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Incontro con Dadoue Printemps e Jeannette Louis

12 aprile 2008

SABATO 12 APRILE 2008
 
Incontro con Dadoue Printemps
e Jeannette Louis



Introduzione di 
Marianita De Ambrogio

Dadoue Printemps e Jeannette Louis vengono da Dofiné, nella zona montuosa dell’Artibonite in Haiti, dove lavorano tessendo reti di solidarietà e collaborazione e resistendo alla povertà, all’ingiustizia e alla violenza. 

Dadoue Printemps, fondatrice della scuola di Dofiné, è soprattutto una straordinaria animatrice di comunità rurali. Ha iniziato il suo lavoro giovanissima a Dofiné, area poverissima, priva di collegamenti col resto del paese dove vivono contadini senza terra; qui ha fondato una scuola primaria che, nel tempo, è diventata un centro di sviluppo umano, culturale e sociale in una zona dove l'abbrutimento portato dalla miseria è inevitabile; ma non si è limitata a fare questo: ha sostenuto e animato l'organizzazione locale dei contadini, che rivendica per loro la terra che lavorano e che appartiene, in gran parte, a grandi proprietari terrieri. L’impegno di Dadoue l’ha portata a dar vita ad altre comunità organizzate in altre parti del paese, creando forme di scambio e solidarietà tra i contadini poveri di differenti località. “La scuola in tutti i paesi del mondo è la cosa più importante per tutti”:  qui in Haiti la scuola è l'unica speranza per una famiglia. I familiari pensano che, nella misura in cui i loro figli sapranno leggere e scrivere, potranno sopravvivere anche se loro muoiono”. “Grazie alla scuola per bambini si raggiungeranno molte altre cose che stiamo cercando di fare nella comunità. Gli adulti con molte difficoltà arrivano a noi per riunirsi e parlare della situazione politica, economica, sociale e culturale del paese, perché ci sia un cambiamento radicale nel proprio modo di vivere. Oggi grazie a tutti questi sforzi siamo arrivati a riunire molta gente, uomini e donne organizzati, ognuno dei quali deve riflettere sulla propria situazione, come uomini e come donne, e soprattutto su quella del paese. Con questi uomini e donne abbiamo costituito gruppi di cooperative agricole e commerciali, per non dover correre dietro alla miseria, ma per dare un nuovo orientamento. È mediante tutti questi lavori che si è formato un movimento contadino denominato FDDPA, "Forza per la difesa dei diritti dei contadini haitiani" (“Fos pou Defann Dwa Peyzan Ayisyen”); questo movimento ha il compito di aiutare i contadini nel conseguire formazione per poter rivendicare i propri diritti e lottare per un cambiamento totale della società che abbia le sue basi sulla giustizia e dove tutte le persone siano davvero persone”. 

Uomini e donne organizzati in FDDPA partecipano, esplicitano bisogni e cercano soluzioni, povere ma praticabili e in grado di incidere sul contesto, nella consapevolezza delle proprie possibilità; sono riusciti a costruire scuole, organizzare piccole cooperative, recuperare la terra e, soprattutto, hanno tessuto una grande rete di solidarietà, una forza che nasce dall’unione.
 
Testimonianza di Dadoue:

“
A nome dei bambini della scuola di Dofiné, a nome della comunità e a nome della grande famiglia di FDDPA (Forza per la Difesa dei Diritti dei Contadini Haitiani), vi saluto e vi ringrazio per questa grande solidarietà così importante che avete manifestato in particolare verso FDDPA ed Haiti. 
Tutti i bambini della scuola di Dofiné, i giovani della scuola professionale e le donne ci affidano questo compito di farvi sapere che stanno bene perché vivono con dei sogni. 
Ogni anno il numero dei bambini in età scolare aumenta e continua ad aumentare. Ora la scuola di Dofiné non riesce a rispondere alla quantità di bambini che ci sono nella zona; perciò stiamo cercando di attuare una politica di decentramento della scuola, creando altre due sezioni in altre due zone, Catienne e Nan Poste. 

Questo permette:

a) un maggior numero di bambini scolarizzati; 

b) che i bambini godano di maggiori comodità; 

c) che i bambini non abbiano bisogno di percorrere chilometri per andare a scuola (e corrano meno rischi di incidenti durante la stagione degli uragani);

d) che abbiano molto più tempo per occuparsi dei loro campi, dei loro animali, di divertirsi e di riposare di più. 
Quando in una zona non ci sono istituti scolastici, questo ha effetti negativi sull’ambiente.
A questi bambini delle tre scuole di Dofiné io presto la mia voce per dire: “grazie, mille volte grazie. Non c’è dono più grande di dare ad un bambino la possibilità di istruirsi. Questi bambini vi dicono di continuare ad accompagnarli, a tenerli per mano; così saranno cittadini in grado di aiutare la loro comunità e di evitare al paese il fenomeno dell’esodo e della miseria rurale.

L’indipendenza di Haiti non è che un’ombra, non significa niente, non è reale; ormai da più anni siamo sotto occupazione di varie nazioni. Nel 2004 MINUSTHA ( la Missione delle Nazioni Unite per la Stabilità di Haiti) stabilisce il suo contingente nel paese. Dal 2004 al 2007 MINUSTHA è stato guidato da tre ufficiali, uno dei quali ha trovato la morte in circostanze che per noi restano sinora inspiegabili. Periodicamente si rinnovano i contingenti; arrivano soprattutto per aumentare le truppe già presenti nel paese. 

Lo stato haitiano ha il controllo sul numero dei soldati di MINUSTHA? Ci sono molte discussioni attualmente su questa missione dell’ONU in Haiti. Alcuni dicono che essi non fanno niente nel paese, che fanno solamente i turisti. Altri pensano che la loro presenza sia necessaria, in quanto permette una certa stabilità politica e il miglioramento del clima di insicurezza.

Cité Soleil è la bidonville più grande del paese, dove si trovano le persone più povere e questa zona costituisce anche il bastione dell’insicurezza. Il fenomeno dei sequestri di persone (“kidnapping”) presenta la massima espansione in questa vasta bidonville. 

Si sono registrati molti casi di spostamento della popolazione per fuggire le rappresaglie di MINUSTHA, che non ha fatto niente per evitare i danni collaterali nei suoi interventi. Questi interventi inoltre non concludono nulla, in quanto MINUSTHA spesso non riesce a realizzare i suoi obiettivi. 

I soldati di MINUSTHA così sono responsabili di gravi violazioni dei diritti umani; sono stati registrati casi di stupro su ragazze e minori da parte di soldati di MINUSTHA. Le organizzazioni dei diritti umani, associazioni delle donne e il Ministero alla condizione femminile alzano la loro voce per denunciare questa situazione di caos nel paese e chiedere alle autorità dell’ONU di punire i soldati coinvolti in queste azioni. A volte esse dimostrano la volontà e buona fede nell’agire. Ma ci si può fidare di questi dirigenti?

La struttura socio-economica del paese comporta violenza. La disparità esistente tra ricchi e poveri, la miseria e la violazione dei diritti umani, queste contraddizioni sono il risultato di conflitti e violenze che coinvolgono le diverse fasce sociali. Il paese quindi sta sperimentando molta violenza, e per questo più persone hanno perso la vita.

Ecco un quadro della situazione tracciato dalla Commissione nazionale della chiesa “Giustizia e Pace”. Durante questi ultimi 5 anni almeno 3100 persone sono state uccise a Port-au-Prince a causa della situazione d violenza; 2352 persone, il 76%, sono state uccise con armi da fuoco leggere; 220, il 7%, sono state uccise con armi bianche (coltelli, machete…). Addirittura si è arrivati a chiamare alcuni quartieri di Port-au-Prince “zone di non diritto” (dove tutto è permesso). 

Sia opera dell’esercito, della polizia o anche di gruppi delle organizzazioni popolari, la lotta per il controllo del potere politico dimostra che la violenza ha sempre costituito una zona scura nella storia del nostro paese. Sotto la dittatura dei Duvalier c’era un regime forte e la violenza era al centro delle azioni dell’esercito e della sua milizia. Sotto il regime di Aristide c’era uno stato debole ed erano i gruppi delle organizzazioni popolari a dettare legge nel paese. Sempre secondo “Giustizia e Pace”, si pensava di ottenere una situazione politica stabile con il commercio della droga. La droga infatti ha costituito la principale fonte finanziaria per acquisire il potere, a partire dai Duvalier fino a quelli che poi si sono succeduti.

In questa situazione di anarchia, spesso c’è il desiderio di farsi giustizia da soli, si può dunque dire che Haiti è un paese violento? Non si può negare che c’è violenza tra le varie classi sociali, tanto più in quanto la struttura sociale è costruita sulle contraddizioni tra ricchi e poveri, ma anche se si considerano i molteplici casi di omicidio e sequestro di persona di cui si è già riferito. 

Provando a confrontare questi dati a quelli dei paesi latinoamericani, tenendo conto dell’inesperienza della nostra polizia e della precarietà del nostro sistema giudiziario, del traffico di droga e dei deportati che vengono rispediti dal Canada e dagli Stati Uniti, tenendo conto del comportamento della popolazione al momento delle elezioni del 7 febbraio 2006, quando sembrava ci fosse un barlume di cambiamento, tutti questi fattori ci permettono di sostenere che il popolo haitiano non è un popolo violento. 

È la situazione che esiste nei fatti che porta alla violenza. La popolazione constata l’inesistenza dello Stato, che non riesce ad offrire un’alternativa a causa dell’incapacità dei dirigenti a prendere misure adeguate. Solo se ci sarà la volontà di una politica a favore delle masse, della loro educazione, si arriverà a sradicare questo male.

Senza dimenticare la violenza economica, che va di pari passo con il problema sociale del paese: una minoranza possiede il 99% della ricchezza del paese. Così la violenza politica rafforza la volontà di alcuni gruppi di controllare lo stato. Accade anche che gruppi di bande con intenzioni politiche abbiano goduto della protezione del governo e della polizia.

La violenza va di pari passo con la droga, grazie alla complicità della polizia e dei partiti politici, il che genera naturalmente la corruzione. Le autorità d’altra parte non hanno il controllo di tutto quel che accade nel paese.

Sicurezza sociale:

Accade a volte che i cittadini abbiano paura di visitare il loro paese. Le malattie a carattere psichico si diffondono sempre più. Così si registra una fuga delle persone che hanno studiato dal paese verso l’estero. Un paese come il Canada gode dei benefici di questa emigrazione.


Sicurezza economica:

Non ci sono investimenti ad Haiti. Secondo un rapporto della Banca Mondiale, Haiti ha perso il 5,4% della possibilità di crescita nel 2006. Questo fa sì che altri paesi traggano vantaggio dalla nostra situazione; è il caso del nostro vicino, la Repubblica Dominicana, che gode della visita di un gran numero di turisti, mentre nel nostro paese non è possibile perché non c’è nessuna sicurezza. E all’interno del paese ci si serve del clima di violenza per arricchirsi: sequestri di persone, traffico d’armi, droga ecc. Esiste anche una relazione clientelare tra la popolazione e le bande: citiamo per esempio Cité Soleil, Grand Ravine e Sous Fort (bidonville dove le bande impreversano). 


Insicurezza politica:

La situazione di violenza crea l’instabilità. Questa violenza genera una situazione in cui il paese viene posto sotto tutela, prendiamo ad esempio la presenza di MINUSTHA. Gli ultimi due anni sono stati molto duri per le donne. Le donne sono state il bersaglio di violenza, brutalità, umiliazioni, maltrattamenti. Quelli che sequestrano persone usano metodi terribili: strappano gli occhi, tagliano seni e teste, strappano i cuori e introducono corpi estranei nella vagina per rendere ancora più atroce lo stupro. 

La nostra società è molto maschilista; spesso si pensa alla donna come a un oggetto e quindi a un sinonimo di piacere. Anche se questo comportamento è speso dissimulato. C’è tutta una serie di iniziative che incoraggiano la violenza e fa sì che la si consideri normale. Immagini di violenza alla tivù e su internet hanno conseguenze sulle menti di giovani e vecchi. Ci sono anche persone che rimangono indifferenti di fronte alla violenza, a forza di vederla troppo alla tivù e al cinema. 

E tuttavia i parlamentati haitiani hanno ratificato una moltitudine di Convenzioni sulla lotta contro la violenza fatta alle donne, come la Convenzione adottata nel 1979 e applicata nel 1991, e come la Convenzione di “Belem do Para” che vuole sanzionare ed eliminare la violenza fatta alle donne, adottata nel 1994 e ratificata dai parlamentari haitiani nel 1996. Quel che constatiamo è che queste Convenzioni restano sulla carta, ma nella realtà non esistono: infatti le donne continuano a subire violenza giorno e notte.

Le donne rappresentano il 52% della popolazione haitiana, esse rappresentano la sorgente della vita, hanno il diritto di vivere, perché è un diritto sacro, ma infelicità e morte sono il loro premio. Esse sono presenti quasi ovunque nella vita sociale, politica, economica del paese, per esempio nei partiti politici, nelle associazioni delle chiese, e questo prova che nulla loro sfugge della vita nazionale. Uccidere le donne, rapirle, violentarle è fare un danno a tutto il paese.


Alla fine del 2007, Haiti ha subito 3 uragani. Il primo ha colpito in particolare il sud. Il secondo ha colpito 5 dipartimenti: Ovest, Nord, Nord-Ovest, Centro, Nord-Est. Il terzo ha avuto conseguenze su tutti i 10 dipartimenti del paese, il che ha ulteriormente contribuito a far piombare Haiti in fondo alla lista dei paesi più poveri dell’emisfero.

Malgrado tutte queste peripezie nella storia del nostro paese, noi siamo determinati e decisi più che mai ad andare avanti insieme lavorando per costruire una società fondata sui diritti e la giustizia.

Jeannette Louis

Jeannette Louis, una contadina, madre di 5 figli,
è una delle responsabili delle donne di FDDPA. 




La nostra cooperativa è formata da 20 gruppi ed ogni gruppo ha 10-12 donne; le decisioni sono prese insieme da un Comitato di donne, che poi riferisce all’assemblea generale. La cooperativa ha permesso alle donne di uscire di casa e di diventare autonome: esse vanno al mercato, fanno commercio, lavorano. I profitti vengono divisi in 3 parti: una per la famiglia, una in banca, una per continuare le attività commerciali.

Io intreccio fibre vegetali realizzando stuoie, panieri e ceste, che poi porto al mercato a Verrettes (capoluogo della zona a 2 ore di cammino). Le donne si interessano inoltre ai problemi della comunità, come costruire una scuola per i bambini; uno dei loro sogni è costruire un mulino per il mais e il sorgo, che possa evitare loro di fare un lungo cammino fino a Verrettes, portando sulla testa il sacco dei cereali, per farli macinare. Le donne lottano e cercano solidarietà per realizzare questi progetti. 

Abbiamo anche aperto dei negozi comunitari, dove portiamo i generi di prima necessità, che distribuiamo poi alla popolazione; distribuiamo la semente (mais, fagioli, sorgo) ed immagazziniamo una parte del raccolto per usarla in futuro. Abbiamo anche fatto dei forni per il pane, che in montagna non esistevano, ed abbiamo creato dei posti di controllo per la salute, poiché mancava il servizio sanitario. Coltiviamo insieme degli appezzamenti di terra con ortaggi e soprattutto il crescione, molto ricercato in città. 
Alleviamo animali: polli, oche, capre, maiali.
Tutte queste attività hanno cambiato la vita delle donne. 
Senza dimenticare la violenza economica, che va di pari passo con il problema sociale del paese: una minoranza possiede il 99% della ricchezza del paese. Così la violenza politica rafforza la volontà di alcuni gruppi di controllare lo stato. Accade anche che gruppi di bande con intenzioni politiche abbiano goduto della protezione del governo e della polizia.

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