esigenza sempre incolmabile che l’altro presenta a ciascuno”.

Dopo un tempo di silenzio, condividiamo in verità il movimento di Dio in noi in questo periodo di vita. Non ci sono domande, sveliamo il nostro volto di questo tempo, la lenta costruzione di senso per la nostra vita, i passi compiuti, le emozioni provate.

Dopo il silenzio, potremo condividere: ogni condivisione potrà raccogliere un augurio personale di buon cammino, che ci viene di nuovo dalla parola tagliente di Turoldo (cf. poesie alla fine)

Preghiera finale:

 


E quando la notte fonda
ha già inghiottito uomini e case,
una cella mi accoglie
esule del mondo. Gli altri
nulla sanno di questa mia pace,
di questi appuntamenti.

Forse neppure io stesso
saprei rifare l’itinerario del giorno,
ripetere la danza del mio Amore.

Quasi nulla avanza di me
la sera: poche ossa, poca carne
odorosa di stanchezze,
curvata sotto il peso
di paurose confidenze.

Allora Egli mi attende solo,
a volte seduto sulla sponda del letto,
a volte abbandonato sul parapetto
della grande finestra. E iniziamo
ogni notte il lungo colloquio.

Io divorato dagli uomini, da me stesso,
a sgranare ogni notte il rosario
della mia disperata leggenda.
Ed Egli a narrarmi ogni notte
la Sua infinita pazienza.

E poi all’indomani io, a correre
a dire il messaggio incredibile
ed Egli fermo al margine delle strade
a vivere d’accattonaggio.



Poesie di Turoldo come segno e augurio di ripartenza

E NON CHIEDERE NULLA

 

Ora invece la terra

si fa sempre più orrenda:

 

il tempo è malato

i fanciulli non giocano più

le ragazze non hanno

più occhi

che splendono a sera.

 

E anche gli amori

non si cantano più,

le speranze non hanno più voce,

i morti doppiamente morti

al freddo di queste liturgie:

 

ognuno torna alla sua casa

sempre più solo.

 

Tempo è di tornare poveri

per ritrovare il sapore del pane,

per reggere alla luce del sole

per varcare sereni la notte

e cantare la sete della cerva.

E la gente, l'umile gente

abbia ancora chi l'ascolta,

e trovino udienza le preghiere.

 

E non chiedere nulla.


TORNIAMO AI GIORNI DEL RISCHIO

Torniamo ai giorni del rischio,
quando tu salutavi a sera
senza essere certo mai
di rivedere l'amico al mattino.

E i passi della ronda nazista

dal selciato ti facevano eco

dentro il cervello, nel nero

silenzio della notte.

 

Torniamo a sperare

come primavera torna

ogni anno a fiorire.

 

E i bimbi nascano ancora,

profezia e segno

che Dio non s'è pentito.

 

Torniamo a credere

pur se le voci dai pergami

persuadono a fatica

e altro vento spira

di più raffinata barbarie.

 

Torniamo all'amore,

pur se anche del familiare

il dubbio ti morde,

e solitudine pare invalicabile…


CANTA IL SOGNO DEL MONDO

Ama
saluta la gente
dona
perdona
ama ancora e saluta
(nessuno saluta
del condominio,
ma neppure per via).

Dai la mano
aiuta
comprendi
dimentica
e ricorda solo il bene.

E del bene degli altri
godi e fai
godere.

Godi del nulla che hai
del poco che basta
giorno dopo giorno:

e pure quel poco 
- se necessario –
dividi.

E vai,
vai leggero
dietro il vento
e il sole
e canta.  

Vai di paese in paese
e saluta
saluta tutti
il nero, l’olivastro
e perfino il bianco.

Canta il sogno del mondo:
che tutti i paesi
si contendano
d’averti generato.

UN CHIOSTRO

Un chiostro è il mio cuore
ove tu scendi a sera
io e te soli
a prolungare il colloquio, ora
sopra una panchina
di pietra.  

O per scoprire come
amore ancora ti spinge,
in silenzio ascolto
il fruscio
dei tuoi passi
e il suono della voce
che chiama…

E non fuggo per nascondere
dietro gli alberi
la mia nudità:

orgoglioso d’essere
questo nulla
da te amato.


FA’ DI ME UN FIUME

Fa’ di me, Signore, un fiume
un fiume ampio, disteso,
che dal Monte si snodi flessuoso:  

e poi si allarghi sulla pianura
e sfoci e ritorni a perdersi
dolcemente nel tuo mare.  

Un fiume che raccolga tutte le acque
della tua divina Ispirazione,
le impetuose acque cui si dissetarono
i profeti, le calme
amate acque della Vergine e dei santi:
l’acqua della fonte zampillante…

E sia un unico fiume: il fiume
irrorato dal fiotto
ininterrotto di sangue e acqua
che scorre dalla ferita
sempre rossa del tuo costato.

E raccolga l’infinito sangue
che scende dagl’innumeri patiboli,
il pianto muto delle madri
dietro gli stendardi dei figli uccisi
- nuove icone sul mondo -,
in processione da capitale a capitale.

Sia così, Signore!


MANDA, SIGNORE, ANCORA PROFETI

Manda, Signore, ancora profeti,
uomini certi di Dio,
uomini dal cuore in fiamme.

E tu a parlare dai loro roveti
sulle macerie delle nostre parole,
dentro il deserto dei templi:

a dire ai poveri
di sperare ancora.

Che siano appena tua voce,
voce di Dio dentro la folgore,
voce di Dio che schianta la pietra.


PIU’ NON ABITATE CONVENTI

Più non abitate conventi di pietra
perché il cuore non sia di sasso!
E anche voi, uomini, non fate
artigli delle vostre mani.

Liberi, o monaci, tornate
senza bisaccia, nudi
i piedi sull’asfalto.

Sia il mondo
il vostro monastero
come un tempo
era l’Europa.

Abbattete i reticolati di queste
città-lager,
dove ognuno è cintato
dal sospetto perfino del fratello –
di chi sia primo
ad uccidere.

Una tenda vi basti a riparo
dalle bufere,
e Dio ritorni
vagabondo
a camminare sulle strade,
a cantare con voi
i salmi del deserto.

Vi basti leggere il vostro
nome nel vento
e nel cielo azzurro:
mormorato
sotto una palma
nelle pause dei canti.

O frate Nessuno
sei l’antica immagine di Cristo
sparpagliato in ogni lembo
di umanità, vessillo
che ci manca…

Più la gloria non abita il tempio
da quando del pinnacolo
ha fatto sua stabile dimora
il Tentatore.


 

LA GIOIA DI CANTARE

Sono vagabondo come il vento,
libertà è il mio tempio e casa.

Ad altri accumulare tesori
che ladri scassinano,
a me basti la gioia di cantare.

Almeno il povero sia un amico sicuro,
ogni zingaro un antico fratello,
ogni donna perduta un segno
che Dio è ancora vicino,
ogni fanciullo
certezza
che la vita…


TI VOGLIO VICINO

Ti voglio vicino, mio Bene
(quanto ti chiamo la notte!)
Ti voglio vicino, mio Amato.

 

Da solo, nessuno pensa
sia più povero e infelice.

Povero e infelice,
e nulla che mi riesca!...  

Ma tu mi sei vicino
mi devi essere vicino!  

Mio Dio:
anche tu
solo!

E per amore così esposto
e impotente.

Anche tu infelice
mendicante d’amore:
seduto alle porte della città.

Perfino seduto
alle porte del tempio:
da chi entra non degnato
di uno sguardo.

Insieme, insieme, mio Dio,
saremo felici!

 


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