PACE

Riflessioni dal Postulato delle Missionarie
Comboniane di Roma

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I contributi:
La pace in/per Daniele Comboni (Gli scritti) di Ania

PARTE DEL MAGISTERO SOCIALE DELLA CHIESA SULLA PACE in rapporto AL CONVEGNO “La Pace nelle nostre mani, non solo utopia! di Chiara

Revisione personale della Carovana della Pace del Giubileo degli Oppressi/2 "La Pace nelle nostre mani: non solo utopia!" di Elianna

LA PACE: CAMMINO E DONO DI UN INCONTRO. di Federica
Testimone di Pace: RIGOBERTA MENCHU’ di Laura

La Pace: come interiorizzare questo valore di Maria

 

La pace in/per Daniele Comboni (Gli scritti)

 

424 ( a suo padre; XI 1858)

“ L’umana miseria s’adopera a toglierci la pace del cuore, e la speranza di una vita migliore; e noi al fianco di Gesù Crocifisso che patisce per noi, tripudiamo in mezzo all’avversa fortuna, mantenendo intatta quella pace preziosa, che solo appié della croce e nel pianto può trovare il vero servo di Dio.”

 

  • il mondo vuole toglierci la pace, il mondo non può darci la pace, la vera pace viene da Gesù, da Dio ( “loro non sono del mondo”, “vi do la mia pace; non come dà il mondo, io la do a voi”- dice Gesù), è un don

  • la casa della pace è il cuore

  • la pace è preziosa, perché è un dono di Dio e abita nel cuore.

  • la fonte della pace è la C/croce, è un paradosso, ma è vero; Gesù, accogliendo con cuore pieno d’amore la volontà del Suo Padre, è stato per noi la pace, “ha acquistato” la pace per noi, è stato ed è per noi l’Esempio che ci indica dove e come trovare la pace. La pace si trova nel compimento della volontà del Padre, nell’accoglienza totale del Suo progetto d’amore che ha per noi, anche se questo progetto chiama a sofferenza, dolore, croce. La pace si trova nell’accetazione dell’impossibilità, della dipendenza, della fragilità, della debolezza - proporia o degli altri. Quando mi lascio guidare, amare da Dio, è allora che trovo la pace.

 

Trovo la pace quando mi ritrovo nel Cuore di Gesù, Cuore di Dio e smetto di preoccuparmi troppo della mia vita.

S. 297 (a suo padre, III. 1858)

“Noi venimmo qua col bacio della pace, allo scopo di portar loro il più gran bene che vi sia la Religione. (... ) Non temete, o carissimi, col crocifisso al petto, o colla parola di pace si ammansano le bestie più feroci; egli è vero, che ci vuole la grazia di Dio, ma questa non manca mai”.

  • I segni concreti della pace con cui i missionari devono andare.
    Il bacio della pace, la parola di pace, l’affettività, la vera benevolenza, l’amore concretizzati nei gesti e nelle parole sono il primo annuncio con cui i missionari vengono, l’annuncio che portano e con cui vincono il male.

  • La pace deve essere vissuta, incarnata anche nella vita comunitaria

Ania

 
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Per approfondire la conoscenza del beato Daniele Comboni e leggere alcuni suoi scritti

 

PARTE DEL MAGISTERO SOCIALE DELLA CHIESA SULLA PACE in rapporto AL CONVEGNO: La Pace nelle nostre mani, non solo utopia!”

 

Mi è stato impossibile separare il magistero sociale della Chiesa in generale, da ciò che la Chiesa dice sulla pace in particolare, proprio perché la pace, come bene supremo, finisce per coinvolgere tutti gli aspetti della vita sociale.

 Ho preso come base la “Gaudium et Spes” che è l’unico documento che ho letto per intero, in quanto ho considerato le indicazioni del Concilio la sintesi di quelli che l’hanno preceduto e la base dei successivi, è stato interessante notare come i documenti dialoghino tra loro.

Ho cercato inoltre di sviluppare di più i temi che sono stati svolti a Bologna e a Terracina o sollecitata dalle compagne.

Seguendo le indicazioni di mons. Bettazzi sono partita dalla “Pacem in terris” di Giovanni XXIII. Sono andata in particolare a vedere quelli che il vescovo ha definito i quattro pilastri dell’enciclica e del Magistero sulla pace e che vengono richiamati nel sottotitolo dell’enciclica stessa:

 

“sulla pace tra tutte le genti, fondata sulla verità, la giustizia, l’ amore, la libertà.”

 

 Nella verità n.49.I rapporti fra le comunità politiche vanno regolati nella verità. La quale esige anzitutto che da quei rapporti venga eliminata ogni traccia di razzismo; e venga quindi riconosciuto il principio che tutte le comunità politiche sono uguali per dignità e natura; per cui ognuna di esse ha il diritto all’esistenza, al proprio sviluppo, ai mezzi idonei per attuarlo, ad essere la prima responsabile nell’attuazione del medesimo.

Fra gli esseri umani molto spesso sussistono differenze, anche spiccate, nel sapere, nella virtù, nelle capacità inventive, nel possesso di beni materiali. Ma ciò non può mai giustificare il proposito di far pesare la propria superiorità sugli altri; piuttosto costituisce una sorgente di maggiore responsabilità nell’apporto che ognuno e tutti devono addurre alla vicendevole elezione.

Così le comunità politiche possono differire tra loro nel grado di cultura e di civiltà o di sviluppo economico; però ciò non può mai giustificare il fatto che le une facciano valere ingiustamente la loro superiorità sulle altre; piuttosto può costituire un motivo perché si sentano più impegnate nell’opera per la comune ascesa.”

 

n.50 “Non ci sono esseri umani superiori per natura ed esseri umani inferiori per natura; ma tutti gli esseri umani sono uguali per dignità naturale.”

 

 Secondo giustizia n.51”I rapporti fra le comunità politiche vanno inoltre regolati secondo giustizia: il che comporta, oltre che il riconoscimento dei vicendevoli diritti, l’adempimento dei rispettivi doveri.

Le comunità politiche hanno il diritto all’esistenza, al proprio sviluppo, ai mezzi idonei per attuarlo: ad essere le prime artefici nell’attuazione del medesimo; di conseguenza e simultaneamente le stesse comunità politiche hanno pure il dovere di rispettare ognuno di quei diritti; e di evitare quindi le azioni che ne costituiscono una violazione. Come nei rapporti tra singoli esseri umani, agli uni non è lecito perseguire i propri interessi a danno degli altri, così nei rapporti fra le comunità politiche, alle une non è lecito sviluppare se stesse comprimendo od opprimendo le altre. Cade qui opportuno il detto di sant’Agostino: Abbandonata la giustizia, a che si riducono i regni, se non a grandi latrocini?

 

La verità e la giustizia però non sono sufficienti, è necessario qualcosa di più, quella che viene definita

Solidarietà operante n.54”I rapporti tra le comunità politiche vanno regolati nella verità e secondo giustizia; ma quei rapporti vanno pure vivificati dall’operante solidarietà attraverso le mille forme di collaborazione economica, sociale, politica, culturale, sanitaria, sportiva: forme possibili e feconde nell’attuale epoca storica.. In argomento occorre sempre considerare che la ragion d’essere dei poteri pubblici non è quella di chiudere e comprimere gli esseri umani nell’ambito delle rispettive comunità politiche; è invece quella di attuare il bene comune delle stesse comunità politiche; il quale bene comune però va concepito e promosso come una componente del bene comune dell’intera famiglia umana.

 

Nella libertà n.64 “I rapporti tra le comunità politiche vanno regolati nella libertà. Il che significa che nessuna di esse ha diritto di esercitare un’azione oppressiva sulle altre o indebita ingerenza. Tutte invece devono proporsi di contribuire perché in ognuna sia sviluppato il senso di responsabilità, lo spirito di iniziativa, e l’impegno ad essere la prima protagonista nel realizzare la propria ascesa in tutti i campi.”

 

 Se questi sono i quattro pilastri di tutta la dottrina sociale della Chiesa il vero fondamento lo dichiara al n.3 la “Gaudium et Spes”:

 

"E’ l’uomo dunque, ma l’uomo integrale, nell’unità di corpo ed anima, di cuore e coscienza, di intelletto e volontà, che sarà il cardine di tutta la nostra esposizione.”

Ribadendo fra l’altro il proprio diritto ad occuparsi di tutti gli aspetti della persona e non solo di anime disincarnate. In tutti i documenti viene sottolineata questa centralità, tanto che Giovanni Paolo II ha intitolato un capitolo della “Centesimus annus” “L’UOMO  E’ LA VIA DELLA CHIESA”. La Gaudium et Spes” dedica un intero capitolo alla persona umana e alla sua dignità: immagine di Dio, “uomo e donna li creò”, impegnato in una lotta drammatica tra il bene e il male dentro e fuori di sé a causa del peccato che è prima di tutto abuso di libertà e desiderio di fare a meno di Dio, desiderio che i mutamenti sociali sembrano aver acuito fino all’ateismo che viene particolarmente analizzato. La vera libertà viene proposta in relazione alla dignità della coscienza morale n.16 “L’uomo ha in realtà una legge scritta da Dio dentro al suo cuore”, ”La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità propria”.L’uomo ultimo responsabile del bene e del male della società.

D’altra parte per capire speranze ed angosce dell’uomo in un mondo che cambia (cambiamento che viene peraltro analizzato) e per  n.4 “rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della vita” 

 

“è dovere permanente della Chiesa di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo”.

Questa è una delle dichiarazioni più forti del Concilio e continua ad essere un grande stimolo per la vita di una Chiesa che vuole continuare a parlare agli uomini. Lo stesso atteggiamento che viene presentato subito nel proemio n.1:

 

"Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore”

 

Insieme alla opzione preferenziale per i poveri, possiamo notare questa vitalità e desiderio di condivisione e partecipazione. Lo stimolo alla partecipazione dei cattolici alla vita politica era già stata una delle novità della “Rerum novarum” e viene ripreso ed ampliato da Giovanni XXIII nella “Pacem in terris”, così come abbiamo visto l’insistenza con cui sottolinea l’importanza che ogni popolo sia protagonista e responsabile della propria storia. Responsabilità e partecipazione si respirano in tutta la “Gaudium et Spes” e vengono considerate imprescindibili dall’uomo che n.12 “per sua intima natura è un essere sociale”. n.25”Dall’indole sociale dell’uomo appare evidente come il perfezionamento della persona umana e lo sviluppo della stessa società siano tra loro interdipendenti. Infatti, principio, soggetto e fine di tutte le istituzioni sociali è e deve essere la persona umana, come quella che di sua natura ha sommamente bisogno di socialità. Poiché la vita sociale non è qualcosa di esterno all’uomo, l’uomo cresce in tutte le sue doti e può rispondere alla sua vocazione attraverso i rapporti con gli altri, i mutui doveri, il colloquio coi fratelli.” Si può capire allora l’importanza di superare l’etica individualistica n.30 non vi sia alcuno che, non prestando attenzione al corso delle cose e intorpidito dall’inerzia, indulga a un etica puramente individualistica. Il dovere della giustizia e dell’amore viene sempre più assolto per il fatto che ognuno, contribuendo al bene comune secondo le proprie capacità e le necessità degli altri, promuove e aiuta anche le istituzioni pubbliche e private che servono a migliorare le condizioni di vita degli uomini.”

Una responsabilità e partecipazione che, già sottolineate nella “Pacem in terris” a proposito delle nazioni, devono partire dalla educazione e dalla famiglia per avere uomini e donne di “forte personalità” n.31 in grado di essere veramente liberi nelle loro decisioni.n.31 ”Invero la libertà umana spesso si indebolisce qualora l’uomo cada in estrema indigenza, come si degrada quando egli stesso, cedendo alle troppe facilità della vita, si chiude in una specie di aurea solitudine. Al contrario, acquista forza, quando l’uomo accetta le inevitabili difficoltà della vita sociale, assume le molteplici esigenze dell’umana convivenza e si impegna al servizio della comunità umana.”

Così viene messo in più punti in evidenza con insistenza come per i cristiani n.39”l’attesa di una terra nuova non deve indebolire, bensì piuttosto stimolare la sollecitudine nel lavoro relativo alla terra presente, dove cresce quel corpo dell’umanità nuova che già riesce ad offrire una certa prefigurazione che adombra il mondo nuovo. Pertanto, benché si debba accuratamente distinguere il progresso terreno dallo sviluppo del Regno di Cristo, tuttavia, nella misura in cui può contribuire a meglio ordinare l’umana società, tale progresso è di grande importanza per il Regno di Dio.”Proprio partendo dalla fede n.41”La Chiesa può sottrarre la dignità della persona  umana a l fluttuare di tutte le opinioni, che, per esempio, o troppo abbassano il corpo umano o troppo lo esaltano.” Per questo n.76”sempre e dovunque e con vera libertà, è suo diritto predicare la fede e insegnare la sua dottrina sociale, esercitare senza ostacoli la sua missione tra gli uomini e dare il suo giudizio morale, anche su cose che riguardano l’ordine politico, quando ciò sia richiesto dai diritti fondamentali della persona e dalla salvezza delle anime.-ribadendo, ancora una volta quello che veniva detto nel proemio e che mons. Bettazzi a Bologna sottolineava con una battuta:” il Concilio ha stabilito che la Chiesa non si occupi di politica, salvo quando questa tocca l’uomo”- E questo farà utilizzando tutti e soli quei mezzi che sono conformi al Vangelo, e al bene di tutti, secondo la diversità dei tempi e delle situazioni”.  Si specifica chiaramente che n.42 che “la Chiesa non è legata ad alcuna particolare forma di cultura umana  o sistema politico, economico e sociale  e si invitano i cristiani impegnati nelle attività temporali ad un dialogo sincero prima di  tutto fra di loro, quando ci siano giudizi diversi sulla medesima questione, perché il dialogo con tutti gli uomini, uno degli impegni  assunti  con maggior forza dal Concilio, richiede  n.92” che innanzitutto nella  stessa Chiesa promuoviamo la mutua stima, rispetto e concordia, riconoscendo ogni legittima diversità”  il primo passo per andare verso “i fratelli che non vivono in piena comunione con noi” con i quali dobbiamo imparare a  “ cooperare fraternamente” , verso  i membri di altre religioni, in un dialogo che “non esclude nessuno” , nemmeno “coloro che si oppongono alla Chiesa e la perseguitano in diverse maniere”  n.93 ”uniti con tutti coloro che amano e cercano la giustizia”.

Pace e giustizia strettamente collegati in tutto il documento e in tutti i documenti del magistero sociale della  Chiesa e che Paolo vi nella “ Populorum progressio” rifacendosi alle indicazioni del Concilio e  ampliando ciò che era già stato detto nella “pacem in terris”, collegherà ancora più strettamente allo sviluppo dei popoli n.1”Lo sviluppo dei popoli, in modo tutto particolare di quelli che lottano per liberarsi dal giogo della fame, della miseria, delle malattie endemiche, dell’ignoranza; che cercano una partecipazione più larga ai frutti della civiltà, una più attiva valorizzazione delle loro qualità umane; che si muovono con decisione verso la meta di un loro pieno rigoglio, è oggetto di attenta osservazione da parte della Chiesa. All’indomani del Concilio Ecumenico Vaticano II, una rinnovata presa di coscienza delle esigenze del messaggio evangelico le impone di mettersi al servizio degli uomini, onde aiutarli a cogliere tutte le dimensioni di tale grave problema e convincerli dell’urgenza di una azione solidale in questa svolta della storia dell’umanità” n.3”Oggi, il fatto di maggior rilievo, del quale ognuno deve prendere coscienza, è che la questione sociale ha acquistato dimensione mondiale. Giovanni XXIII l’ha affermato nettamente, e il Concilio gli ha fatto eco con la sua Costituzione pastorale su La Chiesa nel mondo contemporaneo. Si tratta di un insegnamento grave e che esige una applicazione urgente. i popoli della fame interpellano oggi in maniera drammatica i popoli dell’opulenza. La Chiesa trasale davanti a questo grido d’angoscia e chiama ognuno a rispondere con amore all’appello del suo fratello.”

Si può notare come venga sottolineata la volontà della Chiesa di mettersi  a servizio dell’umanità, un altro dei temi  forti del Concilio e come venga sottolineata ancora una volta la necessità di superare la giustizia tramite l’amore e la solidarietà”. Temi che lo stesso Paolo VI riprenderà nel suo discorso alle Nazioni Unite parlando di n.9 collaborazione fraterna fra i popoli”, perché “Gauidium et Spes” n.78”la pace è frutto anche dell’amore, il quale va oltre quanto può assicurare la semplice giustizia” Qui si sfiora il centro stesso del cristianesimo che Giovanni Paolo II ci invita a meditare per la giornata missionaria mondiale 2002 “Soltanto l’amore di Dio, capace di affratellare gli uomini di ogni razza e cultura, potrà fare scomparire le dolorose divisioni, i contrasti ideologici, le disparità economiche e le violente sopraffazioni che ancora opprimono l’umanità”.

 

I temi della giustizia sociale vengono sviluppati  in particolare in un capitolo della  “ Gaudium et Spes” partendo  ancora una volta dall’uomo che n.63”è l’autore il centro e il fine di tutta la vita economico sociale”. n.67”Troppo spesso avviene invece, anche ai nostri giorni, che i lavoratori siano in un certo senso asserviti alla propria attività. Ciò non trova assolutamente giustificazione nelle cosiddette  leggi economiche” Mentre “ai lavoratori va assicurata la possibilità di sviluppare le loro qualità e di esprimere la loro personalità nell’esercizio del lavoro stesso.” Va promossa ”l’attiva partecipazione di tutti alla vita dell’impresa” e viene riconosciuto il diritto di associarsi e in caso di conflitto di usare lo sciopero n.68, anche se come mezzo estremo. Così come, d’altra parte n.69”colui che si trova in estrema necessità, ha il diritto di procurarsi il necessario dalle ricchezze altrui” in quanto la salvaguardia della proprietà privata, secondo la linea tradizionale della dottrina sociale della Chiesa, è limitata dalla destinazione universale dei beni e soprattutto  n.71”nei paesi economicamente meno sviluppati” viene approvata l’espropriazione dei latifondi a vantaggio dei braccianti che “ricevono un salario o altre forme di remunerazione che sono indegni di un uomo” promuovendo la loro organizzazione in cooperative.. Così in campo monetario ci si preoccupa che non siano i più deboli ad essere danneggiati. Inoltre per quanto riguarda gli immigrati n.66”tutti, ed in primo luogo i poteri pubblici, devono accoglierli come persone, e non semplicemente come puri strumenti di produzione”.

Questa preoccupazione per l’uomo e per la salvaguardia dei più deboli porta, seguendo la linea già demarcata da Leone XIII nella “Rerum novarum” a condannare socialismo e liberalismo n.65”Lo sviluppo economico non può essere abbandonato né al solo svolgersi quasi meccanico della attività economica dei singoli né alla sola decisione della pubblica autorità. Per questo, bisogna denunciare gli errori tanto delle dottrine che, in nome di un falso concetto di libertà, si oppongono alle riforme necessarie, quanto di quelle che sacrificano i diritti fondamentali delle singole persone e dei gruppi all’organizzazione collettiva della produzione.”  Giovanni Paolo II nella” Sollicitudo rei socialis” affronterà nuovamente il problema in modo più  esplicito parlando di  “collettivismo-marxista” e “capitalismo-liberista”. Se, con tutto quello che è stato detto, la condanna del liberalismo è abbastanza immediata al n.13 della “Centesimus annus” si cerca di andare alla radice del problema per quel che riguarda il socialismo ”Approfondendo ora la riflessione e facendo anche riferimento a quanto è stato detto nelle encicliche ”Laborem exercens” e “Sollicitudo rei socialis”, bisogna aggiungere che l’errore fondamentale del socialismo è di tipo antropologico. Esso infatti, considera il singolo uomo come un semplice elemento ed una molecola dell’organismo sociale, di modo che il bene dell’individuo viene del tutto subordinato al funzionamento del meccanismo economico-sociale, mentre ritiene, d’altro canto, che quel medesimo bene possa essere realizzato prescindendo dalla sua autonoma scelta, dalla sua unica ed esclusiva assunzione di responsabilità davanti al bene o al male.L’uomo è così ridotto ad una serie di relazioni sociali, e scompare il concetto di persona come soggetto autonomo di decisione morale, il quale costruisce mediante tale decisione l’ordine sociale.”Lo stesso errore che faceva rilevare p.Alex a Terracina e a Bologna parlando con Moni Ovadia.

Grandissimo appoggio riceve invece un’istituzione come l’ONU: la ratifica morale è di Paolo VI nel suo discorso ai delegati  n.3”Voi sancite il  grande principio che i rapporti fra i popoli devono essere regolati dalla ragione, dalla giustizia, dal diritto, dalla trattativa, non dalla forza, non dalla violenza, non dalla guerra e nemmeno dalla paura e dall’inganno” sottolineando che n.7”La pace non si costruisce soltanto con la politica e con l’equilibrio delle forze e degli interessi, ma con lo spirito, con le idee, con le opere della pace.”. perché la pace n.11” si regge innanzitutto sulle nostre coscienze”. Questa responsabilità personale aveva portato il Concilio a  n.79 non scusare l’obbedienza cieca, degli esecutori materiali di veri e propri crimini. ”Deve invece essere sostenuto il coraggio di coloro che non temono di opporsi apertamente a quelli che ordinano tali azioni”.

D’altra parte, sempre nella “Gaudium et Spes” si denuncia apertamente come  n.81”la corsa agli armamenti è una delle piaghe più gravi dell’umanità” infatti ”mentre si spendono enormi ricchezze per procurarsi sempre nuove armi, diventa poi impossibile arrecare sufficiente rimedio alle miserie così grandi del mondo presente.” Così Paolo VI propone ai delegati ONU un’azione concreta di buona volontà per cominciare a ridurre le spese e muoversi nel senso della solidarietà n.8”devolvere a beneficio dei paesi in via di sviluppo una parte almeno delle economie, che si possono realizzare con la riduzione degli armamenti.”

Se, d’altra parte, si ritiene la legittima difesa un male necessario n.79”altra cosa è servirsi delle armi per difendere i giusti diritti dei popoli ed altra cosa voler imporre il proprio dominio sulle altre nazioni. Né la potenza bellica rende legittimo ogni uso militare o politico.” La strada maestra che ci viene indicata è un’altra e viene fatto in modo solenne

 

“Mossi dal medesimo Spirito, noi non possiamo non lodare coloro che, rinunciando alla violenza nelle rivendicazioni dei loro diritti, ricorrono a quei mezzi di difesa che sono, del resto, alla portata anche dei più deboli

 

La  “Gaudium et Spes” si conclude con un impegno in prima persona della Chiesa con la creazione n.90 di un organismo universale ”al fine di fomentare dovunque la giustizia e l’amore di Cristo verso i poveri. Tale organismo avrà come scopo di stimolare la comunità dei cattolici a promuovere lo sviluppo delle regioni bisognose e la giustizia sociale tra le nazioni.” ,creazione della commissione Giustizia e Pace che sarà ufficializzata da Paolo VI nella “Populorum progressio”.

Si precisa infine che n.91”la proposizione della dottrina dovrà essere  continuata  ed ampliata” a causa di una realtà in continua evoluzione. Così come si prevede un “ adattamento ai singoli popoli e alle varie mentalità”.

Il risultato più eclatante di questo adattamento è stato portato avanti dalla Chiesa  latinoamericana che, a cominciare da Medellin nel 1968  si è fatta portavoce delle sofferenze del suo popolo: Doc.2,”Pace”, n.16 ”Non si può ignorare che l’America Latina si trova in molte parti, di fronte ad una situazione di ingiustizia che può essere definita di violenza istituzionalizzata, poiché le strutture attuali violano i diritti fondamentali. Situazione questa che esige trasformazioni globali, urgenti, innovatrici.” Così a Puebla nel 1979  si arrivò a dire n.1258 “La radice ultima di queste cause è il peccato, sia nel suo aspetto personale, sia nelle stesse strutture.” Già Paolo VI nella “Populorom progressio” aveva parlato di n21 “strutture oppressive”, ma sarà Giovanni Paolo II nella “Sollicitudo rei socialis”  n36 a parlare di “strutture di peccato”

 

n.36 “La somma dei fattori negativi, che agiscono in senso contrario a una vera coscienza del bene comune universale e all’esigenza di favorirlo, dà l’impressione di creare, in persone ed istituzioni, un ostacolo difficile da superare. Se la situazione di oggi e da attribuire a difficoltà di diversa indole, non è fuori luogo parlare di “strutture di peccato”, le quali- come affermato nell’Esortazione Apostolica Reconciliatio et Paenitentia- si radicano nel peccato personale e quindi, son sempre collegate ad atti concreti delle persone, che le introducono, le consolidano e le rendono difficili da rimuovere. e così esse si rafforzano, si diffondono e diventano sorgente di altri peccati, condizionando la condotta degli uomini”

 

n.37”Ho voluto introdurre questo tipo di analisi soprattutto per indicare quale sia la vera natura del male, a cui ci si trova di fronte nella questione dello “sviluppo dei popoli”: si tratta di un male morale, frutto di molti peccati, che portano a ”strutture di peccato”. Diagnosticare così il male significa identificare esattamente, a livello della condotta umana, il cammino da seguire per superarlo.

n.38”Nel cammino della considerata conversione verso il superamento degli ostacoli  morali per lo sviluppo, si può già segnalare, come valore positivo e morale, la crescente consapevolezza dell’interdipendenza tra uomini e nazioni. Il fatto che uomini e donne, in varie parti del mondo, sentano come proprie le ingiustizie e le violazioni dei diritti umani commesse in paesi lontani, che forse non visiteranno mai, è un segno ulteriore di una realtà trasformata in coscienza, acquistando così connotazione morale.

Si tratta innanzitutto dell’interdipendenza, sentita come sistema determinante di relazioni nel mondo contemporaneo, nelle sue componenti economico, culturale, politica e religiosa, e assunta come categoria morale. Quando l’interdipendenza viene così riconosciuta, la correlativa risposta, come atteggiamento morale e sociale, come “virtù”, è la solidarietà. Questa dunque non è un sentimento di vaga compassione o di superficiale intenerimento per i mali di tante persone, vicine e lontane. Al contrario, è la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno, perché tutti siano veramente responsabili di tutti.”

 

Un ampliamento della visione dei problemi lo possiamo ritrovare anche nella “Centesimus annus” dove Giovanni Paolo II parla esplicitamente  di  questione ecologica, remissione del debito ai paesi più poveri, più spazio è dedicato al volontariato ed alla società civile nei loro rapporti con lo Stato e l’impresa. Un capitolo intero è dedicato alla dottrina tradizionale della Chiesa sulla proprietà privata e l’universale destinazione dei beni, analizzando un aspetto fondamentale per la nostra società sviluppata che è quello della proprietà n.32”conoscenza della tecnica e del sapere”. Vi è una maggiore trattazione del problema del consumismo n.36 :”è necessario lasciarsi guidare da un’immagine integrale dell’uomo, che rispetti tutte le dimensioni del suo essere e subordini quelle materiali ed istintive a quelle interiori e spirituali. Al contrario, rivolgendosi direttamente ai suoi istinti e prescindendo in diverso modo dalla sua realtà personale cosciente e libera, si possono creare abitudini di consumo e stili di vita oggettivamente illeciti e spesso dannosi per la salute fisica e spirituale. Il sistema economico non possiede al suo interno criteri che consentano di distinguere correttamente le forme nuove e più elevate di soddisfacimento dei bisogni umani dai nuovi bisogni indotti, che ostacolano la formazione di una matura personalità. E’ perciò, necessaria ed urgente una grande opera educativa e culturale, la quale comprenda l’educazione dei consumatori ad un uso responsabile del loro potere di scelta, la formazione di un alto senso di responsabilità nei produttori e, soprattutto, nei professionisti delle comunicazioni di massa, oltre che il necessario intervento delle pubbliche Autorità.”

 

Nel messaggio per la giornata mondiale della pace del 1 gennaio 2001, Giovanni Paolo II prende in considerazione da un punto di vista particolare, quello del dialogo tra culture, un problema che i suoi predecessori avevano già affrontato, ma che con l’andare del tempo ha acquisito sempre più peso a causa del n.1”processo di globalizzazione che unisce in modo crescente i destini dell’economia, della cultura e della società n.11: “L’impatto delle nuove tecnologie della comunicazione sulla vita delle persone e dei popoli. Nell’era della comunicazione globale “Il libero flusso delle immagini e delle parole su scala mondiale sta trasformando non solo le relazioni tra i popoli a livello politico ed economico, ma la stessa comprensione del mondo”.”Il fatto che un ristretto numero di Paesi detenga il monopolio delle “industrie” culturali, distribuendone i prodotti in ogni angolo della terra ad un pubblico sempre crescente, può costituire un potente fattore di erosione delle specificità culturali.” Per questo si mette in evidenza il rischio di una “supina omologazione delle culture, o di alcuni loro rilevanti aspetti, a modelli culturali del mondo occidentale che, ormai disancorati dal retroterra cristiano, sono ispirati ad una concezione secolarizzata e praticamente atea della vita e a forme di radicale individualismo. Si tratta di un fenomeno di vaste proporzioni, sostenuto da potenti campagne mass-mediali, tese a veicolare stili di vita, progetti sociali ed economici e, in definitiva, una complessiva visione della realtà, che erode dall’interno assetti culturali diversi e civiltà nobilissime. A motivo della loro spiccata connotazione scientifica e tecnica, i modelli culturali dell’Occidente appaiono fascinosi ed attraenti, ma rivelano, purtroppo, con sempre maggior evidenza, un progressivo impoverimento umanistico, spirituale e morale.”Qui torniamo ai quattro pilastri della pace che aveva indicato Giovanni XXIII nella “Pacem in terris”, dove la necessità di verità coinvolgeva tra i primi proprio i mezzi di informazione, anche se ci si riferiva specificamente al razzismo. E’ interessante notare come a Bologna, Giulietto Chiesa, per vie diverse, sia arrivato alle stesse conclusioni.

 

Lo stesso messaggio per la giornata mondiale della pace 2001 rivela l’attenzione a “cogliere i segni dei tempi”: nell’anno in cui sarebbe avvenuto l’attentato alle due torri gemelle di New York da molti definito come uno “scontro di civiltà” il tema affrontato è quello del “ dialogo tra le culture per una civiltà dell’amore”. In linea con gli atti concreti di richiesta di perdono e riconciliazione  in particolare con  gli ebrei e le altre chiese cristiane, gli incontri interreligiosi ad Assisi per promuovere la pace e dire che Dio non può essere strumentalizzato con la violenza”(marzo 2002), il richiamo forte è alla riconciliazione n.21”Spesso infatti il dialogo è difficile, perché su di esso pesa l’ipoteca di tragiche eredità di guerre, conflitti, violenze e odi, che la memoria continua ad alimentare (quello che ci confermavano anche Alex e Valdenia, rispetto alle responsabilità degli occidentali nei confronti degli Africani e dei Latinoamericani). Per superare le barriere dell’incomunicabilità, la strada da percorrere è quella del perdono e della riconciliazione. Molti, in nome di un realismo disincantato, reputano questa strada utopistica ed ingenua. Nella visione cristiana, invece, questa è l’unica via per raggiungere la meta della pace.” Fino al messaggio per la giornata mondiale della pace 2002 che si intitolerà, non a caso: ”Non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza perdono”

La commissione per la giustizia e la riconciliazione in Sudafrica di cui ci ha parlato Magous è un esempio concreto  di riuscita e di azione su questa linea e ci fa’ vedere a cosa possano arrivare gli uomini e le donne di buona volontà quando  lavorano insieme.

 

Personalmente, mi lascia perplessa leggere nello stesso messaggio una condanna esplicita del terrorismo ed essere costretta a leggere tra le righe la condanna dell’azione militare N.A.T.O. contro l’ Afganistan. Così come all’indomani dell’incontro dei G8 a Genova, con tutto quello che ne è conseguito, sentire il discorso del Papa con Bush  incentrato sul problema dell’aborto e della scuola cattolica. Un immagine che non riesco a dimenticare, poi, è Giovanni Paolo II al balcone con Pinochet durante la dittatura in Cile. Dittatore che si ergeva a difensore dei cattolici contro il comunismo e che si comunicava regolarmente ogni giorno nella sua cappella privata, senza che questo sia mai stato condannato per lo meno come incoerenza. D’altra parte la sua preghiera al Muro del pianto è stata un gesto semplice che è stato il superamento visivo di duemila anni di odio.

 

Concludo con l’invito di Giovanni XXIII che nella “Mater et Magistra” n217 ci indica il metodo per tradurre in termini di concretezza i principi e le direttive sociali “attraverso tre momenti: rilevazione delle situazioni, valutazione di esse nella luce di quei principi e di quelle direttive; ricerca e determinazione di quello che si può e si deve fare per tradurre quei principi e quelle direttive nelle situazioni, secondo modi e gradi che le stesse situazioni reclamano. Sono i tre momenti che si sogliono  esprimere nei tre termini: vedere, giudicare, agire.”

Chiara

  • Leone XIII RERUM NOVARUM 1891

  • Giovanni XXIII  MATER ET MAGISTRA 1961  70° anniversario della Rerum novarum

  • Giovanni XXIII  PACEM IN TERRIS  1963

  • Concilio Vaticano II GAUDIUM ET SPES 1965

  • DISCORSO DI PAOLO VI ALL’ONU 1965

  • Paolo VI  POPULORUM PROGRESSIO 1967 

  • Conf. episcopale latinoamericana MEDELLIN 1968

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  • Giovanni Paolo II  SOLLICITUDO REI SOCIALIS 1987  20° anniversario della Populorum progressio

  • Giovanni Paolo II  CENTESIMUS ANNUS  1991   centenario della Rerum novarum

  • Giovanni Paolo II  MESSAGGIO PER LA GIORNATA MONDIALE DELLA PACE 2001

  • Giovanni Paolo II  MESSAGGIO PER LA GIORNATA MONDIALE DELLA PACE 2002

  • Giovanni Paolo II  MESSAGGIO PER LA GIORNATA  MISSIONARIA MONDIALE  2002

 

 

Revisione personale della Carovana della Pace del Giubileo degli Oppressi/2

La Pace nelle nostre mani: non solo utopia!

 

Vi scrivo dal Postulato,

nei primi giorni in questa nuova comunità, nei primi giorni del mese missionario, in un giorno in cui il Vangelo di Luca mi dice e ci dice: “In qualunque casa entriate, prima dite: Pace a questa casa.”.

Mi viene spontaneo così chiedermi quale pace io sono chiamata a “dire” e a vivere in questa nuova casa/comunità in cui sono entrata. Questa domanda suona forte nel mio cuore e nella mia mente che hanno vissuto il cammino della Carovana della Pace del Giubileo degli Oppressi/2 dal suo concepimento ideale fino alla chiusura a Bologna

 

L’icona biblica di questo mese missionario è il brano della prima lettera di Giovanni 1,1-4 in cui si dice: “quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché voi siate in comunione con noi”.

 

Il mio inizio sembrerebbe così segnato dall’invito ad annunciare quella Pace che ho visto e udito.

Che cosa ho visto e udito durante questi mesi?

Poche persone che in nome di un’utopia da realizzare si sono rimboccate le maniche e hanno creato un movimento di persone, idee e proposte culminato nei giorni della Carovana dove l’arrivo di pochi testimoni ha radunato circa 15 mila persone complessivamente. Giovani che per la prima volta nella loro vita sono andati a incontrare vescovi sindaci e giornalisti per proporre questa utopia. Associazioni che per la prima volta si sono incontrate e hanno lavorato insieme. Comboniani e Comboniane col volto illuminato e incredibilmente animati (non mollate!) da quanto si è riuscito a fare. La Provvidenza manifestarsi in molti e concreti modi. Strade che si aprivano dietro a porte che si chiudevano. Una grande sete e fame di contenuti e di testimoni che fa pensare alle folle di cui Gesù aveva compassione vedendole come “greggi senza pastore”.

Una gioia grande mi nasce nel cuore per aver contribuito con quanto potevo alla realizzazione di tutto questo, ma soprattutto perché lavorando da dentro ho potuto vedere e contemplare tutto ciò.

Dentro a questo grande percorso ho vissuto anche gli 11 giorni ufficiali del Giubileo: un cammino fisico per le 10 città italiane, un cammino relazionale e spirituale tra noi componenti della Carovana, un cammino personale di crescita spirituale e umana.

Ha un significato importante per me rivedere questo triplice percorso ora, qui in Postulato, a Roma, a pochi giorni dalla votazione delle modifica della legge 185/90, nel mezzo della discussione internazionale sull’opportunità della guerra in Iraq.

A livello macro-sociale/politico sembra di aver vissuto e lavorato per un’utopia irrealizzabile, e fermarsi a questo livello è pericoloso e schiacciante. Perché “il nuovo è possibile”, come riporta p. Alex, seguendo le orme di Gesù che “rilanciava il ‘gran Sogno di Dio’ partendo dalle piccole comunità di rinnovamento”(pg. 11 de Il nuovo è possibile).

Il cambiamento parte a livello micro e pensate che rivoluzione nonviolenta se ognuna delle circa 15 mila persone portasse avanti l’utopia della Pace nella sua piccola comunità!

 

Allora ha senso oggi per me fare una revisione della Carovana, raccontando non tutto quello che ho visto e udito, ma quello che è stata per me, ovvero cosa voglio che sia nella mia vita e nel mio futuro.

È possibile vivere il Vangelo in maniera radicale, facendone il contenuto del proprio impegno, della propria denuncia e del proprio annuncio. È talmente possibile che è una grave responsabilità che ricade su ognuno, su di me, se non faccio di tutto per provarci. Questo mi hanno insegnato i profeti di ieri e i testimoni con cui abbiamo condiviso tetto pane e pulmino.

Sentendo parlare Valdenia in particolare, non ho potuto  fermare le lacrime: vorrei tanto che la mia vita di donna potesse un giorno avere la forza dell’impegno e della testimonianza che ha la sua vita. Non si può e non si deve parlare di ingiustizia e oppressione in astratto, anche se coinvolti emotivamente e convinti. È necessario calarsi dentro questa oppressione, assumerne le conseguenze. Solo allora la vita, la denuncia e la testimonianza hanno un senso, sono credibili e possono portare frutto. Ci vuole coraggio nella paura, preparazione e competenza: e per questo non bastano e non servono ruoli, titoli o etichette. Io sento l’urgenza e il desiderio di calarmi e incarnarmi in questa oppressione, per farmi sorella e compagna. Il cammino è lungo e il pericolo di sedersi nella mediocrità è sempre presente. Per questo i costruttori di pace devono stare “in piedi”.

La Pace non si costruisce senza Giustizia, Perdono, Riconciliazione, Verità, Reciprocità. Tutte parole piene di concretezza e vita dopo l’incontro con don Ciotti e Magouws in particolare, e con mons. Bregantini e mons. Cetoloni. Tutti atteggiamenti realizzabili tanto nelle piccole relazioni quotidiane quanto in rapporti distrutti dalle violenze delle mafie, delle guerre, dell’apartheid. È possibile che rinasca la vita e vinca la Pace attiva, quella della non-violenza, quella dell’educazione alla legalità e ad una cittadinanza responsabile, dell’educazione alla pace, delle Commissioni di Verità e Riconciliazione, di Giustizia e Pace. È talmente possibile che è una grave responsabilità che ricade su ciascuno, su di me, se non mi impegno in questo, se la mia vita di ogni giorno non cerca di stabilire relazioni fondate sulla verità, sull’accoglienza dell’altro come rispetto della sua differenza ma anche come prendersi cura dell’altro, senza mai vendere, come dice don Ciotti, la forza evangelica della fame e sete di giustizia, nemmeno in nome di una convivenza tranquilla (che poi lo sarebbe solo per alcuni).

Il Vangelo deve essere il nostro punto di riferimento. Sono parole che spesso i vari testimoni hanno detto (oltre che dimostrato implicitamente). Ma è stata anche l’esperienza quotidiana della Carovana, che iniziava e concludeva le giornate nella preghiera comunitaria, guidati dal Vangelo. Non basta dirsi cristiani, perché, come ha ricordato fr. Arturo Paoli, è la società che si dice cristiana l’autrice e l’origine di molte ingiustizie e sistemi di oppressione. La Parola è molto chiara: Dio si rivela unicamente con opere di giustizia. Quando la Parola è il punto di riferimento allora è possibile vivere (pagando anche di persona) come i testimoni profetici della Carovana e quelli che ci hanno preceduto. Se il Vangelo fosse il nostro punto di riferimento, allora sarebbe realizzabile il sogno di Dio di un Regno di Pace e Giustizia, fondato, come ripete spesso p. Alex, su un’economia di uguaglianza, una politica di giustizia, e un’esperienza di Dio come un Dio libero e totalmente Altro rispetto agli idoli del mondo. Questo darebbe alla comunità una forza e una gioia enormi, più grandi ancora della grande gioia e forza che ha riempito i cuori di noi carovanieri e la comunità della Carovana.

Tutto questo va vissuto, annunciato, testimoniato.

E qui si entra nel vaso di Pandora che è il mondo dell’informazione: che cosa è passato della Carovana e dei suoi contenuti nei mass media? Troppo poco. Il cambiamento passa anche per una riappropriazione dell’informazione, ed è stato bellissimo avere con noi Raffaello di Nigrizia, una persona molto intelligente e critica, un professionista dell’informazione che ci ha aiutato a capire un po’ di più come funziona questo mondo, e personalmente l’ha reso più vicino, più avvicinabile. Dopo la Carovana giornalisti e giornali non sono più per me tecnici e luoghi chiusi che funzionano da sé. I giornalisti sono persone che fanno un lavoro di cui sono socialmente responsabili e io interloquendo con loro, facendo richieste e offrendo contributi li posso aiutare a compiere in maniera più bella e responsabile il loro lavoro, rendendo i giornali dei luoghi di dialogo, portando voci-altre. Certo la strada è lunga, ma è possibile. Lo dimostrano l’esistenza di testate alternative che non sto ad elencare, giornalisti seri e impegnati. È talmente possibile, che è una grave responsabilità che ricade su ciascuno, su di me, se l’informarmi non diventa una fatica (non una cosa da ritagli di tempo), se non mi impegno personalmente in maniera costruttiva e creativa.

Come rendere reali tutte queste possibilità?

La Carovana ha consolidato in me delle convinzioni che mi portavo dentro da quando ho studiato il pensiero di Paulo Freire, pedagogista brasiliano, per la tesi. Il cambiamento può avvenire se insieme gli uomini e le donne fanno un cammino di coscientizzazione che li porta ad essere liberi, cioè pienamente uomini e consapevoli di essere soggetti creatori e responsabili della storia. Su questa libertà risiede la speranza di cambiamento. Fr. Arturo Paoli diceva che c’è una sola alternativa: o contribuiamo a fare un’umanità accogliente, o rendiamo diabolica la nostra società. Non esiste neutralità, né il tirarsi fuori dalle situazioni. Essere coscienti della propria responsabilità, per il fatto solo di esistere e di esistere nella storia, questo è un passo fondamentale per le conseguenze che porta.

Cosa significa allora arrivare con tutto questo bagaglio di responsabilità nella comunità del Postulato?

Significa portare le proposte del Giubileo (Noi proponiamo) nella vita della comunità.

Significa continuare a vivere la “convivialità delle differenze” che abbiamo tentato di vivere come Carovana.

Significa continuare a fondare il nostro essere comunità in un Dio vivo e schierato con i poveri e gli oppressi, operatore di giustizia, resistente al “marchio della bestia” perché riunita intorno all’Agnello.

Significa non tradire mai la forza evangelica della fame e sete di giustizia e di verità, vivendo il quotidiano con criticità e libertà.

Significa curare e coltivare la speranza e la gioia che mi sono state donate, andando al cuore del Vangelo per portare nella mia vita la rivoluzione evangelica e attraverso la mia vita testimoniare e contagiare chi incontro, perché un giorno anche di me si possa dire “beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore”.

 

È solo utopia?

La Carovana continua.

Pace a voi!

 

Elianna

 

LA PACE: CAMMINO E DONO DI UN INCONTRO.

 

Esprimo la sintesi della mia riflessione sulla parola ebraica salom con queste parole:

 

“ Il desiderio di Dio è inscritto nel cuore dell’uomo, perché l’uomo è stato creato da Dio e per Dio; e Dio non cessa di attirare a sé l’uomo e soltanto in Dio l’uomo troverà la verità e la felicità che cerca senza posa: “La ragione più alta della dignità dell’uomo consiste nella sua vocazione alla comunione con Dio. Fin dal suo nascere l’uomo è invitato al dialogo con Dio: non esiste, infatti, se non perché, creato per amore da Dio, da lui sempre per amore è conservato, né vive pienamente secondo verità se non lo riconosce liberamente e non si affida al suo Creatore” ( Conc. Vat. II, Cost. Past: Gaudium et spes, 19 ).

 

Questa è la vocazione, a cui Dio chiama ogni uomo e ogni donna: la pace, che è quell’ innato desiderio di felicità di origine divina che Dio ha messo nel cuore dell’uomo per attirarlo a sé e che Lui solo può colmare.

La pace è dono di Dio, senso di pienezza di vita, gioia, che viene dal rispondere a questa vocazione, al progetto di vita che Dio ha affidato all’uomo.

Gesù ha vissuto pienamente, ha incarnato fino in fondo la volontà di Dio, perché Lo ha conosciuto, sperimentando sempre più profondamente e intensamente il Suo amore, fin da quando, molto piccolo, riposava fra le braccia di sua Madre: “a poco a poco, lasciandosi condurre dai suoi impulsi intimi e teneri verso suo Padre, Gesù riesce a sentire sempre più chiaramente qualcosa di inconfondibile: che Dio è come un padre molto caro, che il padre non è timore, bensì amore; non è giustizia, ma misericordia; che il primo comandamento non consiste nell’amare il Padre, ma nel lasciarsi amare da lui. L’intimità tra Gesù e il Padre continua ad approfondirsi, andando sempre più lontano. E quando la fiducia di Gesù verso suo Padre superò frontiere e verifiche, un giorno dalla bocca di Gesù uscì la parola più commossa e intima: Abbà, caro papà ! Questo è il programma che Gesù propone agli uomini. Qui sta la rivoluzione, la novità profonda e radicale del Vangelo. Gesù è il suo Figlio amato. Noi siamo i suoi figli amati”. (Ignacio Larranaga, Sali con me).

 

L’Amore è radice dell’affidamento e della scelta libera, consapevole, voluta della consegna di se stessi, a Dio e ai fratelli, come Gesù.

Gesù è IL Figlio di Dio, colui che ha incarnato pienamente, compiutamente il disegno del Padre per l’uomo, con un Amore totale, “fino alla fine” ( Gv 13, 1), al dono di tutta la sua vita, di tutto se stesso, sulla Croce.

Gesù è Parola fatta carne:

“Sacrificio e offerta non gradisci,

gli orecchi mi hai aperto.

non hai chiesto olocausto e vittima per la colpa.

Allora ho detto: “Ecco, io vengo.

Sul rotolo del libro di me è scritto,

che io faccia il tuo volere.

Mio Dio, questo io desidero,

la tua legge è nel profondo del mio cuore”.  (Sal 40, 7-9).

 

Gesù ci ha indicato, con tutta la sua vita, qual è la via della pace: La pace è cammino.

“La pace richiede lotta, sofferenza, tenacia. Esige alti costi di incomprensione e di sacrificio. Rifiuta la tentazione del godimento. Non tollera atteggiamenti sedentari. Non annulla la conflittualità. Non ha molto da spartire con la banale “vita pacifica”. Non elide i contrasti. Postula la radicale disponibilità a “perder la pace” per poterla raggiungere. Dal deserto del digiuno e della tentazione fino al monte Calvario (salvo una piccola sosta sulla cima del Tabor), la pace passa attraverso tutte le strade scoscese della Quaresima. E quando arriva ai primi tornanti del Calvario, non cerca deviazioni di comodo, ma vi si inerpica fino alla croce. Sì, la pace, prima che traguardo, è cammino. E per giunta, cammino in salita. Vuol dire, allora, che ha le sue tabelle di marcia e i suoi ritmi. I suoi percorsi preferenziali e i suoi tempi tecnici. I suoi rallentamenti e le sue accelerazioni. Forse anche le sue soste”.

 

“La pace è conquista, cammino, impegno. Ma sarebbe un brutto guaio se qualcuno pensasse che essa sia semplicemente il frutto dei nostri sforzi umani o il risultato del nostro volontarismo titanico o una merce elaborata nelle nostre cancellerie diplomatiche o un prodotto costruito nei nostri cantieri popolari.

LA PACE E’ SOPRATTUTTO DONO CHE VIENE DALL’ALTO. E’ la strenna pasquale che Gesù ha fatto alla terra” (Antonio Bello, Alla finestra la speranza).

 

Ascoltiamo le parole di Giovanni Paolo II, ai rappresentanti delle varie religioni del mondo, pronunciate in occasione della giornata di preghiera per la pace nel mondo, ad Assisi il 24 gennaio 2002:

“Se la pace è dono di Dio e ha in Lui la sua sorgente, dove è possibile cercarla e come possiamo costruirla se non in un rapporto intimo e profondo con Lui? Edificare la pace nell’ordine, nella giustizia e nella libertà richiede, pertanto, l’impegno prioritario della preghiera, che è apertura, ascolto, dialogo e ultimamente unione con Dio, fonte originaria della vera pace. Pregare non significa evadere dalla storia e dai problemi che essa presenta. Al contrario, è scegliere di affrontare la realtà non da soli, ma con la forza che viene dall’Alto, la forza della verità e dell’amore, la cui ultima sorgente è in Dio. L’uomo religioso, di fronte alle insidie del male, sa di poter contare su Dio, assoluta volontà di Bene; sa di poterlo pregare per ottenere il coraggio di affrontare le difficoltà, anche le più dure, con personale responsabilità, senza cedere a fatalismi o a reazioni impulsive”.

 

Ecco allora l’invito a cercare il Signore, che annunzia la pace per il suo popolo, per i suoi fedeli, per chi ritorna a Lui con tutto il cuore, in un cammino che si compie completamente dentro di sé, andando e scavando fino ad incontrare colui che è la nostra pace.

“Domandate pace per Gerusalemme:

sia pace a coloro che ti amano,

sia pace sulle tue mura

sicurezza nei tuoi baluardi.

Per i miei fratelli e i miei amici

io dirò: “Su di te sia pace!”

Per la casa del Signore nostro Dio,

 chiederò per te il bene” (Sal 122, 6-9).

 

Gesù, attraverso una forte preghiera e una lotta faticosissima, si consegna totalmente al Padre, nella PACE.

Ho personalmente notato le espressioni di Gesù, nel dramma del Getsemani e del Calvario. Ora, mi chiedo con forza, come è stato possibile una compresenza di due dimensioni apparentemente inconciliabili fra loro, di sentimenti così contrapposti ? Umanamente, questo è impossibile. Nel momento più alto della Croce, c’è stato un potente intervento della grazia di Dio, che i Vangeli rivelano. Il Padre ha donato all’uomo Gesù la forza di consegnarsi a Lui e all’umanità e il dono più grande: LA SUA PACE.

 

Tutti gli evangelisti evidenziano la lotta di Gesù:

Nel dramma del Getsemani: “Giunsero intanto a un podere chiamato Getsemani, ed egli disse ai suoi discepoli: “Sedetevi qui, mentre io prego”. Prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e cominciò a sentire paura e angoscia. Gesù disse: “La mia anima è triste fino alla morte”. ... Poi, andato un po' innanzi, si gettò a terra e pregava che, se fosse possibile, passasse da lui quell’ora. E diceva: “Abbà, Padre ! Tutto è possibile a te, allontana da me questo calice ! Però non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu”.

(Mt 14, 32-36).

 

“L’anima mia è turbata e che devo dire ? Padre, salvami da quest’ora ? Ma per questo sono giunto a quest’ora! Padre, glorifica il tuo nome!” ( Gv 12, 27-28 ).

 

Sulla Croce, il grido di Gesù: “ Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato ?” (Mc 15, 34), il vuoto, il profondo e lacerante senso di solitudine, la sofferenza atroce della sua anima per la gravità del peccato, dolore abissale, il grido innocente diventano spazio di perdono, misericordia, affidamento totale di sé al Padre, Pace, Amore fino alla fine, che risponde all’odio dei persecutori, pregando per loro: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno” ( Lc 23, 34 ), “In verità ti dico, oggi sarai con me nel Paradiso” (Lc, 23, 43), “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito” ( Lc 23, 46 ), “ Tutto è compiuto !” ( Gv 19, 30).

 

NELLA CROCE, “GIÀ RILUCE IL VOLTO GLORIOSO DEL RISORTO”: L’ORA DELLA CROCE, NELL’ASPETTO PIÙ PARADOSSALE DEL SUO MISTERO, RIVELA LA PROFONDA VOLONTÀ DI AMORE E DI VITA DEL PADRE PER TUTTA L’UMANITÀ.

 

Il Volto della SINDONE mette in luce questo profondo stato del cuore.

 

Solo dopo queste affermazioni sorprendenti, inimmaginabili, umanamente impossibili, Gesù china il capo e spira. E’ adesso che il centurione  esclama: “ Veramente quest’uomo era Figlio di Dio !” ( Mc 15, 39).

Il tempo dell’attesa è quello spazio in cui la persona esprime la fede, la fiducia, il suo affidamento al Padre, nella certezza del Dio vicino, vivo nella storia, che, in Gesù Crocifisso e Risorto, condivide oggi l’esperienza, tutta la vita dell’uomo, è tempo in cui tenere viva la speranza, per il compimento delle promesse di Dio.

 

Dio solo dona la pace vera al cuore dell’uomo, frutto di un incontro tra il cuore travagliato, assetato dell’uomo e il Cristo, centro, fondamento, pietra angolare di ogni riconciliazione.

Il frutto della pace, che abbiamo sperimentato nella nostra vita, è dono di Dio, vivente, risorto: a ognuno di noi, l’urgente responsabilità di farla giungere a tutti.

 

Il perdono, la misericordia, l’accoglienza, la pace diventano allora, per la mentalità dispersa, frammentata, convulsa del mondo di oggi, segni di contraddizione, di rottura, la più efficace testimonianza che Gesù è il Cristo, Figlio del Dio vivente, il Bel Pastore, che cerca le sue pecore e ne ha cura (Gv 10, 11).

 

“ESSERE PACE” è stato l’invito per ciascuno di noi di P. Francesco Antonini, al convegno di Bologna.

 

Federica

LA PACE

“Ma a voi che ascoltate, io dico: Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano. A chi ti percuote sulla guancia, porgi anche l’altra; a chi ti leva il mantello, non rifiutare la tunica. Da’ chiunche ti chiede; e a chi prende del tuo, non richiederlo. Ciò che volete gli uomini facciona voi, anche voi fatelo a loro. Se amate quelli che vi amano, che merito ne avrete? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se fate del bene a coloro che vi fanno del bene, che merito ne avrete? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, che merito ne avrete? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e il vostro premio sarà grande e sarete figli dell’Altissimo; perché egli è benevolo verso gl’ingrati e i malvagi.” (Lc 6,27-38)

 

TESTIMONI DI PACE:
RIGOBERTA MENCHU’

 

A) Ragioni principali della mia scelta:

-Donna;

-Indigena;

-Premio Nobel della pace, anno 1992

-Portavoce degli indigeni del Guatemala e della situazione di ingiustizia dell’America Latina, e successivamente voce delle donne oppresse nel mondo.

-La sua vita parla di pace, non tanto con le parole ma con la sua propria scelta personale di lavorare per la pace e la giustizia; preferisce non sposarsi e non avere una famiglia per poter donarsi tutta a questa opzione: “Non sono padrona della mia vita, ho deciso di offrirla per una causa”. ”Mi possono ammazzare in qualsiasi momento, purché sia a causa di qualcosa per cui so che il mio sangue non sarà inutile, ma sarà anzi di esempio per gli altri compagni.”

B) BREVI DATI BIOGRAFICI:

Ho scelto alcuni momenti importanti della sua vita per poter comprendere la sua lotta.

·      E’ nata in Guatemala: A San Miguel Uspatàn, paese del dipartimento del Quichè.

·      A otto anni comincia a lavorare come bracciante agricola per aiutare sua madre. Raccoglieva caffè nella finca (piantagione) insieme a sua madre oppure si prendeva cura del suo fratellino, perché sua madre doveva portarlo sulla schiena. Per questo lavoro non é pagata. Lo sarà a 12 anni. Qui vive la brutta esperienza del sistema di sfruttamento dei contadini.

·      Due dei suoi fratellini morirono nella finca: il primo intossicato perché si faceva la fumigazione del caffè mentre i contadini stavano lavorando. Il secondo, a solo 2 anni, morì di fame e la madre non si poteva occupare di lui perché poteva perdere il suo lavoro.

·      Una sua cara amica fu assassinata perché non voleva essere l’amante del figlio del padrone della finca. Questi la mandò ad assassinare a colpi di machete: 25 pezzi.

·      Suo padre  morì nella occupazione pacifica dell’ambasciata spagnola in Guatemala. Avevano come unico fine la denuncia della situazione d’ingiustizia in Guatemala nell’opinione pubblica internazionale.

·      Suo fratello fu torturato e ucciso a 16 anni, insieme a molti altri giovani del suo paese, perché le loro famiglie erano accusate di essere comuniste.

·      Anche sua madre fu sequestrata e uccisa. Prima fu violentata dagli alti capi militari. Si racconta tutto quello che è successo perché Rigoberta ha tutti i dati delle torture. Poi il suo corpo fu abbandonato per essere mangiato degli animali.

·      Anche lei è perseguitata, vive nella clandestinità, anche nascosta in un  monastero dove le monache non la trattano bene; a un certo punto deve abbandonare il suo paese natale e rifugiarsi in Mexico.

C) atti che sono stati simboli di denuncia pacifica della ingiustizia.

In principio, bisogna segnalare il pacifismo innato di questo popolo indigeno in generale. Quando cominciano a insegnare ai bambini come comportarsi quando viene il nemico, cioè, i soldati, devono inventare questo termine perché nella loro cultura non ci sono i nemici, perché nella loro comunità tutti sono eguali e tutti devono aiutarsi e scambiarsi quel poco che hanno.

 

A causa dei continui attacchi degli eserciti, si parla di una autodifesa con armi popolari come il machete, le pietre, l’acqua bollente, il chili, il sale...però dice che avevano “ il bisogno di cercare metodi nuovi e al tempo stesso qualcosa su cui basarsi, per non finire col fare qualcosa che, magari ci piace, però non sappiamo perché la stiamo facendo. Cosi’ la nostra arma principale, il testo su cui ci basiamo, è diventata la BIBBIA.” La Bibbia è diventata lo strumento principale di formazione della comunità.

All’inizio parla della giusta violenza per poter conseguire il necessario per vivere...prendendo come modello le figure più importanti dell‘Antico Testamento: Mosè, Davide, Giuditta...perché collegavano gli aspetti della Bibbia con i loro antenati, che avevano sofferto anche la tortura e la morte.

“Essere cristiano vuol dire pensare ai fratelli che stanno soffrendo, fare in modo che la nostra gente abbia da mangiare.” “Il Regno esisterà solo quando tutti avremo da mangiare, quando i nostri figli, i nostri fratelli, i nostri genitori non dovranno più morire di fame o di denutrizione. Questo sarebbe la Gloria.”

·      “Anche se le torture e i sequestri avevano colpito duramente il popolo, non per questo si doveva perdere la speranza di un cambiamento”.

 

-I soldati andavano nella comunità per violentare e rubare e loro decisero di lottare. La prima volta che avevano catturato un soldato di quelli che andavano alla loro comunità per disturbare, tutte le madri della comunità gli chiesero di portare una buona novella ai soldati fra cui sarebbe andato: Poiché anche loro erano indigeni, che pensassero un po’ ai loro antenati. Parlarono con lui perché si rendesse conto di quello che stava facendo contro il suo popolo. Il soldato rimasse colpito dal messaggio. Poi lo lasciarono andare via per poter comunicare agli altri quello che aveva imparato. L’esercito non ritornò più.

-Rigoberta cominciò ad andare alle comunità per aiutarle a organizzarsi. Andò in una comunità dove c’erano due ragazze ammalate e due incinta per la violenzia dei soldati. Una notte un soldato cadde in una trappola. Queste ragazze parlarono con lui e gli raccontarono la loro storia...il soldato cominciò a piangere. Gli avevano comandato di lottare, e se non avesse obbedito, sarebbe stato ammazzato. Fu preso nel suo paese e gli dissero di ammazzare tutti i comunisti di Cuba e dalla Russia. Il soldato decise di non ritornare all’esercito.

·      “Mi affezionai molto ai compagni meticci e cominciammo a discutere insieme. Quando per la prima volta segnalai un errore di un compagno meticcio, mi sentivo mancare le forze, perché mai in vita mia avevo criticato un meticcio.”

- Senza sapere leggere e neanche scrivere, decise di imparare il castigliano per poter comunicare meglio. In Guatemala ci sono 23 lingue e il fatto di non capire i propri connazionali aiuta la situazione di ingiustizia del paese. Le insegna la lingua un meticcio, di sangue indigeno e spagnolo. Di solito i meticci erano nemici, però lei si rende conto che questa divisione tra indigeni e meticci era voluta per dividere il Guatemala. Lei impara ad amare anche questa etnia.

-In questo momento comincia a comprendere che per fare giustizia fino all’ultimo dei suoi antenati c’è bisogno di un dialogo reciproco: “Solo così si possono correggere tutte le cose”. Comincia a comprendere i suoi compagni meticci e, anche, loro cominciano a comprendere gli indigeni. Comincia un dialogo per discernere quale era la radice principale della sua povertà:

_ IL POSSESSO DELLA TERRA. Tutte le grandi ricchezze erano nella mani di pochi.

_ LA MANCANZA D’INFORMAZIONE: Gli indigeni non conoscevano la lingua e molte volte erano ingannati.

-Si rende conto che nella sua vita si era allontanata da questa gente. Con la Parola arrivano a intendersi., Per tutta la vita aveva pensato che gli indiani erano inferiori. Il fatto di camminare a fianco di un meticcio le fa prendere coscienza della mancanza d’autostima come popolo. (RIGENERAZIONE).

·      Tutta la comunità si coinvolge nella rivendicazione sociale.

Nel giorno dell’indipendenza nazionale andarono al Congresso della Repubblica. Si unirono molti gruppi indigeni, i sindicati, i contadini e gli studenti.

Il capo della manifestazione, uno dei suoi fratelli, cominciò a parlare e i soldati alzarono il loro fucile. A questo punto una delle sue sorelline arrivò con un fiore bianco in mano. (Gli indigeni raccolgono i fiori solo se c’è un bisogno o qualcosa di importante. I manifestanti sollevano mazzi di fiori per simbolizare che chiedevano il rispetto per la vita e una soluzione del problema al tempo stesso). La sua sorellina passò davanti al fucile puntato e gli si parò di fronte con il suo fiore: non ebbero più il coraggio di mitragliare il fratello.

·      “Ho scoperto che dobbiamo sviluppare la guerra rivoluzionaria, come popolo dobbiamo lottare per un cambiamento, amo il lavoro con le masse, pur con tutti i rischi che bisogna correre”

 

-Dopo l’esilio in Mexico, le sue sorelle avevano fatto la scelta della lotta armata però lei comincia a lavorare nei Cristiani Rivoluzionari Vicente Menchù, “perché come cristiana devo lavorare con le masse”. Il suo compito era occuparsi della formazione in senso cristiano, dei compagni cristiani che, a partire dalla loro fede, stavano nell’organizzazione. “Sono una catechista che cammina sulla terra, che crede nella esitenza del regno di Dio sulla terra, non dopo la morte.” Questo  pensiero deriva dalla sua esperienza di vita.

-Siamo arrivati a importanti conclusioni riflettendo sulla Bibbia con i compagni. La Bibbia è stata usata, di solito, per indurre ad accettare la situazione, anziché’ per portare la luce alle gente povera.

“Lavoro dei cristiani rivoluzionari è condannare e denunciare le ingiustizie che si commettono contro il popolo. Criticare anche l’atteggiamento della gerarchia ecclesiastica che molto spesso si tiene per mano con il regime. Quelli che si chiamano cristiani molte volte davanti alle sofferenze del popolo restano MUTI e SORDI. C’è anche una Chiesa dei poveri in Guatemala che ha le stesse condizioni dei popoli, che fa causa con essi.”

 

Laura

LA PACE:

come interiorizzare questo valore.

La mia riflessione parte dal versetto di Gv 14,27: “...Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore...”

Questa semplice frase di Gesù ai suoi discepoli, durante l’ultima cena dopo che Giuda era uscito per tradirlo, mette in evidenza due tipi di Pace: quella del mondo e la Sua. Quest’ultima è un Suo dono e come tale noi cristiani dovremmo considerarle. Nel momento in cui c’è un dono, deve esserci un ricevente che abbia l’atteggiamento di: accoglienza, di gratitudine e riconoscenza. Inoltre ci deve essere anche desiderio di ricevere questo dono e anche la necessità di richiederlo. Ed ecco che la Preghiera è la fonte dove chiedere e ricevere. Ma è il luogo dove crescere nell’intimità con il Signore, nella Sua conoscenza e nel conformare la nostra volontà alla Sua; lo stesso apostolo Paolo dichiara: “.....Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto...” (Rm 12,2). Da queste poche considerazioni, penso che essere operatori, costruttori di Pace voglia dire vivere in prima persona la Pace del Signore, accoglierla, riconoscerla come dono; e solo allora essere a nostra volta donatori di Pace per il fratello che ci è vicino, sapendo che “..Gratuitamente abbiamo ricevuto e gratuitamente doniamo...”.  Concludo la breve riflessione riportando il testo della “Preghiera Semplice” di San Francesco che esprime e racchiude questo grande dono.

Oh! Signore, fa di me uno strumento

Della tua Pace:

Dove è odio, fa ch’io porti l’Amore.

Dove è offesa, ch’io porti il Perdono.

Dove è discordia, ch’io porti l’Unione.

Dove è dubbio, ch’io porti la Fede.

Dove è errore, ch’io porti Verità.

Dove è disperazione, ch’io porti la Speranza.

Dove è Tristezza, ch’io porti la Gioia.

Dove sono le tenebre, ch’io porti la Luce.

Oh! Maestro, fa ch’io non cerchi tanto:

Ad essere consolato, quanto a Consolare.

Ad essere compreso, quanto a Comprendere.

Ad essere amato, quanto ad Amare.

Poiché:

è Dando, che si riceve

Perdonando, che si è perdonati

Morendo, che si risuscita a Vita Eterna.

 

Maria