LA PARTENZA

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   La vita non è bella se non ti metti in gioco; se non paghi di prima persona”. E’ cominciato così l’incontro con Padre Daniele in partenza per l’Africa. Incontro che si è tenuto Domenica 7 ottobre in occasione dell’appuntamento mensile del GIM (Giovani Impegno Missionario) di Padova. Una folla di circa duecento persone gremite nell’aula della Casa Comboniana erano venute a salutare l'uomo che per tutti questi anni aveva vissuto con loro e che di lì a poco sarebbe partito per Korogocho in Kenya. Un saluto molto atteso vista l'intensità emotiva palpabile in sala. C'erano i Padri Mosè e Dario, animatori del GIM,; i postulanti della casa, i ragazzi del GIM che lo hanno conosciuto in questi cinque anni di GIM animati da lui e da Mosè, i nuovi ragazzi del GIM di quest'anno (vedi il sottoscritto) che lo hanno conosciuto per la prima volta in questa giornata e una buona parte dei vecchi compagni di viaggio. Un Padre Daniele imbarazzato di trovarsi al centro dell'attenzione di tutti. Come animatore lo era già stato, era la normalità, ma questa volta c'era qualcosa di diverso; questa volta c'era questo saluto..... la partenza: uno dei momenti più importanti della vita del missionario. D’altronde il partire ed il ripartire ancora è la vita del missionario.

   Ed è così che nella trepidante attesa Padre Daniele ha rivelato passo dopo passo le tappe della sua vita che lo hanno portato a fare questa scelta. Il tutto come a confermare la propria vocazione fin dalla nascita come uomo scelto da Dio per portare il suo vangelo agli ultimi e come esempio per quelli che verranno e che in quel momento erano ad ascoltarlo.

 

Terminati gli anni della scuola professionale inizia a lavorare, prima come apprendista e poi come impiegato in un'azienda. Inizia anche l'attività sindacale e ne sperimenta le conseguenze ricevendo la sua prima lettera di richiamo.

Ma ciò che gli preme di più è la carriera. Del resto anche in famiglia la pensano così: bisogna raggiungere una posizione! Daniele coltiva il desiderio di ritornare a scuola, ma deve partire per il militare. Col senno di poi avrebbe scelto il servizio civile ma con ciò non nega gli effetti positivi del servizio militare: cavarsela con le proprie forze ed il senso di cameratismo: quel fare le cose insieme.

Aveva smesso di andare in chiesa. Non sopportava l’ostentazione di donne impellicciate alla messa e quel parlarsi alle spalle anche appena usciti dalla chiesa. Si trattava di un’ipocrisia che sviliva tutto lo spirito evangelico. E così la sua vita continuava come quella di tanti altri fra lavoro, amici, famiglia, divertimenti, discoteche ecc. Il desiderio dello studio finalizzato ad una carriera gli rodeva dentro e così si iscrive alla scuola serale di ragioneria. Nel frattempo diviene anche capo ufficio ed il mantenimento di lavoro e studio diventa pesante, ma qui impara una lezione che gli servirà anche nel futuro; impara che nella vita ci vuole sacrificio per riuscire.

La nuova posizione non lo soddisfa. Il proseguimento degli studi, la carriera, la discoteca ed il divertimento non erano abbastanza per lui e questo lo portava a disperarsi, un disperazione che a volte lo trascinava anche alle lacrime perché come dice lui: “non era possibile che la vita fosse tutta lì!” La vita doveva avere un senso più profondo.

   A scuola conosce Lorena, quella che in seguito sarebbe diventata la sua ragazza. Grazie a lei avviene un distacco dalla compagnia di sempre ed un nuovo desiderio di impegno sociale. Inizia l’attività con Manitese “contro la fame cambia la vita” era uno slogan di quei tempi. Attraverso l’associazione partecipa ad un campo di lavoro ad Andria con Don Vito Miracapillo ed i tossicodipendenti. Questo prete veniva dal Brasile, era un amico di dom Helder Camara. In quel tempo le persone indesiderate nel Brasile le facevano fuori, e quando andava bene le espellevano dal paese. E’ il caso di Don Vito Miracapillo che il giorno della partenza, all’aeroporto, sorprendentemente si ritrovò una gran folla di uomini e donne venuti a salutarlo. La cosa colpì profondamente Daniele ma commosse ancora di più il prete perché quella folla, nel momento in cui egli saliva la scaletta dell’aereo, si sdraiò sulla pista di partenza in segno di protesta.

Tornato a casa dal campo Daniele apre un’attività di gruppo nella sua zona per Manitese. Aveva compiuto una significativo cambiamento di vita. Un gesto che ancora oggi lo sorprende per la facilità con cui è stato fatto, è stata la vendita della sua lancia Prisma (auto alla moda in quei tempi, per comprare la quale aveva fatto una testa enorme ai genitori) ed il cambio con una macchina molto meno pretenziosa.

Il gruppo di Manitese si allarga: Dai cinque membri iniziali si passa ai quaranta. L’attività di volontariato gli prende molto tempo e ne soffre l’ultimo anno di ragioneria che diventa pesantissimo da affrontare. Non gli interessava neanche più prendere quel pezzo di carta per la sua…. mah! carriera? Anche quella…. Col senno di poi dice che per fortuna c’era Lorena. (quante volte l’ha ringraziata nel ricordarla!) Fu provvidenziale in quel momento il suo stimolo nel fargli terminare gli studi.

   Daniele, però, si accorge che il “fare”, il “darsi da fare per qualcosa” non era abbastanza per lui, serviva fino ad un certo punto. E così arriva la crisi. Torna in chiesa ma non trova “nessuno con cui condividere ciò che sentiva dentro, una cosa penosa” dice. Ricercava il profondo e così gli viene il desiderio di andare in Africa. Ce l’aveva da tempo, ma non aveva mai pensato di realizzarlo sul serio. La crisi investe anche la sfera sentimentale e quindi chiede a Lorena del tempo per capire. Iniziano con la promessa di lasciarsi per un mese, ma poi la cosa continua.

E qui comincia la nuova storia perché come spesso le cose sembra avvengano per caso in realtà sotto sotto ci lavora Qualcuno che la sa lunga. Daniele decide di partire per l’Africa casualmente con i Comboniani che aveva conosciuto attraverso Manitese. Parla con Padre Enea che però gli dice di preparasi per questo viaggio formandosi al cammino GIM. Gli piaceva quel GIM, erano in otto, ma finalmente aveva modo di condividere quelle cose personali che non aveva avuto modo di condividere mai con nessuno. Aveva trovato altri che erano alla ricerca di qualcosa come lui.

Nel primo viaggio in Africa sperimentò un campo di lavoro per la costruzione di una chiesa nel villaggio locale; oggi commenta:“ bella e dura la vita povera”.

Al momento della partenza per il rientro in patria sente che in Africa ci sarebbe tornato. Stava già vivendo i valori evangelici, ma il cammino GIM non era ancora finito; doveva essere completato con il discernimento spirituale, il confronto con gli altri compagni, e la lettura della propria storia attraverso gli occhi della fede. Il cammino lo porta a scegliere il postulato nei Comboniani. Il suo percorso continua a Firenze, luogo in cui si consuma la crisi più dura che abbia mai affrontato. Daniele parla di quei dieci giorni come di un periodo difficilissimo, attanagliato da dubbi atroci che ruotavano sulla consapevolezza della sua scelta. Egli stesso dice: “Non capivo se ero io che avevo scelto liberamente o se era la mia testa che se lo era imposto”. Voleva andarsene, ma il suo formatore gli disse: “Vai. Però… se non torni non avrai lasciato che Dio lavori dentro di te”. Lui se ne andò a casa. Il richiamo profondo però non lo lasciava stare: “sentii che dovevo farlo, dovevo tornare. Ho rischiato e sono tornato”. Da lì in poi è andata tutta in crescendo. Memore di quell’esperienza a noi oggi dice: “Se qualcosa ti fa sentire vivo dentro lo devi seguire, ti devi muovere”.

 

Questa è la storia che ci ha raccontato Padre Daniele, la sua storia, e dobbiamo dire che ci ha tenuti incollati alla sua bocca, con le orecchie tese per sentire ogni minima descrizione. Molti applausi e non sprecati e poi le domande dei presenti in sala che gli chiedevano della sua esperienza futura; di questa sua partenza per Korogocho (la baraccopoli in cui andrà a sostituire Padre Alex Zanotelli che rientrerà in Italia), del motivo di tale scelta e via dicendo. Ora, per non stare a scrivere fiumi di parole, ritengo che delle risposte date, quella più significativa e che mi sembra riassumerle tutte ve la debba lasciare qua come finale: “Osare il futuro è con le persone concrete, non con i grandi del passato, ma con i grandi di oggi”.

 

 

                        Michele Zappoli (Bologna)