La Storia di Roner
articolo dal GIM di Venegono

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Roner è un catechista di 37 anni. È originario di Iquitos,  una cittadina persa nella selva amazzonica peruviana, raggiungibile sono in aereo. Da una ventina d’anni è emigrato a Lima in cerca di un futuro migliore ed in un certo senso l’ha conseguito: non economicamente, perché è poverissimo, ma ha trovato Rosa, una ragazza eccezionale, e con lei ha formato una famiglia impegnata e aperta, accogliente e generosa nonostante la miseria. Hanno tre bambini, tra i 13 ed i 7 anni.

 

Rosa e Roner vivono qui a Virgen de Lourdes da una decina d’anni. Come tutte le coppie hanno i loro alti e bassi, ma sono riusciti a risolvere i momenti di tensione con il dialogo e tanta pazienza reciproca. Fin dall’inizio del “comedor” parrocchiale (una specie di mensa autogestita dalle famiglie più bisognose) Rosa ne è stata socia attiva, animando e incoraggiando le signore nei momenti bui in cui sembrava non ci fosse più futuro. Roner ha lavorato fino a pochi mesi fa nella minuscola associazione senza fini di lucro di maglieria e confezione della Parrocchia, unico uomo fra tante donne e, per questo, spesso si è lasciato “sfruttare” dalle altre signore per i lavori pesanti. Insieme, lui e Rosa, negli ultimi 5 anni sono stati catechisti per gruppi di adulti: insomma, in poche parole, una coppia conosciuta e stimata nella comunità.

 

Ma forse dovrei dire che Roner “era” un catechista: un mese fa è morto di AIDS, probabilmente preso in una trasfusione per un’operazione a un rene 11 anni fa e scoperto solo quando era già in fase terminale.

 

Veramente era da luglio che non stava bene, ma per la sua malnutrizione cronica e le condizioni ambientali di questa zona, tutti, medico compreso, pensammo che quei sintomi ingannevoli fossero un tipo particolare di tubercolosi, malattia molto comune e “normale” da queste parti. Già in quel periodo, amici e vicini si unirono per aiutare: ricostituenti, antibiotici, ma anche riso-latte-zucchero-olio per evitare che il resto della famiglia si ammalasse, e tutto quello di cui i bambini potessero aver bisogno a scuola: Rosa da sola non ce la faceva a mandare avanti la famiglia ed accudire il “suo” malato. Vicine sue la mattina accompagnavano i bambini a scuola, altre li aiutavano a fare i compiti, una signora si era offerta volontaria per fare il bucato, così Rosa quando tornava a casa la sera dopo 16 ore di lavoro, poteva riposare e dedicarsi solo a Roner. 

 

A metà ottobre ebbe una crisi che, fra diarrea e vomito, lo disidratò tanto che lo portarono all’ospedale, e lì, dopo il primo esame, gli dissero subito che era AIDS. È una malattia tremenda, una delle più brutte, perché non dà nessuna speranza, ma accompagnando Roner e Rosa nel loro calvario mi sono accorta che non è lo stesso morire di AIDS nel “Nord” che nel “Sud” del mondo. Per i poveri non c’è nessuna possibilità di accesso ai retrovirus per il loro costo esorbitante, non esistono sovvenzioni e aiuti da parte dello Stato, e l’accompagnamento psicologico che sarebbe necessario per il malato e la sua famiglia è considerato un lusso.

 

E lì è riscattata, forte e vigorosa come non mai, la solidarietà incredibile e creativa dei più poveri: chi gli cucinava piatti tipici della sua terra per animarlo a mangiare un po’; chi dava ripetizione gratis ai bambini che, nel caos familiare, stavano peggiorando a scuola; chi inventava lotterie o organizzava piccole feste a pagamento per creare un po’ di fondi economici; chi si era preso l’impegno di comprare il pane per la famiglia tutti i giorni; chi tutte le settimane si univa per pagare una quota … della bara. Roner e Rosa non sono mai stati soli, né hanno avuto il tempo di sentirsi soli davanti a questa disgrazia: sempre c’era qualcuno visitando, animando, aiutando, e nessuno si presentava con le mani vuote.

 

Un giorno Roner, commosso, mi disse che in fondo questa malattia è stata una benedizione (!!!!!!), perché nonostante lui e Rosa non abbiano parenti da queste parti, ha scoperto quanta gente “è” la loro famiglia ed era contento perché sapeva che, per aiutare lui, si era riconciliata gente che non si parlava da anni. È morto sereno e cosciente; con una pace che non era “rassegnazione ad un destino crudele”, ma che è propria di chi era consapevole di essere arrivato alla fine di una tappa ed all’inizio di un’altra.

 

Adesso la gente, questa gente umile e misera, sta aiutando Rosa a riorganizzarsi la vita e a ricominciare da capo. Ecco, queste sono le due cose che a me sono rimaste da tutta questa triste storia: la serenità e la consapevolezza di Roner di fronte alla morte, e la solidarietà illimitata e concreta, fatta di pochissime parole ma ti tanti fatti, di questa gente umile e povera, che sa essere “compagna di viaggio” a chi, fra loro, soffre di più.  Non è questo, nonostante tutto, il Regno che viene?