Marzo 2006
“La Miracolosa debolezza che
vince.....”
(Mt. 28,10)
E’ il mandato che il Signore fa alle donne in quel mattino dopo il sabato. Ed è bello ricordarlo in questo mese in cui si celebra l’8 Marzo: giornata mondiale della Donna”, perché ricordando la tenacia di quelle donne, che hanno saputo “resistere e vegliare” là dove non sembrava esistere nessun segno di speranza, è occasione oggi per mettere in luce, i tanti volti, molti dei quali, sconosciuti, di “Marie” che nelle situazioni più disperate, di sofferenza, d’ingiustizia, di sfruttamento, di violenza ....
sanno rimboccarsi le maniche
nella ferialità del loro vivere, compiendo gesti preziosi, che “curano”, “proteggono”,
“custodiscono”, “generano” la vita. Il
mandato a VIVERE DA RISORTI che ci accompagna nel cammino GIM di quest’anno può
essere visto come il compito ad essere GIOVANI che, camminando contro corrente,
cercano di dar vita al sogno di Dio, un sogno che ci chiede di “sporcarci le
mani”, di metterci “a fianco” degli esclusi perché davvero possa nascere una
realtà nuova dove ci sia VITA PIENA PER TUTTI.
Il
15 Marzo non possiamo dimenticare Daniele Comboni, uomo che ha creduto nella
“Donna” e nella necessità della sua presenza nell’opera di evangelizzazione.
Egli, con un poco d’orgoglio diceva: “Io per primo ho fatto concorrere
l’onnipotente ministero della donna del Vangelo e della Suora di carità, che è
lo scudo, la forza, la garanzia del ministero del missionario” (S. 5284).
Comboni,
non teme di abbattere i pregiudizi e di dimostrare la profonda stima che lui
aveva per la donna, per le sue capacità, per la sua duttilità nel saper
affrontare le diverse situazioni che la missione presentava. Donne “... che
corrispondono con le proprie forze, colla miracolosa debolezza, e con la
propria vita.....” (S. 3553) alle sfide che la missione presentava e che oggi
continua a presentare, con quella totale disponibilità a farsi compagne di
viaggio dell’umanità in attesa di un’alba nuova.
Il
24 marzo, altro avvenimento da non dimenticare, la 14° giornata di preghiera e
digiuno per i missionari martiri. Il cui tema: “Uccisi perché testimoni del
Risorto”, non ci può che interpellare sul significato di chi sia il martire. Il
martire è colui che dà la vita per amore dei più poveri e sofferenti, per la
dignità di ogni persona umana, per la salvaguardia dei più elementari diritti
dell’uomo, e lo fa in nome di Cristo.
Coraggio....! Non temete....!, Ascoltiamo questa “voce” che
sostiene il nostro umile camminare e rendiamoci disponibili a RISCHIARE,
DONARE, IMPEGNARE LA NOSTRA VITA, facendoci discepole e discepoli del RISORTO.
Sr. Eleonora, p. Rossano, p. Daniele
LA MIRACOLOSA
DEBOLEZZA CHE VINCE LA PAURA
Mt. 28,1-10
Ed
ecco Gesù venne loro incontro dicendo: “Salute a voi”. Ed esse, avvicinatesi,
gli presero i piedi e lo adorarono. Allora Gesù disse loro: “
Non temete; andate ad annunziare ai miei fratelli che vadano in Galilea e là mi
vedranno”.
Ogni volta che leggo questo passo del
Vangelo di Matteo, resto colpita invece dall’atteggiamento di queste due donne,
Maria di Magdala e l’altra Maria.
E’ l’alba e queste due donne vanno al
cimitero, alla tomba di Gesù, di colui che ha creato in loro la “Vita”. Vanno
quando la luce sta appena cominciando… In realtà è l’inizio di un nuovo giorno
ma è ancora buio e la gente dorme. Non c’è nessuno per strada: altri forse
andranno al cimitero, ma in un orario “più ragionevole”.
Le due “Marie” invece vanno. Non possono
aspettare più, non ce la fanno più: devono cercare il corpo del loro Signore; forse il fatto di stargli più vicino le
consolerà un po’?
Vanno alla tomba con “coraggio
Vanno dove è il loro tesoro: lì è anche il loro cuore.
Il passo di Giovanni su questo stesso episodio
mi dice ancora di più: Maria di Magdala non va solamente al cimitero, alla
tomba di Gesù, per ungere il suo corpo; va lì per prenderlo. “Se lo hai portato via tu dimmi dove lo hai
posto e andrò a prenderlo”, (Gv. 20,15) dice a colui che crede sia il
custode del giardino.
Prendere il corpo? Da sola? Come? Con
quale forze? COME?
Maria non lo ha pensato e non lo pensa;
non ha fatto alcun calcolo e non ne fa. Semplicemente ama Gesù ed è disposta a tutto. Maria ama e l’amore la rende
capace di tutto. Maria ama e rischia….., ama e osa; ama e ha coraggio. Ama e
dimentica se stessa. Ama e vede con il cuore…. Perché l’amore è potente e ci
rende potenti. Se veramente ci prende, ci trasforma.
La miracolosa debolezza che vince la paura
Ho pensato a Maria di Magdala e
all’altra Maria oggi, dopo avere incontrato Pelekelo, una timida piccola donna
di Kalabo
Tre mesi fa abbiamo accompagnato suo
marito al cimitero. E’ morto dopo una lunga malattia e lei lo ha assistito e lo
ha pianto tanto. Ora è rimasta con i suoi figli, una piccola squadriglia di sei
ragazzini dai dodici anni in giù. Ma al dolore per la perdita del marito se ne
è aggiunto un altro. Tutti i parenti del marito, subito dopo il funerale sono
andati alla casa di questa donna per prendersi tutto quello che apparteneva al
loro defunto. TUTTO. Secondo la mentalità di qua, tutto appartiene al padre e
quando lui muore tutto ritorna alla famiglia di origine; alla moglie restano solo i figli. Neanche la casa. Neanche
il paio di scarpe bucate. E’ giusto? Secondo la gente di qui “sì”, ma per Pelekelo “no”.
Per lei non è giusto che ai suoi bambini
vengano tolte le cose del loro papà; non è giusto che restino senza neanche la
capanna che lui aveva costruito per loro: Non è giusto che i bambini vengano
considerati “non della famiglia” e privati di tutto. Non è giusto che al dolore
si aggiunga altro dolore. Non è giusto che loro rimangano senza niente e che ai
parenti vada TUTTO.
Ma sono bambini, sono piccoli e non
hanno voce.
Ma la piccola timida donna di Kalabo,
ora anche vedova, ama i suoi figli. Sono il suo tesoro e l’amore per loro la
trasforma. Pelekelo, come Maria di Magdala, non ha fatto calcoli e non ne fa.
Ama i suoi bambini e questo amore l’ha portata a rompere gli schemi della
società . Ha osato opporsi alla tradizione e mentre le altre donne sono rimaste
in silenzio e hanno fatto come fanno tutte, lei “si è svegliata” ed è andata
oltre: ha impedito ai parenti di prendersi e dividersi le cose del marito, le
cose del papà dei suoi bimbi. Nessuno pensava lei fosse così forte, ma lo è
diventata. Nessuno pensava qui che una donna potesse osare tanto. Ma lei lo ha
fatto. Nessuno pensava che i parenti del marito andassero via a mani vuote. Di
fatto tutto è rimasto ai bambini di Pelekelo.
E’ stata ed è considerata una donna
cattiva, senza rispetto per i il “dolore dei parenti” !!!! E’ stata lasciata
sola perché “non è una vera donna”, perché non ha dato un buon esempio ai suoi
figli”. Così Pelekelo si sfoga parlando con me, ma basta che uno dei suoi
bambini giri l’angolo della capanna e venga vicino a noi che il volto di
Pelekelo si trasforma e sorrida. I bambini non devono sapere. Lei con coraggio
li proteggerà. Sì, lei, la piccola timida donna forte di Kalabo.
Qualche giorno fa ero per strada. Erano circa le tre di un pomeriggio
caldo, umido e “affollato” di mosche. La gente camminava, affondando piedi e “pata – pata” (scarpe infradito di gomma)
nella sabbia.
Già la sabbia. In Italia camminare a piedi nudi sulla sabbia fa parte
delle vacanze e del divertimento. Qui è parte della vita e quando fa caldo è faticoso.
Se oltre al caldo e alla sabbia aggiungiamo anche una fascina di legna sulla
testa allora sì, diventa veramente pesante.
Mentre camminavo mi sono incrociata con due persone che procedevano
lentamente. Il primo, appena siamo stati vicini, mi ha salutato cordialmente.
Dietro di lui la moglie. Lui andava avanti, con tra le mani solo il bastone per
camminare meglio e più speditamente. Dietro di lui la moglie, con un grande
carico di legna sulla testa.
Ho risposto al saluto e poi ho osato, “Bondate, (Signore/Padre), venite dal vostro campo, vero? Certamente
siete stanchi. Anche tua moglie è stanca. Perché non l’aiuti a portare la
legna.? Perché non ve la dividete?” Ma la mia proposta non è nella mentalità
della gente e il sorriso che è sparito dal volto dell’uomo me lo ha subito
ricordato. “Sister, le donne sono fatte per questo, per lavorare e se non
lavorano noi usiamo questo!”, e così dicendo mi ha mostrato il bastone che
aveva tra le mani. Ed è andato via senza più una parola né un saluto. Dietro a
lui la donna. Non ha parlato, mi ha solo sorriso ma il suo sguardo mi ha
parlato… Mi ha parlato di sacrificio quotidiano, di accettazione serena, di
fatica, ma anche di speranza e di coraggio. Mi ha sorriso e ha seguito il
marito. Mi è sembrato che quasi dicesse: “Non preoccuparti, hanyinyani hanyinyani (a poco a poco)
lui cambierà.” Il coraggio di accettare, di rispettare e di sperare, pur nella
fatica di ogni giorno.
Li ho guardati andare via, camminando lentamente, lui forte del suo
bastone e della tradizione; lei forte della sua pazienza, di amore e di
speranza
Questa è la vita delle donne di Kalabo. Non di tutte, per fortuna,
perché alcune stanno prendendo coraggio, alcune come Nakubyana che ha mandato
via suo marito. “Va con altre donne. Io non voglio diventare positiva; voglio
vivere per i miei bambini”. Ed è rimasta sola. Una donna senza marito non ha
voce., ma l’amore per i suoi bambini le dà coraggio. Ce la farà perchè ama.
zamkalabo@zamnet.zm
Chiara Castellani
Ventisei
anni, una specializzazione in ginecologia e ostetricia: Chiara decide di
partire per il Nicaragua, con il MLAL (Movimento Laici America Latina). Con
l'entusiasmo dei primi passi si dedica a far nascere niños morenos con tanti
capelli che, quando escono fuori, gridano l'inizio della loro grande
avventura, in questa terra strana, audace. Dove anche sopravvivere è una folle
scommessa. Ma dove vale sempre la pena di scommettere». A Waslala, fra le
montagne del Nicaragua, diventa per necessità chirurgo di guerra sul fronte dei
sanguinosi scontri fra sandinisti e contras. I suoi sogni di giovane donna da
poco sposata e di medico che porta la vita, s'infrangono contro la drammatica
realtà dei morti saltati in aria sulle mine. Per sette anni «Doctora Clarita»
si batte per la pace e per la ricostruzione del paese con dedizione totale e
senza arrendersi alle tentazioni di fuga. In Nicaragua conosce anche il dolore
dell’abbandono e la sua fragilità viene messa a nudo. Lasciata dal marito, vive
un momento di grande dolore; ma la sofferenza subita si trasformerà in
determinazione. Nel '91 parte per il Congo con AIFO (Associazione Italiana
Amici di Raul Follereau), sostenuta dai valori di fede, amore, sete di giustizia,
in cui aveva creduto sin da bambina.
Si ritrova a
Kimbau, a 500 km dalla capitale Kinshasa, in un "ospedale", a curare
le ferite d'Africa, che non si rimarginano mai. Unico medico per centomila
abitanti e 5.000 kmq, dopo un anno un incidente d'auto le causa l'amputazione
del braccio destro.
«È stato quel
giorno che sono diventata "un passero con un'ala sola". Quando la mia
vita di donna e di medico è stata spezzata in due. Quando Nzambi, il mio Dio
in kikongo, ha pensato bene di salvarmi perché continuassi a sognare insieme
con Lui e con chi ha una sola speranza, quella di essere amato dal Padre degli
ultimi e degli oppressi. Da colei che amputava, sono divenuta io, l'amputata.
Cambia tutto. Adesso abito nella terra di coloro ai quali, come chirurgo di
guerra, ho dovuto tagliare gambe e braccia. Cambia veramente tutto».
Malgrado questo continua ad operare come medico e, dal '92, come missionaria laica diocesana.
Nei villaggi dimenticati della foresta e
nell'ospedale con quattrocento ammalati, senza acqua, senza energia elettrica,
con scarsi medicinali, è per tutti «Marna Clara». Quando scoppia la guerra fra
Mobutu e Kabila, le condizioni già difficili del paese diventano drammatiche.
Chiara grida i massacri, le violenze e le crudeltà, il martirio di migliaia di
persone, l'epidemia di Ebola, il diffondersi della Tbc e dell'Aids.
L'accompagnano i ricordi, i volti, le vicende del Nicaragua che si mescolano
alle nuove sfide e alle nuove avventure, unendo i campesinos dell'America
Latina agli abitanti del Congo in un'unica struggente scommessa: non togliere
ai poveri la possibilità di sognare un futuro diverso.
«Ho preso tra le due dita il suo torace ed ho iniziato il massaggio
cardiaco. Sarà stato un miracolo, ma dopo poco più di un minuto di sforzi inutili,
mentre già stavo per controllare le pupille, ho sentito il cuore del bimbo
riprendere a battere da solo, sotto la mia mano... Ha cominciato a respirare...
Allora mi sono messa a ridere come una scema, di sollievo, di gioia, di
entusiasmo, perché non c'è niente di più bello che "aiutare" una
vita. Dico "aiutare" perché quel bambino certamente è vissuto perché
aveva una gran voglia di vivere, e perché aveva un "angelo custode"
discretamente cocciuto e ben deciso a non andare in pensione appena iniziato il
lavoro».