ARTICOLO GIM KENYA 2000

 

Per rendere meno pesante il vostro passare su queste pagine penso di lasciarvi solo alcuni stralci di diario intervallati da brevi commenti.

 Il primo è per presentarmi e presentare l’esperienza.

Sono Carlo, un imprudente giovinotto di Tradate che quest’anno si è lasciato chiamare dal Signore a:

 1.        Andare in Kenya per un viaggio di 1 mese in visita a tre differenti missioni comboniane come prosequio di un cammino di discernimento vocazionale intrapreso lungo l’anno da 9 (e anche più viste le defezioni dell’ultimo minuto) fulgidi ragazzi-e dei vari Gim del Nord-Italia (molto più Nord-Est a dire il vero) accompagnati da Padre Daniele Moschetti, animatore missionario in quel di Padova e Triveneto compreso;

2.        Andare a Padova il 19 settembre ’00 per cominciare il postulato nei comboniani;

 Come noterete mi piace la sintesi…..dunque eravamo rimasti al viaggio…sì ecco, un viaggio che si è dimostrato al di fuori di ogni discussione e dubbio coinvolgente e sconvolgente nell’incontro con:

 1.        Me stesso

2.        L’africano

3.        L’Africa

 28 Luglio partenza da Malpensa……e come spesso ripeteva Padre Daniele (il comboniano più Kenyota dell’intero universo dopo gli altri) “un bel cinema!” oppure “il bello deve ancora venire!”

 “…credo che per la prima volta in vita mia ho avuto paura di partire…una strana sensazione di insofferenza a quello che sto per compiere mi ha agganciato lo stomaco, e il cuore ha cominciato a darmi scossoni…spero solo che questa paura non mi inibisca troppo e mi lasci le energie necessarie per “succhiare” da questa esperienza…”

 Ecco, l’ultima frase merita un premio perché è stata né più né meno il leit motif del viaggio. Cioè la paura di giocarmi per quello che sono mi ha inibito, mi sono sentito spesso senza energie, mi sono sentito succhiato da questa esperienza.

Ma procediamo con calma e non spaventatevi dei toni melodrammatici, sono vittima di un pessimismo che a casa ho avuto modo di riconsiderare per svelare ricchezze nascoste.

Arriviamo a Nairobi…..

 “sbarco svolto con indiscreta facilità e veloce tragitto su sgommante fuoristrada verso il centro di Nairobi dove siamo giunti a pernottare al Tumaini Center da tante sutrine accoglienti. Il posto è talmente bello da non sembrare africano. C’è  comodità (Tv, acqua calda, corrente….) insomma, non c’è stato ancora l’impatto con la cruda realtà!”

 Anche questa impressione si smonterà un poco lungo il mese. In queste righe si vede ancora un Carlo che crede forse che l’Africa è quella che si vede in televisione, quindi quella dei villaggi dove la gente fa la coda per prendere i viveri dell’ONU, o quella letta nei libri di Alex Zanotelli, quindi quella delle baraccopoli. Ecco, l’Africa è anche questo, ma non solo! Si perde di vista facilmente che l’Africa è un continente immenso e estremamente variegato, dove le contraddizioni stridono violentemente avvicinando pericolosamente povertà e ricchezza in un precario equilibrio di apparente normalità. E quello che io ho visto dopo quelle righe è stato solo ed esclusivamente Mogotio nella diocesi di Nakuru, Kitale, Lokori nel Turkana e Korogocho. Ma l’Africa è di più, il Kenya è di più!

 

I primi 4 giorni sono stati di incontri di presentazione sulla missione e sul Kenya, insomma tu ti siedi e uno parla! Ma nonostante ciò lo stomaco del Carlo continuava a produrre…

 “probabilmente dentro di me si sta muovendo tutto ciò che romanticamente ho amato (missionario radicale) e quelle diverse figure che sto incontrando (missionario reale) cercando di trovare il compromesso che sono io. Fratel Claudio ci ha invitato a far scendere le nostre riflessioni…noi parliamo già di impegno sociale, politico…ma i bisogni e le esigenze (primarie) sono altre! Molto più elementari e la Chiesa deve rispondere a quelle!

 Quanto è stato pesante liberarsi di quel “Io” con il quale facevo a gara a furia di confronti con chi incontravo. Pian piano scoprivo invece che il Signore nella sua poliedricità ci ama come siamo e non come vorremmo essere, e così ognuno trova la sua missione nella grande missione che è il sogno di Dio.

I primi giorni abbiamo un po’ giocato a fare i bravi gimmini con domande belle dense, un po’ smontate da una realtà più semplice e cruda.

 1 agosto, viaggio e trasbordo a Mogotio!

Ecco a voi subito un bell’episodio:

…il tutto è cominciato alla prima pausa di viaggio: panoramica sulla Rift Valley. Siamo stati assaliti dai Kikuyu (una delle tante tribù kenyote, famosa per la sua intraprendenza commerciale) che cercavano di venderci tutto l’impossibile. Mi sono sentito malissimo, perché ho fatto 6000 km e mi sono trovato a dire le stesse cose che dico agli extracomunitari fuori dell’università, unica differenza l’inglese al posto dell’italiano. La mia voglia di incontrare la gente si scontra con la realtà, cioè la gente è questa e io qua sono un musungu (termine kiswhaili per indicare il bianco) e vogliono i miei soldi, diammine preferirei l’indifferenza! “

 Eccolo qui l’incontro con l’africano. Un altro stereotipo da smontare, perché ogni volta incontravamo una persona differente, con un suo mondo culturale e sociale del tutto personale e originale. Troppo comodo pretendere di classificare tutti sotto un’unica egida.

Secondo commento sulle righe precedenti: scoprire di essere diverso fa male. Come si sente un extracomunitario in Italia?

Domanda dalle sfumate risposte….

 

2 Agosto: cominciano un sacco di visite tra la gente di Mogotio (parrocchia con 62 cappelle sparse qua e là !) accompagnati da Padre Mario Sala.

 

..sto andando a corrente alternata: momenti in cui sto al massimo: quando facciamo i canti con i bambini delle scuole e degli asili, quando andiamo a messa con la gente, quando siamo andati a visitare gli ammalati al villaggio, le 4 chiacchiere con Mario…;

e momenti in cui vorrei andare a casa subito: quando pranzi con la gente, le troppe formalità, quando non capisci niente della lingua….”

 

Un’osservazione che vale per sempre. In questo viaggio mi sono trovato spiazzato perché non avevo molti spazi per sfuggire alle situazioni indesiderate. E subito penso a quante ne abbiamo qui, nel nostro contesto.

Esempi?

Eccoli:

-          non vuoi incontrare una persona? Semplice: saluti frettolosamente dicendo che hai fretta e che al massimo ci si sente per telefono.

In Kenya non potevo  raccontare ‘ste frottole!

-          Una situazione sta diventando pesante e ti sei stufato? Prendi le chiavi della macchina, racconti che ti sei ricordato che devi portare tuo zio alla stazione e te ne vai con bella faccia.

 In Kenya non avevo una mia macchina, una mia casa, mio zio…mi dovevo adattare agli altri!

-          Non hai voglia di parlare? In Italia è abbastanza facile, stai zitto e stai sicuro che prima che qualcuno ti scocci hai già visto finire alla televisione Beverly Hills.

In Kenya la gente ti saluta, ti chiede come va (e incredibilmente va sempre bene anche se non c’ha uno scellino e tira la cinghia da mesi), ti chiede di presentarti di raccontargli dell’Italia, di cosa fai, sei sposato….e così via, vieni a cercarti anche in casa o ti fa entrare in casa sua offrendoti tutto quello che può permetterti di sentirti a tuo agio!

 E via di seguito………..

 7 Agosto; tappa a Kitale presso il “Blessed Bakita Center of Formation” dove seminaristi, maestri e catechisti del Sud Sudan vengono a studiare per un periodo di tempo e poi tornano in patria. Degli autentici eroi del quotidiano, gente che una volta a casa rischierà sulla propria pelle anche il solo professarsi cristiani.

Un breve ma intenso incontro con questi giovani che ci hanno “sommerso” con la loro presenza! La sacca di ognuno di noi si è riempita di indirizzi per tante corrispondenze!

 9 Agosto: Lokori desert of Turkana. Un popolo nomade che scompare a colpi di siccità, Coca-cola, progetti di Ong in stile neocapitalistico: l’Africa che concilia la tradizione con l’innovazione sembra essere stretta in una morsa soffocante!

Padre Franco Moretti ci ha incantato con alcune riflessioni, talvolta veramente prorompenti. Una di queste sembrava un “j’accuse” colorato da un po’ di rimorso verso un modo di fare missione che in alcuni posti ha creato (attenzione a questa bruttissima parola che noi italiani conosciamo benissimo) Assistenzialismo, e la Chiesa si è presentata con i segni del potere: soldi, salute, cibo e educazione. C’era una volta un Gesù di Nazareth che si rifiutò di tramutare i sassi in pane, di governare le nazioni, di convocare legioni di angeli…..

Le parole sono un universo di colori in cui ognuno ci mette la sua sfumatura, e la mia di fronte a queste riflessioni è :

attento Carlo, le tentazioni non scompaiono dietro un primo timido sì detto al Signore, si nascondono nelle pieghe della vita quotidiana, quando ti trovi a decidere se vale la pena dotare la tua missione di un’altra macchina, di sovvenzionare la scuola del villaggio….

 

E poi si è ritornati rocambolescamente a Nairobi, per gli altri 15 giorni, passati per la maggior parte a Korogocho ma non solo, abbiamo avuto la fortuna di incontrare i lavoratori della Del Monte a Tika (un esempio chiaro di come le campagne di resistenza e boicottaggio trovano senso e concrete realizzazioni di sostegno), i bambini malati di AIDS, le ragazze tolte dalla strada, i disabili ospitati dalle sorelle di Madre Teresa e poi i comboniani nelle diverse forme di espressione: padri, fratelli, sorelle già fatti o sotto costruzione (leggi scolasticato, juniorato, brother center, termini che spremuti significano preparazione seria, studiata e pregata per concretizzare la scelta comboniana).

Ma soprattutto è stato Korogocho.

Le pagine di diario si sono sfoltite in quei giorni fino a scomparire. Scomparire, sì, forse pensi che sarebbe meglio scomparire per non vedere che c’è veramente l’uomo a Korogocho. Non vorresti vedere che si può ridurre in quelle condizioni lì. Alcolizzato, affamato, depresso o violento, mezzo ammazzato dall’AIDS. Perché?

 

E poi però c’è il miracolo della vita che rinasce.

Rinasce nei bambini che fanno festa, nelle donne che con fatica ma dignità tirano avanti la famiglia, in quegli uomini che riescono a risollevarsi dalle macerie di se stessi e dalla immondizia che li circonda.

Padre Alex, Padre Antonio, Gino hanno scelto loro. I dimenticati dal mondo che a meno di un km spende  e spande milioni di scellini per ospitare wasungu (uomini bianchi come noi) in una bella piscina con idromassaggio al Safari Park Hotel. Perché? 

E poi c’eravamo noi. Noi che ci dibattevamo tra il nostro senso di inutilità e il nostro semplice riscoprirci uomini non per quello che facciamo o abbiamo ma per quanto facciamo risuonare in noi l’eco di un grido d’amore di un Dio che abbiamo dorato di buoni propositi ma infangato di tremende azioni contro nostro fratello. Perché?

 E poi c’ero io. Io che continuavo a voler stare lì a capire con tutta la pesantezza del mio essere, dimenticandomi degli altri e delle loro sofferenze. Perché?

 Liberaci Signore da noi stessi.

 Grazie Signore perché ci doni il sacramento del povero che ci ricorda quanto ancora dobbiamo camminare per amare come Tu ci hai amato.

                                                               Carlo