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Nel segno dello Spezzare

Lai (Sud del Ciad) - Padre Filo

Lettera agli amici
 Lai (sud del Ciad), 11 giugno 2012

Carissime/i,  pace e tanta vita dal Ciad!
Qui al sud sono arrivate abbondanti piogge, le strade sono allagate e i nostri contadini tutti nei campi a seminare…con i buoi e l’aratro dietro, come faceva mio padre da ragazzo. Ma si cominciano a intravedere i primi trattori…Le nostre attività sono quindi rallentate e proviamo a respirare un po’. Anche perché il gran caldo è finito. Mi sono ritagliato allora una settimana di silenzio e preghiera per ritornare alla sorgente. Al Dio della vita, al Papà che convoca e parla dritto al cuore!
Non è mettersi fuori dalla realtà. Anzi è immergersi più a fondo! Seguo infatti con passione le vicende di questa nostra storia un po’ matta e porto con me i volti, tantissimi, vostri e di altri ancora che non riuscirò a raggiungere con questo scritto. In particolare quelli di chi più soffre, di chi è ammalato, dei terremotati della nostra Emilia, di chi ha perso il lavoro e fa fatica, delle vittime della crisi economica, dei profughi eritrei respinti alla frontiera con Israele, e di quelli del Darfur che ancora ospitiamo qui in Ciad. E poi i popoli del Mali e della Guinea Bissau dove lo Stato sembra non esserci più. Quindi la Siria dove la violenza sembra non avere fine. Poi la Nigeria, il Congo RDC e i due Sudan tra attentati, guerra per le risorse e minacce di nuovi scontri. Ancora le nostre piccole comunità cristiane fragili e povere, la vita minacciata dei nostri contadini al sud, le sfide infinite di quest’Africa da amare. Vite da portare con sé quando si è appassionati dell’umanità. Perché come diceva Lorenzo Milani “I care” mi interessa quello che avviene nel mondo, mi sta a cuore…il contrario del “Me ne frego fascista”.
Seguo con dolore vivo anche le vicissitudini scandalose di una Chiesa gerarchica lontana dalla gente (e che la fa allontanare sempre di più…nonostante tentativi di folle oceaniche a Milano) e sento con forza l’urgenza del ritorno ad una Chiesa povera e profetica. Sganciata da soldi e potere. Nel segno del Vaticano II, di cui celebriamo quest’anno i 50 anni dall’apertura. Dobbiamo tornare a quel “Patto delle catacombe” firmato da 40 vescovi (sulla spinta di Dom Helder Camara) il 16 novembre 1965 per un impegno a costruire la Chiesa povera e dei poveri. Sogno che continuo a portarmi dentro, con fatica e dolore, quelli che accompagnano anche le resistenza al cambiamento radicale cui sono chiamato. Abbiamo bisogno come l’aria che respiriamo di quel soffio di Spirito e di Vangelo che ha dato uno scossone così forte e bello alla comunità di Gesù. “Abbiamo bisogno di forti scossoni” dice con coraggio la mia amica e sorella Teresa della Casa della Carità di Cavriago. Certo non quelli del terremoto. Comunque eventi forti che ci sveglino fuori!
E seguo con rinnovata speranza le buone notizie che vengono dall’Italia, dall’Africa e dal mondo: i giganti dai piedi di argilla che cadono in Italia insieme alla protesta e alla voglia di rinnovamento del sistema politico, finanziario (a quando la Tobin Tax? ) ed economico (che vive sulle spalle degli altri!), la transizione democratica in Senegal e Zambia, le primavere arabe che ancora accompagnano i sogni di tanti giovani. E poi storie di tante piccole-grandi persone che provano a lasciarsi cambiare per cambiare la realtà. Come i due amici e compagni di viaggio Diego e Simone, missionari comboniani che proprio in questo giugno confermano l’impegno con la missione per tutta la vita.
Sono giorni di ritiro intensi e belli che mi hanno permesso di ritornare alla mia storia, sconvolta dal Dio della vita proprio 20 anni fa con il martirio di Falcone e Borsellino. La memoria è viva e anche la pelle d’oca. Là cominciai ad aprire gli occhi, a sentire dentro quel desiderio irresistibile di cambiare il mondo. Confermato in pieno dal lungo abbraccio a Bologna nel corso della Carovana della Pace del 2002 con Rita Borsellino. Fu lei per prima a parlarmi del libro “I ragazzi di Paolo”. Storie di giovani trasformati dal martirio di suo fratello…guarda il caso! Occasione per ringraziare il Padre e questi testimoni che hanno dato il via al cambio radicale della mia vita. Un cammino che continua ancora oggi sulla scia dei giovani che sfilavano a Palermo dopo le stragi con il cartellone “le vostre idee cammineranno sulle nostre gambe”. Vite così vive, perché chi spezza la sua vita per e con gli altri vive per sempre.
E proprio nel segno dello spezzare ho vissuto questi giorni, accompagnato dal Vangelo di Marco. Più ci entri dentro e più ti sorprende e ti affascina. Che ricchezza, che bomba! Davvero tutta la nostra vita con dubbi, cadute e risalite…che spettacolo riprendere in mano con calma la Passione di Gesù di Nazaret e da quella rileggere e meditare tutto il Vangelo e la vita qui in Ciad. Perché è proprio la passione la prima parte ad essere stata scritta e tutto il resto un introduzione.
Su tutto resta un segno che mi ha ben provocato e accompagnato:


il segno dello Spezzare.
Il vasetto di profumo: (Mc 14,1-9)


Dentro la disumanità della passione, dove le autorità religiose cercano tutti i modi di far fuori quel pericolosissimo Gesù di Nazaret che minacciava la loro stessa esistenza, potere e soldi inclusi, una donna ( come tale tenuta ai margini della società) compie un “buon lavoro” come lo definisce l’evangelista (V.6). Spezza un vaso preziosissimo di nardo, quel profumo di cui ci parla il Cantico dei Cantici per narraci l’estasi dell’amore tra l’uomo e la donna. Un profumo “fedele”, simbolo di un amore che va fino in fondo, alle estreme conseguenze. Come Gesù di Nazaret, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e tanti altri. Amore che non ha prezzo, che non si può vendere o quantificare. Come provano a fare alcuni della comunità.
La donna versa il profumo sulla testa di Gesù e lo unge così come in quel tempo si fece con i re, i profeti e i sacerdoti. Gesù è vero re, cioè libero di dare la vita per amore, vero profeta, cioè fedele al Regno, il sogno del Padre, e vero sacerdote, colui che orienta la sua vita al bene degli altri, per farli felici. La sua è vita spezzata. E, per questo, vita di un umanità tale da abbracciare quella di Dio. Diceva di lui Leonardo Boff:”…era talmente umano che non poteva che essere divino”.
Dentro questa nostra umanità ferita servono sempre più testimoni autentici del Vangelo. Che sono segno di un alternativa possibile, di una via d’uscita al sopruso, alla violenza, al dio denaro. Una risposta alla crisi di oggi! Gente che si spezza per e con gli altri, con i poveri soprattutto. Ognuno di noi è interpellato. Io lo sento vivo questo richiamo perché nella mia vita fragile e contraddittoria a Moissala sono sfidato da questa pagina che mi mette in crisi e al muro. Non basta esserci. Bisogna esserci con amore. Come tantissimi laici impegnati, catechisti e leaders di comunità di base, che dentro vite precarie e sempre minacciate, si danno anima e cuore alla costruzione del Regno. E’ vero che con tutti i nostri limiti, arrancando, ce la mettiamo tutta: con Olivier dal Congo RDC e Michael dallo Zambia formiamo una bella fraternità affiatata e allegra. Proviamo a condividere insieme al nostro popolo Mbay la vita, i progetti e i sogni: le visite alle comunità cristiane nei villaggi (fino a 100Km! di distanza su strade impossibili), la formazione dei catecumeni (coloro che vogliono diventare cristiani) e dei leaders delle comunità di base (il progetto a Silambi va molto bene, con 12 coppie e 50 bambini!), la scuola (abbiamo aperto una scuola media intitolata a Daniele Comboni), il Centro Culturale (il progetto della Sala d’Informatica è partito, un po’ a rilento e con pochi iscritti ai corsi ma è un inizio…), il Gruppo di prevenzione e sensibilizzazione sull’Aids, la Commissione Giustizia e Pace, il Gruppo Missionario (è nato quest’anno con 8 membri, per ora) e poi il lavoro con i giovani, gli ammalati e i carcerati. Una mole di lavoro pazzesco che a volte fa sudare ben oltre quello che è capace di fare il caldo degli oltre 40° di marzo e aprile.


Ok tante cose, ma fatte a volte di fretta, senza troppo rifletterci, un po’ improvvisate…certo bisogna mettersi dentro la realtà dell’Africa che ci supera. Però quello “Spezzarsi” mi ritorna dentro e mi dice tutta la mia e la nostra miseria. Di uomini che ancora vivono lontani dalla vita, dalle sfide e dalle minacce della gente. Ci riempiamo le parole di “camminare con” e poi ci ritroviamo, se proviamo a fare verità, sempre in ritardo rispetto al Vangelo e a quella pagina. Comunque uno-due gradini sopra la gente. E’ urgente scenderli! Presto sarà con noi un altro fratello: Armando, messicano, e ci proveremo insieme ad essere più coerenti e vicini a quella vita che si spezza per noi.
Per questo sento il dovere e il bisogno di rileggere, meditare, riascoltare e soprattutto rivivere questa pagina dello spezzare. Come quella del pane…


il pane: (Mc 14,22-25)


Gesù nel corso della sua cena con gli amici lascia un gesto unico e inequivocabile della sua vita spezzata per l’umanità. Quella del pane, alimento di base in quella cultura. Un pane che diventa lui, da spezzare e distribuire. Come le nostre vite se vogliono essere autentiche e felici. Una memoria da rinnovare non tanto in un culto ma in una vita che diventa pane spezzato per i fratelli e sorelle. E poi distribuito. Perché se le nostre vite non “escono” da noi rimangono sterili e tristi. “Missione è uscire da sé stessi” diceva Dom Helder Camara. Se una vita non è donata non può lamentarsi di essersi persa. “La vita è bella e sono felice di donarla” diceva Lele Ramin, comboniano ucciso a 32 anni in Brasile. Aveva capito bene che soltanto se donata quella vita poteva essere così bella.
Certo questo segno va celebrato e noi lo facciamo nell’Eucarestia. Ma se là dentro non c’è la vita, se sull’altare non ci sono i poveri, se non costruiamo giorno dopo giorno giustizia e pace allora non c’è più Eucarestia. “ Non c’è Eucarestia senza giustizia ” ricorda il grande teologo José Maria Castillo. E rischiamo di celebrare la nostra propria condanna come diceva Paolo (1 Cor 11 ). Quante messe che non dicono più nulla, che non hanno più sapore di pane spezzato e niente di riflessi e ritorni sulla vita vissuta…riti vuoti, che avevano ragione i profeti a denunciare. Come non mi mancano! Tonino Bello diceva che L’eucarestia dovrebbe riversarci per le strade con il coraggio e la voglia di cambiare il mondo. E noi cosa ne abbiamo fatto?
Ma quante messe invece qui sotto le capanne o i grandi alberi, nei villaggi la mattina presto o la sera tardi (per evitare il sole cocente!) che hanno ancora tutto il calore, la preparazione e la partecipazione della gente! Che momenti indimenticabili… Qui non c’è orologio o fretta…il tempo ce lo prendiamo noi. Canti e danze che non finiscono più, processioni con i doni all’altare, meditazione condivisa del Vangelo, preghiere spontanee delle mamme con al seno i piccoli, il segno della pace tra tutti, gli annunci della vita della comunità. Con gente che esce se deve andare in bagno (dietro l’albero) o mangiare qualcosa. E poi ritorna. E poi la festa che continua con la danza e la “boule” (polenta) da mangiare assieme con le mani. Quindi la sera nei villaggi attorno al fuoco se fa freddo o sulle stuoie a parlare e raccontarsi la vita. Anche questa è Eucarestia: un rendere grazie al Padre che ci fa fratelli. Anche e soprattutto questa è missione: esserci, dove la gente si siede, e lasciare che Dio avvenga. E Dio avviene e sorprende sempre…
Ma anche il segno del pane mi spiazza sempre. E mi fa sentire inadeguato rispetto a quello che celebro e che provo a vivere. Mi chiedo sempre quanto la nostra presenza incide sulla realtà e lo sviluppo. E trovo sempre meno risposte. Le lascio allo Spirito che indicherà la strada. Meno male che la provocazione mi fa stare in cammino con voglia di cambiare sempre, mi dico da un lato. E dall’altro mi confermo che è ora che mi svegli fuori! Perché un altro mondo è possibile, urgente e sempre più necessario. E io devo fare la mia parte.
Come proveranno ancora a farla gridando giustizia, diritti umani e rispetto dell’ambiente i “tanti bei sognatori con i piedi per terra” a Rio de Janeiro a fine giugno per ridare fiato al pianeta. La società civile mondiale si è data appuntamento con la storia in Brasile per dare uno scossone al mondo sul tema dell’ecologia. A esatti 20 anni proprio dall’Assemblea di Rio de Janeiro quando l’Onu convocò una delle prime e vere e proprie riunioni per salvare il pianeta. Era proprio l’anno della maturità e scelsi agli esami il tema su Rio e sull’ambiente. Io che non andavo mai oltre il 6 in italiano (ma spesso sotto!) quella volta scrissi un testo clamoroso. Perché ci misi dentro il cuore. Un cuore appassionato per le sorti di questa nostra umanità e che stava, lentamente, cambiando.
Vent’anni dopo siamo ancora qua, nel segno dello spezzare, in cammino sulla strada con il Vangelo, i poveri e il pane spezzato. E con tante persone belle incontrate, esperienze toste alle spalle e tanto, tantissimo ancora da imparare. Sui banchi preziosi dell’Africa, dei poveri, del Vangelo e della missione. Veri e propri maestri di vita. Dai quali e per i quali imparare a spezzarsi. Perché ricordava sempre Martin Luther king  “vale la pena vivere soltanto per ciò per cui vale anche la pena morire”.

Vi porto al cuore.
Vostro fratello e amico sempre,
Filo

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