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Chiamati a sporcarci le mani

Campo estivo a Licata

Diario di bordo dei giovani del campi

 
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Venerdì 15 luglio ’05 

La nostra avventura a Licata non è cominciata certo con le mani sporche, visto che per prima cosa, in mattinata ci siamo goduti il bel mare siculo. Tornati alla “Base” siamo stati raggiunti dagli ultimi membri del gruppo: Filippo e Tony, due siciliani DOC e Padre Alex, originario del Trentino, che hanno unito con la loro presenza, come un ponte l’Italia già rappresentata in tutte le sue regioni. (non a caso Filippo appartiene all’associazione “Un ponte per..”).

Nel tardo pomeriggio, verso le 17:00, abbiamo incontrato due giornaliste del giornale “La Campana” e uno de “Il giornale di Sicilia” in una conferenza stampa indetta per presentare il campo, noi partecipanti e soprattutto il progetto “spezzare le catene”.

Tale progetto, seguito dal comboniano padre Gaspare e dai membri del centro “Tre P” (Centro Padre Pino Puglisi), si propone di creare una comunità alternativa al carcere, attraverso il lavoro nei campi e la vita comune.

L’incontro con la comunità è avvenuto durante la Messa vespertina celebrata da Padre Alex; durante l’offertorio abbiamo portato all’altare tre oggetti simboli degli obiettivi del campo: una zappa, che rappresenta il nostro impegno a sporcarci le mani concretamente attraverso il lavoro nei campi; la terra che lavoreremo a fianco della cooperativa “San Daniele Comboni”,nel progetti “spezziamo le catene”; e la Bibbia, che illuminerà questi dieci giorni attraverso le catechesi sulle chiamate dei profeti, da Mosè a Gesù.

Attraverso semplici gesti, Padre Alex è riuscito a coinvolgere la parrocchia di San Salvatore di Licata, che si è mostrata accogliente e generosa nei nostri confronti.

Dobbiamo sottolineare che il campo ci aiuterà a cimentarci anche nei servizi più semplici e ordinari, dal lavaggio-piatti , alla pulizia bagni e stanze fino ad arrivare all’animazione liturgica, non siamo specialisti, ma ce la metteremo tutta, dopotutto è solo questione di disponibilità e organizzazione.

A fine serata si aggiunta a noi Rosella, da Voghera (MI) e Giuseppe, uno dei ragazzi con i quali condivideremo questi giorni, giusto in tempo per gustare la buonissima cena preparataci da Assunta e Suor Massimina, i nostri angeli del focolare.

In questa cornice di condivisione e amicizia, abbiamo concluso la giornata con un salmo di ringraziamento al Signore. 

Sabato 16 luglio ’05

 Potremmo riassumere la giornata di oggi con una sola parola: fuoco.

Dopo un risveglio un po’ assonnato (alzata alle 06:00!), siamo partiti con entusiasmo e voglia di lavorare alla volta della contrada Stretto ( U strittu!), dove si trova la serra di 1500 mq colma di pomodori che da lunedì raccoglieremo.

Nel frattempo, per renderci utili, abbiamo svolto “compiti alternativi”; siamo stati divisi in due gruppi: il primo doveva ripulire dalle pietre due vasconi per il deposito dell’acqua, il secondo invece ha fatto… terra bruciata! Il suo compito, infatti, consisteva nel preparare dei “stagliafocu”, barriere che in caso d’incendio bloccano l’avanzata delle fiamme. Ciò che non era stato calcolato era l’accensione anticipata di un “rogo controllato” (non da parte di noi campisti).

Morale della favola: due colline bruciate, venti pompieri improvvisati e obiettivi pressoché falliti.

Di natura ben diversa il fuoco incontrato nel pomeriggio: il “rovo ardente” della chiamata di Mosè.

Dopo una presentazione del ruolo dei profeti all’interno della storia svolta di Padre Alex, è seguita la catechesi preparata da Padre Gaspare su Mosè, figura principale dell’Esodo.

La cosa che più ci ha colpito di questa figura è la sua capacità di entrare in una realtà di oppressione e schiavitù, come quella del popolo di Israele in Egitto, di cominciare un cammino con i più deboli per andare oltre e realizzare così il sogno che Dio ha per ogni popolo che soffre.  

Per meglio interiorizzare, attualizzare e condividere la Parola, dopo una mezzora di deserto, ci siamo divisi in quattro gruppi da tre per scambiarci le nostre emozioni, riflessioni e, perché no, anche preoccupazioni.

Ogni gruppo ha messo in evidenza un particolare che più l’aveva colpito e lo ha riassunto in un simbolo:

  • La Bibbia, il Corano e gli altri testi sacri, e il crocefisso rappresentano rispettivamente: la continuità della Parola di Dio nei tempi, le diverse manifestazioni di Dio per il mondo e il nostro voler essere imitatori di Cristo.
  • Il fuoco visto come fonte di vita, ma che, se usato senza criterio, può trasformarsi in uno strumento pericoloso (ce ne siamo resi conto stamattina!), al pari delle Sacre scritture, che necessitano di una contestualizzazione storica, sociale e culturale, per non cadere nei vari fondamentalismi.
  • Il deserto che rappresenta la paura dell’ignoto, ma allo stesso tempo il viaggio necessario per raggiungere la terra promessa; da qui nasce l’esigenza di fidarsi di Dio, anche i suoi progetti ci paiono incomprensibili.
  • Noi stessi, senza veli o maschere, ma semplicemente nella dignità di figli di Dio.

Ci siamo anche interrogati su quali siano i nostri “faraoni”, che opprimono la nostra vita e non ci permettono di realizzare il sogno che il Signore ha per noi. L’egoismo che abita in ognuno di noi, l’indifferenza che ci rende ciechi ai bisogni degli ultimi del mondo, il sistema di mercato nel quale vige la legge del più forte e che esclude l’idea di un’economia di uguaglianza e una politica di giustizia , questi sono i faraoni di oggi che rendono sordo il mondo alle continue chiamate di Dio.

La serata è continuata sulla spiaggia del Golfo di Licata che si è trasformata in una grande Chiesa viva per la celebrazione eucaristica.

Non c’è niente di più bello che condividere i propri pensieri e lodare il Signore in piena contemplazione delle meraviglie del creato, in riva al mare e, perché no, dopo una bella nuotata, mangiando una fetta di anguria tutti insieme.

Domenica 17 luglio 2005

Una bella mattina di sole ci ha dato il buongiorno all’inizio di questa giornata, cominciata come al solito all’insegna dell’allegria, anche se ci avevano promesso una bella dormita che si è rivelata solo una misera mezz’ora di sonno in più!

Dopo un momento di preghiera e una buona colazione abbiamo cominciato subito con la catechesi, preparata questa volta da padre Alex.  Prima di affrontare il profeta di oggi, Samuele, abbiamo riflettuto su come la Bibbia va interpretata; infatti, mentre il popolo musulmano crede che il sacro testo del Corano sia stato scritto direttamente per mano di Allah e donato successivamente all’uomo ( si definisce, infatti “la gente del Libro”), noi cristiani invece crediamo che la Bibbia non sia solo un libro scritto che appartiene al passato, ma sia la stessa Parola vivente del Padre ( ci definiamo, infatti, il “popolo di Dio”).

Nella nostra lettura dobbiamo però tener presente che le nostre Sacre Scritture sono state scritte da uomini che nel corso dei millenni sono diventati strumento per annunciare il messaggio di Dio; ed è per questo che nasce l’esigenza di contestualizzare i testi che leggiamo. Tuttavia non è sufficiente inserire la Parola nel suo periodo storico e culturale, ma è altrettanto fondamentale considerare CHI legge la Bibbia e in che CIRCOSTANZE lo fa, lo stesso brano del Vangelo non può essere interpretato nella stessa maniera a seconda che ci si trovi in una villa di Roma o in una baraccopoli. E’ proprio nelle situazioni di sofferenza, di emarginazione e di oppressione che la Parola di Dio si fa più viva, i poveri infatti sono gli ascoltatori privilegiati del Verbo.

Un altro aspetto fondamentale che è stato messo in risalto è l’assoluta non violenza di Dio, il quale trascende il giudizio degli uomini e opera in maniere che a noi possono apparire misteriose e incomprensibili, ma Egli rimane costantemente presente nella vita di noi tutti come in quella del profeta Samuele.

Nel I libro di Samuele cap. 3, il popolo di Israele ci viene presentato avvolto dalla notte e dal sonno (“La parola del Signore era rara e le visioni non erano frequenti”) ma a vegliare, seppur ancora per poco, rimane accanto a lui, la lampada di Dio, che resta come punto di riferimento, testimone dell’instancabile presenza del Padre accanto ai suoi figli.

Ed è proprio in questo contesto che Dio chiama e stimola Samuele il quale risponde con un grande sentimento di disponibilità e fiducia, decidendo di farsi strumento nelle mani del Signore.

Per rinfrescarci le idee (e non solo!), prima di pranzo siamo andati “ammare”; alcuni intrepidi nuotatori, sfidando il gelo dell’acqua, hanno abbandonato la comodità della spiaggia, per inoltrarsi tra le onde a largo. Scherzando, dalla riva, gli hanno gridato che sembravamo dei clandestini cauti dai “barconi”; in realtà non c’è proprio nulla da scherzare, visto che il fenomeno dell’emigrazione è un problema diffuso e grave (solo oggi sono arrivati al porto di Licata circa 400 persone!). L’ex convento presso il quale stiamo ospita i minorenni e le donne gravide che arrivano in Italia dopo un tremendo viaggio, spesso in condizioni di salute precarie. Paradossalmente per tanta gente che arriva, ci sono tanti giovani del posto che lasciano la loro città immigrando al nord.

Nel pomeriggio Roberto, uno dei promotori del progetto “Spezzare le Catene” ci ha presentato la realtà di Licata, mettendo in evidenza la sua storia, i suoi problemi e le sue diverse anime.

Qui, come del resto un po’ in tutta la Sicilia, la mano della mafia si stende ovunque, e dove non colpisce con la violenza (a Licata, infatti, non ci sono né scontri, né delitti, né attività illegali apparenti, poiché vi risiedono molti capi mafiosi), lo fa con il mantenimento di una mentalità che confonde diritti e favori, facendo apparire come piacere personale ciò che in realtà dovrebbe essere un atto dovuto. Si viene a creare, in questo modo, un vero e proprio Stato mafioso nello stato italiano, che generando spesso paura e indifferenza, porta all’abbandono e all’isolamento di quelle famiglie che da tale fenomeno vengono direttamente colpite. (Nell’agosto del 2004, un ragazzo viene ritrovato carbonizzato in un capannone abbandonato; la famiglia è abbandonata a se stessa nel momento del dolore).

Nel ’93, dopo la morte di Padre Pino Puglisi, viene fondato il centro “Tre P”, nato dall’esigenza di un gruppo di volontari di impegnarsi a favore della collettività, concentrandosi in un primo momento sul settore giovanile e sulla marginalità causata dalla tossico dipendenza. Nel '94 nasce perciò il centro d’ascolto per tutti quei giovani che sono entrati nel tunnel della droga (solo del territorio di Licata alla fine degli anni ’80 vengono registrati più di 1500 giovani eroinomani!).

Il centro “Tre P” in collaborazione con la cooperativa “San Daniele Comboni” e la CGIL ha, inoltre, dato il via al progetto “Spezzare le catene”, che si pone come obiettivo lo spezzare la necessità di dipendere sempre da qualcuno, attraverso il lavoro.

La sera ci siamo spostati a Torre di Goffe, dove con circa 300 persone del luogo abbiamo celebrato la messa. Stremati dall’intensa giornata siamo tornati “a casa”, mentre Tony e Rosella e Alex, eroici, sono andati ad Agrigento per presentare il campo.

 

Lunedì 18 luglio 2005

Dopo esserci improvvisati pompieri e “spaccapietre”, oggi siamo diventati: le donne, provette agricoltori, mentre gli uomini dei bravi “stagnini”. La mattinata, infatti, è trascorsa come al solito faticando e lavorando, sporcandoci le mani (nel senso letterario del termine) più di quanto pensavamo.

Finalmente siamo riusciti a portare a termine i compiti di ieri: la vasca è stata pulita e l’erbaccia bruciata, stavolta senza danni!

Dopo pranzo abbiamo condiviso insieme le riflessioni di…ieri (ve lo avevamo detto che eravamo stanchi), prima di cominciare il “programma odierno”.

La catechesi avvenuta nel pomeriggio ci ha portati alla conoscenza del profeta Amos. Vissuto nell’8° secolo, in un Israele opulenta e all’apice, Amos denuncia un sistema che vede una minoranza di persone (il re, i mercanti, e persino i sacerdoti) arricchirsi sempre di più alle spalle di una moltitudine di poveri. Quasi 3000 anni dopo la situazione non è cambiata, dato che il 20% della popolazione totale consuma l’80% delle risorse mondiali.

Nella sua spiegazione delle scritture, Sr. Tarcisia ha messo in risalto il vero significato della parola povero nella Bibbia; il termine ebraico è anawin che significa: “coloro che si afferrano a Dio e non si fanno incatenare da nessuna schiavitù”. Attualizzando tale concetto, durante le riflessioni personali e di gruppo è emerso che oggi nel nostro sistema il vero povero è colui che si allontana da Dio, ma spesso si sbaglia, considerando come tale solo chi economicamente e materialmente ha poco.

La sera, dopo la messa, ci siamo recati a Ravanusa ospiti di padre Emanuele Casola; abbiamo partecipato ad una fiaccolata contro il movimento mafioso; spunto per una sensibilizzazione e una riflessione più profonda sul ruolo che tale sistema svolge all’interno del nostro Sistema, è stato uno spezzone del film “Misteri di stato” sulla strage avvenuta a Portella della Ginestra, il primo Maggio ’47 in provincia di Palermo.

Dopo la fine del film, padre Alex ha fatto partecipe parte della cittadina sui vari problemi che affliggono la nostra società, sui pericoli che incombono sull’umanità e sul ruolo attivo che noi dobbiamo avere e mantenere per garantirci un futuro.

Dobbiamo infine ringraziare padre Emanuele e i suoi parrocchiani per l’ospitalità, la piacevole serata e, soprattutto, per lo squisito buffet.

 

Martedì 19 luglio 2005

La giornata è cominciata come comincia ogni giorno: con una sveglia all’alba! La mattina ci siamo recati alla Contrada Stretto dove abbiamo iniziato subito a sporcarci le mani: alcuni hanno lavorato all’interno della serra a raccogliere pomodori che successivamente sono stati selezionati e smistati nelle cassette destinate alla vendita; altri invece si sono dedicati al trasporto di tubature destinate all’irrigazione dei campi che verranno collegate dalla vasca del centro sino al fiume più vicino.

Stanchi, sporchi e affamati, siamo tornati alla base giusto in tempo per l’ottimo pranzo a base di pesce.

Nel pomeriggio, all’incirca verso le 15.30, ci siamo recati nella cappella per la catechesi di padre Alex sul profeta Osea, il quale è vissuto nello stesso periodo di Amos; leggendo il testo di Osea si è percepita una similitudine tra l’amore che il profeta (curnutu!!) aveva per la moglie e quello che Dio aveva per il popolo di Israele. Nonostante il tradimento Dio è capace di ritentare il matrimonio (proprio come Osea): “Io li seminerò di nuovo per me nel paese e amerò Non-Amata; e a Non-mio-popolo dirò: Popolo Mio, ed egli mi dirà: Mio Dio” (Os. 2, 25).

Ci ha colpiti la tenerezza e l’amore che Dio prova per noi, un’umanità che spesso lo dimentica e a cui ha donato una casa meravigliosa e ricca, la Terra, che stiamo distruggendo; la sfida per il nostro futuro, perché ci sia un Futuro, è il credere e l’agire perché il matrimonio con il Dio della vita possa rifiorire.

Dopo cena abbiamo avuto come ospite molto gradito Ida Abate la professoressa del giudice Livatino. Conosciuto come il giudice ragazzino, quest’uomo di grande onestà e rettitudine ha lottato con tutte le sue forze contro il sistema mafioso, senza mai scendere a compromessi, credendo fermamente nel suo lavoro e nel suo compito. La sua storia è entrata subito nei nostri cuori, grazie anche alla visione del film “Il giudice ragazzino” liberamente ispirato all’omonimo libro di Nando Dalla Chiesa; filo trascinante della storia è la solitudine di quest’uomo.