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Siamo
Salvatore che dalla Sicilia tenta la fortuna in America
Tanja dall'Albania in Italia
Omar
dall'Afghanistan in Pakistan
Ma domani per Dio, domani saremo solo uomini, o non saremo!
Canto iniziale: San Francesco
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Non c'è Pace
senza Giustizia
Non c'è Giustizia senza Perdono
"Quest'anno
la Giornata Mondiale della Pace viene celebrata sullo sfondo
dei drammatici eventi dell'11 settembre scorso. In quel giorno,
fu perpetrato un crimine di terribile gravità: nel giro di pochi
minuti migliaia di persone innocenti, di varie provenienze etniche,
furono orrendamente massacrate. Da allora, la gente in tutto il
mondo ha sperimentato con intensità nuova la consapevolezza della
vulnerabilità personale ed ha cominciato a guardare al futuro con un
senso fino ad allora ignoto di intima paura."
(1)
(dal
messaggio
di Giovanni
Paolo II
per
la GIORNATA MONDIALE DELLA
PACE 1°
gennaio 2002)
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I miei occhi
grondano lacrime
Notte e giorno,
senza cessare
Da grande calamità
è stata colpita
la figlia del mio popolo
da una ferita mortale.
Se esco in aperta
campagna,
ecco i trafitti di spada;
se percorro la città,
ecco gli orrori della fame
Anche il profeta ed il sacerdote
si aggirano per il paese
e non sanno cosa fare.
Hai forse rigettato
completamente Giuda,
oppure ti sei disgustato di Sion?
Perché ci hai colpito,
e non c’è rimedio per noi?
Aspettavamo la pace,
ma non c’è alcun bene,
l’ora della salvezza ed ecco il terrore!
Riconosciamo la nostra iniquità,
Signore, l’iniquità dei nostri padri:
contro di te abbiamo peccato.
Ma per il tuo nome non abbandonarci,
non rendere spregevole il trono
della tua gloria. Ricordati!
Non rompere la tua alleanza con noi. |
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"Quanto è recentemente avvenuto, con i terribili fatti di
sangue appena ricordati, mi ha stimolato a riprendere una
riflessione che spesso sgorga dal profondo del mio cuore, al ricordo
di eventi storici che hanno segnato la mia vita, specialmente negli
anni della mia giovinezza.
Le
immani sofferenze dei popoli e dei singoli, tra i quali anche non
pochi miei amici e conoscenti, causate dai totalitarismi nazista e
comunista, hanno sempre interpellato il mio animo e stimolato la mia
preghiera. Molte volte mi sono soffermato a riflettere sulla
domanda: qual è la via che porta al pieno ristabilimento
dell'ordine morale e sociale così barbaramente violato? La
convinzione, a cui sono giunto ragionando e confrontandomi con la
Rivelazione biblica, è che non si ristabilisce appieno l'ordine
infranto, se non coniugando fra loro giustizia e perdono. I
pilastri della vera pace sono la giustizia e quella particolare
forma dell'amore che è il perdono." (2)
(dal
messaggio
di Giovanni
Paolo II
per
la GIORNATA MONDIALE DELLA
PACE 1°
gennaio 2002)
canto:
Todavia
Cantamos |
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Testimonianze
di Pace |
"Spostare la Lotta"
(costruzione della Giustizia)
tratto da H.Goss-Mayr, Come i nemici
diventano amici, EMI
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"Duro da... partorire!"
(il coraggio del Perdono)
scritto di Efrem Tresoldi tratto da Ormegiovani
di Ottobre 2001 |
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"Spostare la
Lotta"
(costruzione della Giustizia)
… la popolazione del “barrio”
cominciò ad agire. Un centinaio di donne si unì per
soddisfare la sua esigenza più pressante: la fornitura di
acqua potabile. Per prima cosa, esse cercarono di dialogare
con l’amministrazione comunale, ma la distanza fra le donne
del quartiere povero ed il consiglio comunale era troppo
grande. Tutto si risolse in vuote promesse.
Allora esse tentarono di conquistare la
solidarietà delle donne benestanti, appellandosi alla loro
coscienza attraverso gesti che esprimessero la loro situazione
di povertà. Si unirono in gruppi di dieci donne ciascuno,
presero con sé i loro bambini più piccoli e scesero
nell’elegante piazza principale, dove un’imponente fontana
versava giorno e notte acqua limpida nella vasca. Il vento
spingeva l’acqua oltre il suo bordo, formando delle
pozzanghere sul terreno.
Il primo gruppo di donne si avvicinò
alla fontana e cominciò a lavare i bambini non nel catino, ma
nelle pozzanghere. Subito delle donne delle classi alte si
fermarono, parlando con le donne del “barrio”: «Sciocche,
i vostri bambini moriranno se li lavate nell’acqua sporca!».
Ora le donne potevano dare testimonianza della loro
situazione: della mancanza di acqua potabile, del rifiuto
delle autorità cittadine, della morte dei loro figli. Ma ecco
subito arrivare la polizia per cacciare le donne. Pochi minuti
dopo, un secondo gruppo, lo stesso gesto. Dialogo con un
maggior numero di benestanti, uno schieramento di polizia e la
minaccia di arresto. Dopo pochi minuti il terzo gruppo, il
gesto, un numero sempre più alto di donne della classe alta.
Un poliziotto si getta sulle donne povere col manganello. Una
signora lo trattiene: «Señor, se vostra moglie fosse in
questa situazione, non lottereste anche voi per l’acqua
potabile?».
La solidarietà era stata creata. L’azione delle donne
del “barrio” aveva trovato risonanza dove il cuore delle
donne è vulnerabile: là dove si tratta della vita e della
morte dei bambini. Esse avevano spostato la lotta sul terreno
della coscienza. Avevano fatto affidamento sul fatto che delle
donne benestanti, poste a confronto con la forza della verità,
sono in grado di aprire il loro cuore, che la loro
comprensione e la loro coscienza possono crescere ed
ampliarsi.
Nello stesso giorno venne formato un comitato che univa donne
di entrambe le classi sociali. Vennero intraprese trattative
con l’amministrazione cittadina. Ora che era stata superata
la disparità delle forze, il dialogo era divenuto possibile.
Gli uomini del “barrio” si offrirono
di posare gratuitamente i tubi dell’acqua: alcuni mesi dopo
l’acqua potabile sgorgava dai rubinetti sulla montagna. Un
primo, piccolo passo era stato compiuto. Le donne avevano
sperimentato la forza della nonviolenza e con essa erano
cresciute.
La loro lotta proseguì. La Chiesa però
rimase collegata ai potenti. Essa proibì a padre Gabriel il
lavoro “sovversivo” nel “barrio” e lo allontanò…
Oggi Meddelìn è il centro della mafia della droga!
tratto da H.Goss-Mayr, Come
i nemici diventano amici, EMI
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mottetto di Taizè: Nada te turbe
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"Duro da... partorire!"
(il coraggio del Perdono)
Come
si può perdonare chi ti ha distrutto la vita o tolto per sempre
una persona cara? Ascoltiamo la testimonianza di Michael Lapsley,
un militante anti-apartheid, che è rimasto senza mani e privato
della vista ad un occhio in seguito all’esplosione di una
lettera bomba inviatagli nel 1990 da agenti del regime razzista.
Michael oggi si è riconciliato con il suo passato.
“Sono una persona migliore – dice di sé. La mia storia, il
mio dolore, la mia tragedia personale sono stati riconosciuti,
accolti con rispetto e riverenza da molti in Sudafrica e da
altri in varie parti del mondo. Ed è stato attraverso
l’amore, il sostegno
e la preghiera di tante persone che Dio ha saputo trasformare la
lettera bomba che mi ha dilaniato in un evento di
redenzione nella mia vita”.
Michael è un
sacerdote anglicano ed ha scoperto una missione nuova nella
sua vita: aiutare altri
che hanno subito violenza, traumi e ingiustizie a ritrovare la
pace dentro di loro. Dirige un’organizzazione chiamata Healing
of Memories (Guarire la memoria) e da tempo conduce
infaticabilmente seminari un po’ ovunque in Sudafrica e
all’estero per permettere alle persone di raccontare la loro
storia, in un’atmosfera di fiducia e rispetto.
“E’ nell’esperienza di sentirsi ascoltati, di vedere
riconosciuta la propria storia di dolore e di sentirsi dire che
ciò che ti è capitato è un torto commesso nei tuoi confronti,
che una persona comincia
a compiere il primo passo verso la guarigione e la ricostruzione
della propria esistenza”.
E
il perdono? Padre Michael non è nuovo a questa domanda che
sovente gli viene rivolta dai suoi interlocutori. “Per ora non
rientra nel mio orizzonte. Non conosco il nome del mio
attentatore perché nessuno finora ha rivendicato la paternità
del gesto criminale.
Non capisco come si faccia a perdonare in astratto.
Ma se quest’oggi qualcuno suonasse alla mia porta di
casa e dicesse: ‘Sono io quello che ti ha inviato la bomba, ti
chiedo di perdonarmi’, gli porrei prima una domanda: ‘Fai
ancora lettere bomba?’. Se la risposta è no sarei felice di
dirgli che lo perdono. E se mi dice che lavora, ad esempio, in
un ospedale preferirei che continuasse a svolgere il suo
servizio a favore degli ammaliati piuttosto che finire dietro le
sbarre. Chiederei
infine al mio attentatore di aiutarmi con il salario che prende
a pagare la persona che mi assiste, dal momento che non sono più
autosufficiente”.
Esamino
attentamente le parole di padre Michael e le confronto con una
definizione di perdono: ‘Perdono è il superamento di pulsioni
negative: rabbia, odio, risentimento, desiderio di vendetta. E
avviene quando ad esse subentrano emozioni positive:
compassione, benevolenza, e anche amore ‘. Qualcun altro lo ha
definito così: ‘Il perdono si realizza quando la vittima non
nutre più dentro di sé risentimento o odio verso chi le ha
fatto del male e sperimenta nei suoi confronti un certo grado di
fiducia ’. Senza voler forzare il significato della
testimonianza di padre Michael mi appare chiaro che nelle sue
parole sono già presenti gli
elementi necessari
al perdono e che volendo, implicitamente,
conoscere il volto del suo attentatore desidera poter
ristabilire finalmente una nuova relazione con lui.
Esperienze
come quelle di padre Michael
insegnano che non ci sono scorciatoie sulla via del
perdono e che perdonare è un cammino lungo, molto faticoso e
doloroso. Ma è l’unico percorso certo che porta alla
liberazione del male e impedisce alle vittime di inaridirsi e
morire dentro.
scritto di Efrem Tresoldi
tratto da Ormegiovani di Ottobre 2001 |
"Il perdono infatti comporta sempre
un'apparente perdita a breve termine, mentre assicura un
guadagno reale a lungo termine. La violenza è l'esatto opposto:
opta per un guadagno a scadenza ravvicinata, ma prepara a
distanza una perdita reale e permanente. Il perdono potrebbe
sembrare una debolezza; in realtà, sia per essere concesso che
per essere accettato, suppone una grande forza spirituale e un
coraggio morale a tutta prova. Lungi dallo sminuire la persona,
il perdono la conduce ad una umanità più piena e più ricca,
capace di riflettere in sé un raggio dello splendore del
Creatore." (10)
(dal
messaggio
di Giovanni
Paolo II
per
la GIORNATA
MONDIALE DELLA PACE
1°
gennaio 2002)
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"Pregare
per la pace significa pregare per la giustizia, per un adeguato
ordinamento all'interno delle Nazioni e nelle relazioni fra di
loro. Vuol dire anche pregare per la libertà, specialmente per
la libertà religiosa, che è un diritto fondamentale umano e
civile di ogni individuo. Pregare per la pace significa pregare
per ottenere il perdono di Dio e per crescere al tempo stesso
nel coraggio che è necessario a chi vuole a propria volta
perdonare le offese subite.
Per tutti questi motivi ho invitato i rappresentanti delle religioni
del mondo a venire ad Assisi, la città di san Francesco, il
prossimo 24 gennaio, a pregare per la pace. Vogliamo con ciò
mostrare che il genuino sentimento religioso è una sorgente
inesauribile di mutuo rispetto e di armonia tra i popoli: in
esso, anzi, risiede il principale antidoto contro la violenza ed
i conflitti. In questo tempo di grave preoccupazione, l'umana
famiglia ha bisogno di sentirsi ricordare le sicure ragioni
della nostra speranza. Proprio questo noi intendiamo proclamare
ad Assisi, pregando Dio Onnipotente — secondo la
suggestiva espressione attribuita allo stesso san Francesco — di
fare di noi uno strumento della sua pace." (14)
(dal
messaggio
di Giovanni
Paolo II
per
la GIORNATA
MONDIALE DELLA PACE
1°
gennaio 2002)
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|
Scambio della Pace |
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Consegna del Simbolo |
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Canto finale: Mani |
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Un Tempo di PACE! |
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