Di ritorno dal Kenya...

Siamo tornati da pochi giorni dal Kenya dove abbiamo trascorso un mese, ma adesso mi sembra di essere stata via un anno, perché è stato un mese molto intenso, soprattutto ricchissimo di incontri con persone, situazioni, luoghi che hanno continuamente messo in discussione la nostra vita di privilegiati nel Nord del mondo.

Voglio provare a raccontare alcuni di questi incontri, anche se non è facile esprimere in poche parole delle realtà spesso inimmaginabili.

Mentre eravamo a Mogotio siamo andati con p.Mario a visitare un villaggio in un posto sperduto, fatto di pochissime capanne dove un papà ci ha chiesto un momento di preghiera sulla tomba del suo bambino di otto anni ,morto qualche giorno prima; qui ho avuto la sensazione che la morte di un bambino per malattia venisse accettata come un evento quasi abituale, visto che lì è “normale” che un bambino possa morire a causa di qualche malattia nei primi anni di vita; tante volte nelle nostre case arrivano dai mezzi di comunicazione dati statistici sulla mortalità infantile nel Sud del mondo e tante volte queste morti restano per noi solo numeri..., mentre è la realtà di tanti popoli, la realtà di persone per cui la morte di un bambino è una cosa quasi abituale.

Un altro giorno,  abbiamo vissuto una via crucis reale, incarnata nella storia, andando a visitare gli ammalati in un villaggio Turkana: abbiamo incontrato il Crocifisso in una ragazzina malata di mente, in un giovane distrutto dall’ AIDS, in una donna paralizzata dalla malattia; abbiamo incontrato questa donna che stava seduta nella polvere davanti alla sua capanna e abbiamo pregato con lei, e lei ha ringraziato Dio per averci mandati lì, perché considerava una grande benedizione che noi fossimo andati a trovarla; questa donna ci ha donato la sua fede in un Dio sempre vicino e la sua gioia di incontrarci: non posso dimenticare la gioia che esprimeva mentre mi abbracciava quando ci siamo salutati.

Poi Korogocho; la polvere, le fogne, la puzza, le baracche di lamiera ammassate le une alle altre, i mucchi di immondizia abbandonati ovunque, la discarica...; in mezzo a tutto questo abbiamo incontrato giovani che stanno morendo di AIDS, ragazze abbandonate con i loro bambini, talmente disperate da arrivare anche al suicidio, uomini distrutti dall’ alcool, bambine costrette a fare da mamme ai fratellini più piccoli...l’elenco delle situazioni disumane potrebbe essere ancora molto lungo; anche qui voglio raccontare in particolare un incontro: sono andata con p.Alex a visitare una ragazza malata di AIDS, ormai in fase terminale, che stava soffrendo moltissimo a causa della malattia e nessuna medicina riusciva più a farla stare un po’ meglio, e noi eravamo li a non poter fare niente  , se non esserci e pregare con lei quando ce l’ha chiesto; ho chiesto ad Alex se non si poteva portarla in ospedale e lui mi ha spiegato che c’era già stata tante volte e, ormai nelle sue condizioni , l’avrebbero buttata in una stanza senza alcuna assistenza, perché così finiscono i poveri quando si ammalano; almeno a casa aveva la mamma che la assisteva.

Prima di fare questa esperienza in Africa avevo sempre letto e sentito molte cose riguardo le condizioni di vita dei poveri, degli oppressi nel Sud del mondo, avevo letto di Korogocho...ma quando mi sono trovata in mezzo a vedere e toccare queste realtà ho fatto fatica a credere che possano esistere davvero situazioni così, perché quando le notizie diventano volti non si può più cambiare canale o girarsi dall’altra parte, i volti di tanti fratelli e sorelle ti costringono a

a leggere nei loro occhi la sofferenza e ad ascoltare il loro grido.

La cosa che colpisce in mezzo a tanta morte è che, comunque, si respira vita, gioia, nonostante tutto, la gioia che si esprime nei giochi dei bambini sulle strade, nell’accoglienza calorosa riservata agli ospiti, nelle celebrazioni ricche di canti e danze, o nelle preghiere di ringraziamento; durante le celebrazioni nelle baracche degli ammalati, le loro preghiere spontanee iniziano sempre con “asante Baba”, grazie papà: tante volte mi sono chiesta dove trovino la forza per ringraziare!

Abbiamo visto anche tanti segni di speranza, segni concreti che dicono che la realizzazione del “SOGNO  di DIO” non è solo utopia: le piccole comunità cristiane di Korogocho e le cooperative di lavoro che permettono a tante persone di ritrovare la propria dignità uscendo dall’alcolismo, dalla prostituzione, dalla delinquenza; o, ancora, le scuole a Mogotio, dove tanti bambini e ragazzi possono cominciare a prepararsi un futuro.

Abbiamo incontrato la voglia di reagire, di lottare per la giustizia contro un sistema che opprime: a Tica abbiamo incontrato i sindacalisti della Del Monte, impegnati a difendere i diritti dei lavoratori , e, a Nairobi gli appartenenti al Pamoja Trust ,che lotta per il diritto alla terra, in un paese in cui per il governo le baraccopoli non esistono e il terreno occupato dalle baracche risulta libero e disabitato, così migliaia di persone sono considerate inesistenti.

P. Daniele ci ha spesso ricordato che tutto ciò che abbiamo visto in questo viaggio non è solo un piccolo angolino del mondo, non è l’eccezione, perché la maggior parte dell’umanità vive in queste condizioni, siamo noi i pochi privilegiati; allora la vera sfida per noi viene adesso, dopo il viaggio..., anche noi qui, dobbiamo lottare e resistere perché nella nostra vita non torni più tutto come prima...IL BELLO DEVE ANCORA VENIRE.

Buon cammino a tutti !!           

                                                 Sara.