L'esperienza di Trento

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CAMPO DI TRENTO

 OLTRE IL CARCERE

 Sono qui, di fronte al video del computer, ad un solo giorno dalla fine del campo, per cercare di tirare le somme dell'esperienza fatta con i volontari e i ragazzi dell'APAS. La sensazione che Padre Stefano mi abbia "mollato una sola" (come direbbe Mauro) chiedendomi questa riflessione è piuttosto forte. L' A.P.A.S è una associazione che lavora nella realtà del carcere, sia al suo interno sia dando supporto a persone appena uscite dal carcere o che ancora stanno scontando la loro pena con misure alternative come la detenzione domiciliare, o che comunque sono in regime di semilibertà (escono dal carcere per una parte della giornata ma poi rientrano). Essenzialmente l'associazione cerca di essere un punto di riferimento per quanti si trovano a dover affrontare il "rientro" nella società e si trovano senza una "rete" di relazioni che possa accoglierli e supportarli. Per questo l'associazione oltre ad offrire contatti e servizi all'interno della struttura carceraria ha a sua disposizione degli alloggi per offrire accoglienza a persone che abbiano bisogno di appoggio per ottenere gli arresti domiciliari o la detenzione domiciliare, ma soprattutto ha un laboratorio in cui si dà lavoro a queste persone. La nostra attività è stata principalmente all'interno di questo laboratorio dove abbiamo dato una mano nel lavoro che stava svolgendo in questo periodo, cioè appiccicare le etichette su delle scatole di cartone per una famosa ditta di articoli da regalo. È difficile per me fare un bilancio dell'esperienza, che probabilmente ha aperto più domande che fornire delle risposte. Le nostre mattinate erano scandite più dal lavoro che andava fatto che non dalle chiacchiere con chi lavorava con noi. Ho forse misurato la distanza che può esserci tra percorsi di vita diversi e quanto possa essere difficile in certi casi stabilire una comunicazione. Ma le parole scambiate con gli operatori (Roberto, PierGiorgio ed Italo) mi hanno fatto capire quanta difficoltà ci possa essere in certi casi a vivere. Senza fare del facile pietismo. La realtà di queste persone che vengono in contatto con l'APAS è quasi sempre quella di persone con delle fragilità molto forti. Chi ha una "rete" sociale (positiva o negativa) alle spalle non ha bisogno di supporti esterni, gli bastano quelli che ha già. E comunque fornire un supporto non significa automaticamente portare una persona ad emanciparsi. Italo (il direttore) diceva che se non c'è qualcosa che scatta all'interno della persona che la spinge ad emanciparsi anche il miglior progetto di reinserimento è destinato a fallire. Una cosa mi ha colpito profondamente dell'attività all'APAS, il fatto che le persone sono guardate nelle loro difficoltà e non attraverso il reato che hanno commesso. A noi non è quasi mai stato detto cosa aveva commesso ognuno e per quali ragioni fosse finito in carcere. Ho trovato questo molto positivo perché ha subito sgombrato il campo da falsi pregiudizi. Un altro input importante è venuto dal lavoro. Ripetitivo, semplice ai limiti del banale e quasi alienante. Tutta la mattina ad attaccare etichette, facendo attenzione solo a mettere quella in tedesco in un posto e quella in italiano nell'altro. Poi parlando con gli operatori ho scoperto che anche loro all'inizio avevano dei dubbi su questo genere di lavori, ma hanno imparato che a volte queste persone hanno bisogno di recuperare fiducia in se stessi e lavori di questo genere possono essere uno stimolo importante in questa direzione, oltre ad essere una maniera per reinserirsi nel contesto sociale imparando a rispettare orari e regole. E quando il lavoro viene a noia anche a loro probabilmente vuol dire che sono pronti a fare un altro passo. Abbiamo anche avuto modo di avere qualche squarcio sulle dinamiche interne al carcere andando a visitare due persone che si trovavano agli arresti domiciliari. Ed ho colto una realtà aliena rispetto al mondo esterno fatta di mancanza di cose da fare lungo tutta la giornata, di norme rigide per ottenere qualsiasi cosa ("fai il permessino se vuoi ottenere questo o quello") e di un silenzio riempito di vuoto. E di lacrime. E forse ho intravisto il segno che gli operatori e i volontari dell'APAS lanciano. È il segno della misericordia che esige che le persone siano sempre trattate con dignità. Con giustizia, perché le vittime dei reati esigono giustizia, ma senza dimenticarsi la dignità di queste persone. Che tra l'altro è sancita anche dalla Costituzione e non solo dal Vangelo. E comincio a pensare che magari Padre Stefano non mi ha mollato poi questa gran "sola", ma mi ha fatto il regalo di costringermi a pensare ed andare oltre le emozioni del momento per impastare un po' i mattoni con costruire la mia casa. Grazie Bakanja (e anche Fernando ed Enza e Bruna e tutti gli amici del campo).

Simone T.


AMATA DA CROCEFISSI VIVENTI

 

29 luglio - 9 agosto 2001.....queste sono state senz’ombra di dubbio alcune delle giornate più belle, più provocanti, più intense della mia vita, che certamente, per tutto quello che mi hanno donato, ....saranno anche indimenticabili!!

Se dovessi raccontarvi anche solo i momenti più belli delle singole giornate come la catechesi, il tempo lasciato alla preghiera e alla meditazione personale, la condivisione a gruppi, la celebrazione eucaristica arricchita dalle varie condivisioni, le testimonianze e tanti altri momenti...probabilmente l’intero giornalino non basterebbe!

Così mi limiterò a parlarvi di quella che è stata la mia esperienza di servizio del mattino..... .

Tutto è iniziato così: p. Fernando durante l’assegnazione dei vari gruppi nei quali prestare servizio chiede due persone da affiancare a Tiziana, novizia comboniana, per recarsi a «Casa Serena», un centro A.N.F.F.A.S. (Associazione Nazionale Famiglie Fanciulli Adulti Subnormali) nel quale vengono ospitati ragazzi, adulti e bambini con gravi malformazioni fisiche e con seri problemi psichici. Forse più attratta dal nome che dalla descrizione del nostro incarico ecco comparire il mio nome tra gli «eletti» di «Casa Serena» accanto a quello di Michela, la terza collega.

Lunedì mattina primo giorno di lavoro!

Dopo il breve tragitto verso la nostra meta, l’attesa per il colloquio con il direttore, la spiegazione pratica del nostro incarico ecco che a poco a poco, con la visita nei vari reparti, abbiamo iniziato ad aprire l’immenso pacco regalo che il Signore aveva preparato per noi tre.

Ad essere sinceri, l’involucro di questo grande dono non era dei migliori, anzi...l’impatto è stato molto duro : quello che si presentava ai nostri occhi era l’immagine di tanti crocifissi viventi, nella maggior parte dei casi anche incapaci di comunicare. Con il trascorrere delle ore grazie alla forza dataci dal sorriso delle nostre super colleghe, grazie agli esempi di disponibilità e di amore forniti dal personale infermieristico e dagli assistenti educatori e soprattutto grazie al sorriso e al silenzio di questi ragazzi che chiedevano solamente un nostro gesto d’affetto, abbiamo iniziato ad accettare fino in fondo e soprattutto a comprendere l’inestimabile contenuto del nostro regalo.

Dopo la prima mattinata che per me rappresentava la prima esperienza lavorativa della mia vita (sono infatti studentessa all’ultimo anno di liceo classico) il rientro a casa non è stato facile... ero a dir poco sconvolta, ma proprio quando meno me lo aspettavo ecco Tiziana dire durante la Messa «Grazie Signore perché oggi ci hai mostrato il tuo volto in quello dei ragazzi di Casa Serena». Proprio questa «scoperta» è stata la nostra forza, l’asso nella manica da giocare nei momenti più difficili, quando la stanchezza ci spingeva a trattare questi ragazzi come un impiegato fa con le sue carte: quando è stanco le mette nel cassetto e dopo un po’ le riprende, ma se hai davanti a te una persona non puoi comportarti così!

La nostra arma segreta è stato anche l’unico mezzo per comprendere che il Signore parlava ad ognuna di noi con una stretta di mano a volte un po’ insalivata, con un sorriso o un colpo di tosse capitato proprio mentre stavamo imboccandoli che decorava con tinte e disegni strani le nostre magliette.

E così pur donando cose semplicissime come carezze, strette di mano e sorrisi, in otto giorni di servizio ci siamo trovate arricchite all’ennesima potenza! E l’8 agosto, ahimé giorno della separazione da questi nostri amici, è stato il giorno nel quale abbiamo sperimentato maggiormente tutto questo.... .

Prima dell’ora di pranzo siamo state tutte e tre chiamate per ricevere dalle mani di Giampy e Daniela, due simpaticissimi ospiti di Casa Serena, gli attestati di «Brave Volontarie» fatti con enorme fatica da loro... . Non potete immaginare quale sia stata la nostra gioia e, lo ammetto, anche la profonda commozione!

Beh...a questo punto avrei mille altre cose da raccontarvi,ma la scelta è difficile ed imbarazzante,se vi parlo di uno di questi nostri amici va a finire che vi parlo di tutti e quindi vi lascio ringraziando in particolare le mie super colleghe Tiziana e Michela e p. Fernando, p. Bakanja, sr. Enza e sr. Bruna per la splendida opportunità che mi hanno offerto!!

 .....Ci vediamo a settembre!!

Emanuela