Michea: pratica la giustizia, ama teneramente...

 

Michea, profeta in Giudea nell’ultimo scorcio dell’ottavo secolo, proviene da una famiglia contadina, impoverita e oppressa, che viveva nel piccolo villaggio di Muresheth, a sud-est di Gerusalemme.

È stata proprio quest’esperienza di oppressione e di miseria che lo hanno portato a maturare quella sua passione per la giustizia sociale. Michea è la voce del contadino spremuto come un limone dal potere vorace dello stato monarchico di Gerusalemme. Michea parla dal “basso” e vede nell’apparato monarchico e nell’élite… (nobili, preti) la replica dell’apparato imperiale faraonico da cui il Signore aveva liberato il suo popolo.

Michea con il suo occhio penetrante di contadino sfruttato coglie molto bene il sistema e con parole di fuoco stigmatizza la grave ingiustizia sancita dal cosiddetto ordine costituito (legge e ordine!). “Guai a coloro che meditano l’iniquità e tramano il male sui loro giacigli, alla luce dell’alba lo compiono perché in mano loro è il potere. Sono avidi di campi e li usurpano, di case e se le prendono” (2,1-2). E con raro coraggio attacca la leadership di Gerusalemme.

“Ascoltate, capi di Gerusalemme, voi governanti della casa d’Israele: non spetta forse a voi conoscere la giustizia? Nemici del bene, amanti del male, voi strappate ai poveri la pelle di dosso e la carne dalle ossa” (3,1-2).

Michea riassume il suo attacco al sistema politico-economico imperante a Gerusalemme in un testo che è ormai un classico (6,1-8), il cui epilogo riassume il nocciolo del profetismo ebraico. Il brano è costruito come un’arringa che il Signore lancia contro Israele e tutta l’umanità. “Ascoltate, o monti, il processo del Signore… perché il Signore è in lite con il suo popolo…” Israele è convocato in tribunale. I monti sono i testimoni, il Signore è il pubblico ministero: “Popolo mio che cosa ti ho fatto? Forse perché ti ho fatto uscire dall’Egitto, ti ho riscattato dalla casa di schiavitù…? Ricordati di quello che è avvenuto”.

Il Signore non si appella a codici scritti, ma alla memoria (“Ricordati, Israele!”). Il popolo ha dimenticato il gran sogno di Dio: un’economia di uguaglianza che richiede una politica di giustizia che sottende la fede in un Dio che è il Dio degli oppressi. Israele, la grande accusata, si chiede quante migliaia di montoni ci vorranno per riparare il suo peccato. “Come si può pensare di comperare il Signore così?”, si chiede il biblista Bruggemann nel libretto To act justly, love tenderly, walk humbly a cui mi sono ispirato per questa riflessione. Lo può fare solo se ha soppresso la memoria dell’Esodo. Allora tutto può essere ridotto a cosa. Anche il proprio figlio può essere barattato, poiché nulla ha un valore intrinseco. Tutti i valori si perdono quando si dimentica. La storia fondante: la liberazione dall’Egitto. Questo obbliga il Signore a ripetere che quello che vuole è solo una cosa: “Uomo, ti è stato insegnato ciò che è buono e ciò che richiede il Signore da te: praticare la giustizia, amare teneramente, camminare umilmente con il tuo Dio” (6,8).

Qui troviamo espressi lapidariamente la domanda di giustizia di Amos, l’appello di Osea all’unione fedele che unisce il popolo dell’alleanza con Dio e l’invito di Isaia ad una fede serena camminando umilmente con Dio. Queste non sono tre cose da fare, ma tre esigenze vitali della fede nel Signore.

Amare teneramente (hesed in ebraico) significa entrare in relazione di solidarietà permanente. Significa compromettersi, pagare di persona. È praticare solidarietà come Dio la pratica. Per questo uno deve camminare umilmente con Dio. Anche il Signore cammina umilmente. La solidarietà (hesed) infatti è paziente, attenta, speranzosa… ma Dio ama la giustizia e per questo interviene a favore dei deboli, degli oppressi. Praticare la giustizia significa, come nel sogno di Dio, un’economia d’uguaglianza. La visione sociale di Israele era che ogni famiglia, ogni clan, ogni tribù avesse il suo giusto quoziente di potere, di beni… Questo significa una corretta divisione della terra, accesso alle decisioni pubbliche, giustizia in corte… Questo di Michea è tutto un programma profetico per cambiare il sistema!

Caro giovane, se tu vuoi impegnarti, se vuoi compromettere la tua vita per cambiare il sistema che sacrifica milioni di bimbi e di donne all’idolo del libero mercato, troverai in questa Parola il tuo programma perché vinca la Vita. Per fare questo ti viene chiesto di agire giustamente (con giustizia). Passione per la giustizia, passione di Dio! Dio non può accettare un mondo così ingiustamente costruito dove un miliardo di persone – a detta della Banca Mondiale – sono dichiarate inutili. “Il Dio degli Ebrei, il Dio dei Cristiani è per natura il Dio della giustizia”, scrive il domenicano J. D. Crossan. Se credi in questo Dio devi essere posseduto dalla passione per la giustizia. E questo significa che devi cambiare un mondo, un sistema. Ma per fare questo, giovane, devi sapere coniugare la passione per la giustizia con la compassione. “Dove c’è giustizia senza compassione, ci sarà rabbia, violenza e sangue. Sete per la giustizia senza la compassione produce assassini - dice ancora Crossan -. Ma anche la compassione, per quanto necessaria o profondamente umana, non può sostituirsi alla giustizia, al diritto di tutti a eguale dignità e integrità di vita”. L’impegno per la giustizia richiede oggi la scelta dell’amore, della compassione, della tenerezza (come Osea l’intendeva). E questo richiede anche la scelta radicale della nonviolenza attiva!

Per te, giovane, questa è una scelta necessaria se vuoi dirti cristiano e se vuoi che la Vita vinca. Ma questa passione per la giustizia coniugata con la com-passione è possibile solo se camminiamo umilmente con Dio. Questo camminare umilmente tenendoci aggrappati a lui, Unica Roccia.

Giovane, trovi qui l’agenda profetica per cambiare l’impero del denaro. Ma ricordati che “quelli che vivono di compassione sono spesso canonizzati – dice Crossan –, quelli che vivono di giustizia sono spesso crocifissi”.