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IL PROFUMO DI DIO….. Lettera di Padre Daniele Moschetti - Nairobi

Tanti anni fa, c'era un capriolo che sentiva continuamente nelle narici un fragrante profumo di muschio. Saliva le verdi pendici dei monti e sentiva quel profumo stupendo, penetrante, dolcissimo. Sfrecciava nella foresta, e quel profumo era nell'aria, tutt'intorno a lui.
Il capriolo non riusciva a capire da dove provenisse quel profumo che tanto lo turbava.
Era come il richiamo di un flauto a cui non si può resistere. Perciò il capriolo prese a correre di bosco in bosco alla ricerca della fonte di quello straordinario e conturbante profumo.


Quella ricerca divenne la sua ossessione.
Il povero animale non badava più né a mangiare, né a bere, né a dormire, né a nient'altro.
Esso non sapeva donde venisse il richiamo del profumo, ma si sentiva costretto a inseguirlo attraverso burroni, foreste e colline, finché affamato, esausto, stanco morto, andò avanti a casaccio, scivolò da una roccia e cadde ferendosi mortalmente.
Le sue ferite erano dolorose e profonde.
Il capriolo si leccò il petto sanguinante e, in quel momento, scoprì la cosa più incredibile.
Il profumo, quel profumo che lo aveva sconvolto, che gli regalava così tanta serenità e felicità,
era proprio lì, attaccato al suo corpo,nella speciale «sacca» porta muschio che hanno tutti i caprioli della sua specie.
Il povero animale respirò profondamente il profumo, ma era troppo tardi... (Leggenda Indù)

Nairobi, 10 febbraio 2012

Carissimo/carissima! Pace e bene a te!

Come vedi anche tu, ti scrivo da Nairobi e precisamente dal Mwangaza Retreat Center dei padri Gesuiti dove sono venuto per il mio ritiro annuale. È un luogo che io conosco da molto tempo in quanto dal 1992 ho fatto molti ritiri in questo luogo e con vari gesuiti. Nel 1996 avevo fatto anche il ritiro del mese ignaziano/comboniano prima della mia ordinazione sacerdotale. Tempi passati ma ancora molto presenti nella memoria e nei sentimenti. Sono venuto qui a Nairobi per diversi altri impegni per la provincia comboniana del Sud Sudan e così ho approfittato per partecipare a un ritiro in italiano di 5 giorni con padre Silvano Fausti sul vangelo di Marco. Molto intenso e partecipato da quasi 40 religiose e preti italiani. Ho trovato diversi amici tra i partecipanti che non vedevo da tanto tempo e mi ha fatto un grande piacere. Diversi comboniani, diocesani di Padova, di altre diocesi italiane e anche padre Stefano Giudici, comboniano che mi ha sostituto molto bene da un paio di anni a Korogocho. A Korogocho c’ero stato la prima domenica a celebrare la seconda messa. Ed è stato un bellissimo momento di accoglienza e benvenuto della gente. La prima messa era appena finita e molti dei leaders delle piccole comunità cristiane andavano ad un meeting in parrocchia a Kariobangi. È stato un momento di grande abbraccio fraterno e caloroso da parte di tante persone della comunità con i leaders delle comunità cristiane, i bambini, i giovani, le donne e i suoi anziani. Un caloroso benvenuto e tanti sorrisi che ho sentito come l’abbraccio di Dio attraverso i suoi prediletti. È proprio vero che quando si cerca di dare in umiltà il meglio di se stessi agli altri, poi Dio dona sempre il centuplo. E della gente di Koch mi rimarrà per sempre il ricordo nel cuore dei loro canti, danze, voglia di vivere e di stupire, dei loro abbracci fraterni e della loro riconoscenza. Mi manca molto la messa a ya sinodi che con la gente celebriamo ogni domenica. Una messa molto viva e partecipata, con colori, danze, canti, ritmi e voglia di vita. È Dio che danza con la gente. Koch continua ad andare avanti e sembra sempre la stessa. Ora la strada asfaltata dal mercato punto iniziale di Koch ti porta fino in fronte al cancello della chiesa di St. John. E’ uno dei segni di cambiamento strutturali che chiede altri passi decisi per ridonare dignità e forza ad una comunità che lotta con determinazione da oltre vent’anni. Il sogno che la comunità cristiana di St. John diventasse parrocchia non si è ancora avverato. Prego perché la determinazione della gente e dei miei confratelli non venga meno. Ne hanno sacrosanto diritto non solo perché è una comunità attiva ma anche perché è matura per tentare di essere se stessa senza bisogno di sostegni esterni dalla parrocchia centrale. Ma sono vecchie storie!
Intanto sono qua in questo luogo che è un paradiso di verde, alberi, uccelli piccoli e grandi, migliaia di farfalle, tanti colori diversi, un sole rosso fuoco e caldo. Un panorama stupendo delle colline di Ngong dove la leggenda dice che Dio si riposò e si addormentò. Quando si svegliò nel rialzarsi, si appoggiò con il pugno della mano sulla terra sottostante. Così facendo il pugno rimase come calco sul terreno e formò le cinque piccole e soavi colline che si stagliano davanti a noi con le sue stupende albe e tramonti. Su quelle colline abbiamo anche il nostro centro di riabilitazione Napenda Kuishi Home dove ormai da alcuni anni sono passati e continuano a passare decine e decine di ragazzi di strada di Korogocho che sniffano colla o usano altri tipi di droga. Con loro almeno due o tre volte l’anno e per alcuni mesi ci sono gruppi di giovani uomini e donne con il problema dell’alcol e droga. Sempre gente di Koch.
Sono stato a trovarli un paio di volte e ogni volta un bel momento di convivialità e di amicizia. Gli operatori che da anni vivono e operano lì sono persone semplici che vengono da Korogocho e che sono state strumentali a far crescere il progetto conoscendo anche le abitudini, comportamenti e i caratteri dei ragazzi di Koch. Anastasia, Coletta, Mama Catherine, Anthony e altri sono stati importanti strumenti nelle mani di Dio per ridonare vita a tanti giovani e ragazzi che altrimenti non avrebbero avuto speranza. Ho visto veri miracoli negli anni passati a Korogocho nel constatare come la gente quando gli si dà tempo, fiducia e amore, cambia davvero la vita. Questi per me sono i miracoli dell’oggi che mi danno tanta carica ed entusiasmo nel continuare anche dove sono ora in Sud Sudan. E se ripenso ai tanti ostacoli avuti da varie parti nell’iniziare questa opera, vedendo i ragazzi di strada e gli alcolisti che sono stati riabilitati, penso che ne è valsa la pena e che Dio ha vinto la sua battaglia per sconfiggere la morte con la vita!

LETTERA AGLI AMICI COME PREGHIERA

Vi sto scrivendo questa lettera mentre sto facendo il mio ritiro di 6 giorni. C’è silenzio intorno a me. E’ notte ormai. Solo il rumore di qualche grillo che canta o di qualche uccello notturno che mi fa compagnia. Per me è davvero pregare per tutti voi. Mentre vi scrivo penso mentalmente a molti vostri volti e non mi viene di far altro di ringraziare per tutta la pazienza, fiducia, amicizia e sostegno che continuate a donarmi in tutto questo tempo. Vi chiedo scusa perché è ormai più di un anno che non scrivo. Ma il tempo in questo ultimo anno è volato letteralmente e la mia nuova missione mi ha portato via tantissimo tempo che avrei voluto dedicare anche ad altri. Ma come potete capire, anch’io sto imparando ad entrare dentro questo nuovo ministero che mi è stato chiesto e soprattutto affidato. E mi viene in mente un passaggio che ho appena letto e pregato della lettera di s. Paolo ai Corinzi:
La nostra lettera siete voi, lettera scritta nei nostri cuori, conosciuta e letta da tutti gli uomini. E’ noto infatti che voi siete una lettera di Cristo composta da noi, scritta non con inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente, non su tavole di pietra, ma sulle tavole di carne dei vostri cuori.” (2 Cor 3, 2-3)
Non è stupendo questo passaggio?? È la grande fiducia che San Paolo ha nella gente di Corinto che ha conosciuto, che sono diventati suoi amici, fratelli e sorelle, ma con i quali continua ad avere un rapporto stretto di amicizia, stima, fraternità e incoraggiamento. È ciò che dovrebbe essere per ogni missionario che vive con la gente dovunque essa sia e che sente sempre di più come sua famiglia. Una famiglia allargata all’africana. E penso alla gente di Koch. E penso a voi……
Mi sento anch’io un po’ come Paolo, scusate “l’umiltà…”, in tutto questo tempo in cui non sono riuscito a scrivere. Ho iniziato in tanti modi una lettera ma poi non sono mai riuscito o a partire, o a concludere o ad avere il giusto tempo per condividere con voi tutto ciò che sentivo e vivevo. Ma vi assicuro una cosa. Che come San Paolo vi ho portato nel profondo del mio cuore perché quando non riuscivo a mettermi in comunicazione cartacea lo facevo sempre con la preghiera o con i miei sentimenti e cuore.
Il viaggio per la vita lo si fa sempre insieme. Non importa in che modo o i tempi. Sappiamo che insieme e  latitudini e longitudini diverse, siamo in viaggio verso una meta comune e questo basta. Poi ognuno di noi risponde come può alle lotte quotidiane che la vita e la storia gli mette davanti. Ma sapendo che c’è qualcuno vicino o lontano che sostiene il pellegrinaggio comune con l’amicizia, la preghiera, il sostegno e l’ascolto, vuol dire molto. A volte è determinante perché Dio si manifesta molto spesso così. Non siamo un isola o viandanti solitari.

BETANIA E IL SUO PROFUMO

Il nostro ritiro è iniziato con il passo del Vangelo di Marco 14, 1-11 cioè l’unzione nella casa di Simone il lebbroso. Gesù prima di affrontare la Passione, morte e Resurrezione stava a Betania, circa tre chilometri da Gerusalemme, dagli amici Lazzaro, Maria e Marta. Credo che tutti ricordiamo quel villaggio per averlo ascoltato molte volte nei vangeli o durante la messa o in altri momenti della nostra vita. Gesù amava passare a trovare i suoi amici quando si recava a Gerusalemme. E infatti Betania è il villaggio dell’amicizia, dell’accoglienza, della convivialità e dei sentimenti grandi di Gesù che provava per questi giovani amici. E tutti si ricordano la resurrezione di Lazzaro che era già morto da diversi giorni. E Gesù pianse per affetto. Ridonò la vita al suo amico Lazzaro. Insomma un luogo importante per scoprire l’umanità e amicizia di Gesù. Un Dio che si fa uomo e vive profondamente i suoi sentimenti!
Betania vuol dire in ebraico: casa del povero. Per me iniziare il mio ritiro con questo passaggio biblico ha aiutato a riaffiorare ricordi e sentimenti profondi e importanti perché a Betania ci sono vissuto 10 mesi durante la mia permanenza in Terra Santa 4 anni fa. Un ricordo vivo e forte di un tempo di grande Grazia, amicizia e fraternità che ho vissuto con le 10 sorelle comboniane che vivevano in quella casa. Molte di loro erano anziane e avevano 40-50 o 60 anni di vita religiosa e missionaria in diverse parti del mondo. Ma ancora tanta voglia di missione, preghiera e servizio. Un abbeverarsi alla saggezza e umiltà di missionarie che ancora portavano nel loro cuore quell’incontro con Gesù con la pienezza della gioventù ormai passata.
Ma eravamo a Betania, luogo dell’incontro con Gesù e della sua amicizia eterna. Eravamo proprio nel posto giusto!
Nel passaggio biblico Gesù stava a tavola con Simone quando entra una donna con un vasetto di alabastro pieno di olio profumato di nardo genuino di gran valore. La donna rompe il vasetto e versò l’unguento sul suo capo. Un grande gesto di amore e di rispetto. Ma come al solito, a qualcuno questo gesto non piace e si sdegnano perché dicono che poteva essere venduto invece di fare un grande spreco di questo olio che costa più di 300 denari. E che si poteva dare ai poveri!! 
E infatti quando i poveri “servono” vengono usati per i nostri intenti maligni. Non erano i poveri che interessavano ma era l’invidia e la rabbia di vedere ciò che Gesù stava accogliendo come un gesto di grande cura e amore da parte di una donna anonima e che probabilmente non conosceva.
E Gesù guarda oltre. Sa che quell’unguento è segno e simbolo della sua sepoltura e unzione quando sarà morto. La donna ha anticipato i tempi ma era proprio ora che aveva grande valore l’unzione sia per Gesù che per i suoi discepoli che non capivano.
E il profumo riempiva la stanza. L’olfatto di ogni commensale era pieno di profumo che questa povera e generosa donna aveva comprato spendendo tutto ciò che aveva per Gesù. Ancora un segno di riverenza e attenzione che gli altri non avevano capito. L’uomo/Dio stava andando alla passione e alla morte e nessuno lo capiva. E questa donna per questo gesto d’amore è passata alla storia biblica e dell’umanità. Ogni cristiano in questi due mila anni ha ricordato e ricorda questo gesto del profumo di Betania che ancora oggi possiamo percepire quando simbolicamente compiamo gesti di semplice amore gratuito, solidarietà, accoglienza, rispetto per servire e costruire un mondo migliore. Questo profumo di Dio siamo noi quando coscientemente o inconsciamente accogliamo questa sfida di una vita di servizio, umiltà, sacrificio e amore per tutti, soprattutto per gli ultimi della terra. E non solo per i missionari si intende ma proprio per tutti!
Noi siamo infatti dinanzi a Dio il profumo di Cristo fra quelli che si salvano e fra quelli che si perdono.” (2 Cor 2, 15)

SUD SUDAN: i primi passi difficili del 193° paese al mondo

Il 9 luglio 2011 è passato! L’indipendenza del paese è stato un grande giorno che tutti ricorderanno per sempre nella loro memoria e nel loro cuore così pure come la settimana del referendum agli inizi dell’anno storico 2011. Momenti unici, magici e stupendi di grande commozione, gioia ed entusiasmo. Un anno il 2011 dove il popolo sud sudanese ha scritto la storia dell’Africa e di questo paese ricco di risorse ma fra i più poveri al mondo. Ora la realtà sta cominciando a diventare calda se non bollente per alcune situazioni che erano in stallo oppure nascoste all’opinione pubblica ma che prima o poi dovevano fare i conti con la realtà sociale e politica interna , internazionale e soprattutto con il Nord Sudan.
Come ad esempio il problema della terra in Sud Sudan ma anche per il Corno d’Africa visto che il nuovo stato vivrà molto in simbiosi con le nazioni limitrofe specialmente l’Africa dell’Est, visto che entrerà a farne parte molto presto.

LAND GRABBING

Secondo la Banca Mondiale il 70% dei 45 milioni di ettari che tra il 2008 e il 2009 a livello mondiale sono passati sotto il controllo di governi stranieri in cerca di nuove fonti di cibo, di multinazionali dell’ agrobusiness e di investitori alla ricerca di settori di investimento più sicuri, riguardano terreni africani e i paesi del Corno d’Africa ne sono largamente interessati. I dati forniti dall’Oakland Institute la svendita di terreni agricoli da parte del governo etiope ad investitori stranieri lo scorso anno aveva quasi raggiunto i 4 milioni di ettari. Anche la Norwegian People’s Aid, organizzazione non governativa con sede ad Oslo, ha rivelato che tra il 2007 e il 2010 solo in Sud Sudan è stata venduta o affittata da grandi investitori stranieri o locali una superficie agricola pari al 9% di tutto il territorio nazionale. Questo fenomeno, meglio conosciuto come land grabbing, di fatto riduce la disponibilità di terreni fertili ad uso delle comunità locali mettendone a repentaglio la possibilità di procurarsi sufficienti scorte alimentari per soddisfare i propri bisogni primari. Per l’80% della popolazione di Sudan, Sud Sudan ed Etiopia la terra rappresenta, infatti, la principale fonte di reddito e di sussistenza e questo significa che il controllo da parte di soggetti stranieri di vaste zone coltivabili mette a serio rischio il diritto al cibo di milioni di persone. E non solo: in questi paesi la terra ha anche un alto valore simbolico e le delicate e complesse relazioni tra diversi gruppi etnici si reggono proprio sulla spartizione e sull’uso dei terreni, pascoli e fonti d’acqua. In assenza di qualsiasi regolamentazione o forma reale di controllo e di tutela dei diritti delle comunità locali all’uso delle  risorse la penetrazione di capitali stranieri sui terreni più fertili può ulteriormente infiammare i conflitti intercomunitari per il controllo delle risorse locali.

LOU NUER vs MURLE’

Per fare un esempio concreto di questo fenomeno, prima di Natale 2011, alcune migliaia di giovani Lou Nuer armati hanno invaso Pibor, città abitata dal rivale gruppo etnico Murlè nello stato del  Jonglei, uno dei dieci stati del Sud Sudan. L’attacco è avvenuto dopo un’escalation di violenze e scontri interetnici per razzie di bestiame che negli ultimi mesi hanno provocato già 1000 vittime e che nonostante i tentativi di mediazione da parte del governatore di Jonglei e del vicepresidente del Sud Sudan, Riak Machar non hanno accennato a placarsi.  Il gruppo di 6 mila uomini armati Lou Nuer ha attraversato lo stato del Jonglei per ritorsione contro simili azioni dei Murlè fatte qualche mese precedente dove a morire furono più di 600 Lou Nuer. La città di Lukangol e altre minori sono state completamente distrutte, migliaia di civili hanno cercato di mettersi in fuga prima dell’attacco ma centinaia sono state le vittime da entrambe le parti. Le Nazioni Unite, allarmate per l’aggravarsi della situazione, avevano già incrementato le forze nella zona, mentre l’esercito governativo aveva inviato 800 soldati, ma le truppe presenti in città non sono stati sufficienti a fermare l’attacco. I dati delle vittime sono ancora incerte ma alcune organizzazioni riferiscono che potrebbero essere dalle 2000 alle 3000 vittime. Un ecatombe se si pensa che sono causate per raid di bestiame, acqua e terra. Ma questa è una delle realtà che il governo, gli anziani di varie etnie, la Chiesa e la comunità internazionale devono affrontare per lavorare per l’unità e la convivenza del nuovo paese.

LA BENEDIZIONE-MALEDIZIONE DEL PETROLIO

E’ notizia di queste settimane la difficile situazione politica tra i due governi del Sudan e del Sudan Sudan circa gli accordi della suddivisione dei proventi sul petrolio. Infatti sono naufragati prima ancora di cominciare i negoziati tra Khartoum e Juba sui nodi lasciati irrisolti dall’indipendenza delle regioni meridionali nel luglio scorso. A nulla sono valsi gli sforzi dei mediatori dell’Unione Africana, guidati dall’ex presidente sudafricano Thabo Mbeki, per riportare al tavolo dei colloqui i rappresentanti delle due parti, arroccati su posizioni distanti riguardo al pagamento di tasse di transito sul greggio. In questi giorni sembra che ci siano nuovi spiragli di speranza che il dialogo possa ricominciare.
Per trasportare il petrolio attraverso i suoi oleodotti e infrastrutture, infatti, il governo nord sudanese pretende il pagamento assurdo di 36 dollari al barile. Il Sud Sudan – che con l’ indipendenza ha per diritto a circa il 70% dei giacimenti di greggio dell’intero Sudan – ha parlato di “rapina a mano armata” e ribatte che i prezzi di mercato si attestano intorno ai 74 dollari al barile. Il governo del Sud Sudan accusa inoltre Khartoum di aver “rubato” oltre 650.000 barili di petrolio, confiscati “a titolo di risarcimento” per le imposte di transito inevase dal governo del Sud dall’indipendenza a oggi. Così il governo del Sud Sudan ha deciso di chiudere i rubinetti chiudendo tutti i pozzi petroliferi a tempo indeterminato con grande reazione del governo di Khartoum e della comunità internazionale. I due presidenti del Sudan hanno anche dichiarato che nel caso entrerebbero ancora in guerra se le reciproche provocazioni continuassero. Un tempo non facile ma che può portare a sbloccare situazioni latenti da troppo tempo. Nel frattempo alla fine di Gennaio 2012 ha firmato un accordo con il Kenya e alcune multinazionali per costruire un lungo oleodotto di circa 2000 km dalle zone petrolifere del Sud fino al nuovo porto di Lamu (Kenya) dove il governo keniano sta velocemente costruendo un nuovo porto per servire meglio sia il Sud Sudan ma anche Etiopia e Uganda. E logicamente diventare una vera potenza economica e strategica per l’intera Africa dell’Est.

SUD KORDOFAN, NUBA e BLUE NILE

A complicare ulteriormente la situazione tra i due Sudan vi è la tensione crescente lungo la frontiera e gli scontri armati nelle regioni di Sud Kordofan, Nuba e Nilo Blu che rimangono a nord, nello stato del Sudan da cui “non si può prescindere per raggiungere ogni altro accordo, anche relativo a questioni economiche” hanno minacciato i governanti del nord.
Alle prese con una ribellione armata nelle due province meridionali, il governo di Khartoum accusa Juba si sostenere, militarmente e finanziariamente, gli insorti che al tempo della guerra civile sudanese combattevano al fianco degli ex ribelli sudisti oggi indipendenti. Per accedere ai civili intrappolati nelle zone in cui il conflitto si trascina da mesi, le Nazioni Unite sono in trattativa con il governo di Omar Hassan al Bashir. In questo contesto, le pressioni dell’ambasciatore americano all’Onu Susan Rice per un accesso immediato degli operatori umanitari nei territori in questione hanno provocato la risentita reazione del suo omologo sudanese, Daffa Alla Elhag Ali Osman che ha parlato di “lacrime di coccodrillo” da parte di chi “ha tutto l’interesse a rifocillare le sacche di ribellione presenti nelle due regioni”.
Quello che vi ho presentato sono soltanto alcune delle complesse situazioni che si stanno dipanando in questi primi mesi del nuovo governo e stato del Sud Sudan. La gente nel nuovo paese continua la sua vita quotidiana come prima sapendo dei conflitti e divisioni e convivendoci come sempre. Vi sono altre zone dove regolarmente vi sono scontri etnici più ridotti non come tra i Lou Nuer e Murlè. Questi scontri vi erano anche prima dell’indipendenza e invitano tutti i cittadini e gli operatori qui sul territorio a cercare delle vie nuove di uscita da questi circoli viziosi di morte e divisione. E anche alla Chiesa è chiesto molto in questi frangenti.

AFRICAE MUNUS: L’IMPEGNO DELL’AFRICA

Mi viene in mente una bellissima e veritiera frase dalla nostra bella liturgia ambrosiana: “Signore dona sempre al tuo popolo, pastori che inquietino la falsa pace delle coscienze”. Un lavoro grande e pieno di sfide ci aspetta in questa terra amata dal Comboni. Ma questo non deve farci demordere dall’affrontarlo perché si possano mettere vere basi di giustizia, pace e riconciliazione per le generazioni future. È stato anche il grido emerso dal documento appena uscito del Secondo Sinodo Africano dei vescovi conclusosi nel 2009 : AFRICAE MUNUS: l’impegno dell’Africa. Il Papa Benedetto XVI ha consegnato alla Chiesa africana questo documento importante per il suo futuro e per l’impegno nel prezioso ministero della pace, giustizia e riconciliazione in questo grande e stupendo continente africano che finalmente è stato riconosciuto come “polmone spirituale dell’umanità” nonostante i media continuino a dipingerlo con toni molto negativi ed emarginanti.
Certamente non dobbiamo credere che spetti a noi risolvere tutti i grandi problemi dei nostri tempi. Lasciamo spazio allo Spirito Santo che lavora meglio di noi e più profondamente. Dio è il padrone della storia ma ha bisogno umilmente anche di noi e dei talenti che ci ha donato per concreare con Lui.
Il Vangelo comunque ci invita a cercare…… “Cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia, e il resto vi verrà dato in aggiunta”. (Mt 6,33)
La giustizia in quanto valore morale è insita nell’uomo, ma va costantemente alimentata. C’è un conflitto che non verrà mai meno, quello fra l’interesse di parte e la giustizia che è invece equità e imparzialità. Se l’uomo è formato nel culto dell’individualismo, come oggi spesso avviene, è sempre l’interesse personale a prevalere, mentre la nozione di bene comune perde di significato e non viene percepita come vincolante.
In un mondo dove il profitto a tutti i costi è l’idolo quotidiano al quale si inginocchia l’umanità intera. E non ci si accorge che seguendo l’idolo, il vitello d’oro, diventiamo sempre più disumani sia a nord che a sud del mondo creando oppressione, ingiustizia, sopruso, calpestando i poveri e distruggendo l’ambiente e il  creato.
Soltanto la giustizia può irrigare di pace i cammini dell’umanità nel terzo millennio. Non ci può essere una vera giustizia senza una reale cultura di pace, di accoglienza, di integrazione razziale; non ci può essere pace senza un nuovo ordine economico e sociale, più rispettoso del primato dell’uomo sul profitto. La giustizia umana cammina con la pace e sta con essa in relazione costante e dinamica. Quando una delle due è minacciata vacillano entrambe; quando si offende la giustizia si mette a repentaglio la pace. Cristo è nostra pace e nostra giustizia. Condizione della pace, quale bene indivisibile e supremo, è una comunità nazionale e internazionale ordinata secondo giustizia, quindi secondo verità, solidarietà e libertà. La pace è perduta non solo dove c’è conflitto, ma lo è già quando c’è sfruttamento economico e sociale. Bisogna impegnarsi nel servizio della giustizia perché si attui una giusta distribuzione delle ricchezze. Una pace costruita sulle ingiustizie o sui conflitti ideologici o religiosi non potrà mai diventare pace vera per il mondo”. (Cardinal Carlo Maria Martini)

E allora dobbiamo attuare già oggi la speranza cristiana attraverso la giustizia. Per chi lo è cristiano. Ma anche per chi non si riconosce direttamente in Gesù o nella Chiesa o in altre religioni. Anche perché, mettendo fra parentesi o in secondo piano questa esigenza, si finisce facilmente per intrattenere con Gesù un rapporto tutto privato, intimista e lontano dalla gente e dal mondo. Conoscere Gesù significa non solo leggere le sue parole, ma diventare simile a lui. E che cosa ha fatto Gesù se non agire socialmente, guarire i malati, consolare gli afflitti, ammonire i potenti e accogliere stranieri ed emarginati?
In altri termini la carità cristiana non è effettiva se non è accompagnata da un serio interesse per la giustizia sociale. Non è più possibile chiudere gli occhi alla miseria che esiste ovunque nel mondo, anche nelle nazioni più ricche. Il cristiano deve tener presente che questa indicibile calamità non è affatto la “volontà di Dio” bensì il risultato dell’incompetenza, dell’ingiustizia e della confusione economica e sociale del nostro mondo. Non basta che ignoriamo queste cose col pretesto che siamo impotenti e che non possiamo far nulla di costruttivo a questo proposito. È un dovere di carità e giustizia per ogni cristiano adoperarsi attivamente per migliorare le condizioni dell’uomo nel mondo.
E la Parola di Dio ci illumina e ci aiuta a confrontarci e profeticamente ci sfida sempre:

Ascoltate, fratelli miei carissimi: Dio non ha forse scelto i poveri del mondo per farli ricchi con la fede ed eredi del Regno che ha promesso a quelli che lo amano? Voi invece avete disprezzato il povero! Non sono forse i ricchi che vi tiranneggiano e vi trascinano davanti ai tribunali? Non sono essi che bestemmiano il bel nome che è stato invocato sopra di voi? (Lettera di Giacomo 2,2-27)

Le vostre ricchezze sono imputridite, le vostre vesti sono state divorate dalle tarme; il vostro oro e il vostro argento sono consumati dalla ruggine, la loro ruggine si leverà a testimonianza contro di voi e divorerà le vostre carni come un fuoco. Avete accumulato tesori per gli ultimi giorni! Ecco, il salario da voi defraudato ai lavoratori che hanno mietuto le vostre terre grida; e le proteste dei mietitori sono giunte alle orecchie del Signore degli eserciti. Avete gozzovigliato sulla terra e vi siete saziati di piaceri, vi siete ingrassati per il giorno della strage. Avete condannato e ucciso il giusto ed egli non può opporre resistenza”. (Lettera di Giacomo 5,2-6)

LA FEDE COME DONO

Ho riflettuto in questi giorni di ritiro anche sul valore profondo e unico del dono della fede in Dio Padre. Semmai è Lui che è fedele e ha tanta fede in noi. E credo che sia un plusvalore grande per il cristiano per contribuire con Dio a concreare un mondo che sia più giusto e umano per tutti.
La fede è un dono così grande che è più facile spiegarla con esempi e testimonianze che con le parole.  
Come cristiani dobbiamo caratterizzarci sempre come costruttori di ponti con tutti e dovunque. Ci si dovrebbe far carico dei problemi di tutti, evitando sia l’integralismo sia il compromesso al ribasso. Il cristiano a volte è il collante della società specie quando si cerca una stabilizzazione civile come stiamo vivendo in questi tempi in Sud Sudan. Il Cardinal Martini scrive ancora in uno dei suoi tanti libri: “Nessun momento, anche di transizione o incertezza, di nebbia o di notte fonda, è fuori dal disegno di Dio, è privo di un senso provvidenziale. Ogni epoca è tempo di Grazia, è un Kairos che apre alla fiducia nell’esistenza di un cammino di pacificazione per i singoli e per un popolo, per l’insieme dei popoli”.

Per Thomas Merton, un grande scrittore religioso del XX secolo e monaco trappista, la riscoperta della vita interiore è la condizione irrinunciabile per ritrovare la nostra autentica identità di essere umani che non si rinchiudono in se stessi ma anzi ricercano il rapporto con gli altri e si liberano dalle “risposte obbligate”prescritte e imposte dall’educazione e dai retaggi culturali, razziali e nazionali, dall’appartenenza religiosa e da tutte le istituzioni che dividono gli uomini in amici e nemici. In poche parole la scelta di amare il mondo così come è, cercando di migliorarci e migliorarlo.

Un’attività basata sulle frenesie e gli impulsi dell’ambizione umana è un’illusione e un ostacolo alla Grazia. Intralcia la volontà di Dio e crea più problemi di quanti  ne risolva. Dobbiamo imparare a distinguere tra la pseudo-spiritualità dell’attivismo e la vera vitalità ed energia dell’azione cristiana guidata dallo spirito. Al tempo stesso non dobbiamo creare una frattura nella vita cristiana presumendo che ogni attività sia qualcosa di pericoloso per la vita spirituale. La vita spirituale non è un quieto ritiro, un vegetare nel tepore di una serra di pratiche ascetiche artificiali inaccessibili a chi vive una vita comune. È anzi nei doveri e nelle azioni ordinarie della vita che il cristiano può e deve sviluppare la sua unione spirituale con Dio”  (Thomas Merton in Vita e santità)

Il nostro tempo ha bisogno di ben altro che di gente cosiddetta devota, che evita mali gravi ma che raramente fa qualcosa di costruttivo o di positivamente buono. Non è sufficiente essere rispettabili esteriormente. La santità non consiste nell’essere meno umani, ma più umani di altri uomini. Ciò implica una maggiore capacità di interesse, di sofferenza, di intendimento, di comprensione, e anche di spirito, letizia, apprezzamento delle cose belle della vita.

ESSERE PROVINCIALE: PERCHE’ E PER CHI?

Ed eccomi qui a raccontarvi un po’ di cosa sto facendo ora. Il provinciale dei missionari comboniani in Sud Sudan. Mamma mia qualcuno direbbe. E che è questa roba? E cosa vuol dire “provinciale”? In poche parole è un nuovo ministero che mi è stato affidato e “offerto” dallo scorso anno come nuovo passaggio per la mia vita per crescere come uomo, cristiano e missionario. Di questo ne sono certo perché non era nei “miei programmi”. Affatto. Sono stato scelto dai miei confratelli alla fine del 2010. Ho fatto anche “resistenza” all’inizio perché non ritenevo di esserne all’altezza e la persona giusta ma anche perché sentivo forte ancora il desiderio di ritornare in qualche baraccopoli dell’Africa anglofona. E questo desiderio lo sento ancora e magari si realizzerà in futuro. A Dio piacendo! E poi ho compreso nella fede come il Signore passa e ti affida responsabilità che neanche tu stesso avresti pensato anche attraverso situazioni di questo genere. Io che ero appena arrivato da poco più di un anno e mezzo in Sud Sudan.
Certo non è un facile ministero essere responsabile e coordinatore di circa 50 missionari sparsi in tutto il Sud Sudan con caratteri e personalità diverse, con esigenze e bisogni diversi. Tra l’altro in un tempo non facile e di transizione per il nuovo paese. Ma siamo qui per costruire il Regno di Dio e questo ciò che conta di più e che mi e ci dà più forza. Ogni difficoltà, resistenza, problema o ostacolo trova sempre la sua trasfigurazione proprio nell’offrirlo a Colui che mi ha dato questa responsabilità e impegno. Durante quest’anno ho viaggiato parecchio in tutte le nostre missioni e anche in altre zone di questo povero ma ricco paese nel Sud del Sudan, un tempo il paese più grande dell’Africa. Il mio compito è di visitare i miei confratelli attivi nelle missioni, incoraggiarli e a trovare soluzioni insieme nelle difficoltà comunitarie e incoraggiarli per le prospettive future della missione. La realtà è dura in diverse parti di questo paese. Molta gente si sente oldoolto isolati specialmente durante la stagione delle piogge e in diversi casi anche a rischio durante gli scontri tribali che ogni tanto succedono soprattutto nelle terre dei Dinka e Nuer. Incontro anche i vescovi cattolici del paese, partecipo ai loro incontri cercando di aiutarli a discernere la realtà puntando anche su azioni coordinate e di più ampio respiro se si riesce. La Chiesa è ancora giovane e ha bisogno ancora di molto cammino. E noi missionari che abbiamo buttato le fondamenta di essa dobbiamo continuare a credere fortemente in ciò che il nostro fondatore S. Daniele Comboni ha creduto fin sul letto di morte: Salvare l’Africa con l’Africa! Cioè rigenerare la società, la Chiesa con gli Africani stessi cominciando da chi fa parte della comunità cristiana.
Vivere questo ministero vuol dire per me ora pregare di più sia per me che per i miei confratelli. Per me stesso perché possa insieme ai 4 consiglieri eletti dai confratelli amministrare e condurre la vita e la visione comboniana con la dovuta saggezza e lungimiranza. È la terra del Comboni e quindi mi affido sempre al grande aiuto da parte sua. Per i miei confratelli perché possano trovare sempre la forza, il coraggio e le motivazioni per essere davvero al servizio del Vangelo, della gente e dei poveri con la dovuta serenità e gioia. Scopro così che Lui ci dà anche l’opportunità di far crescere la missione e se possibile di farla vivere più in pienezza organizzando momenti di riflessione e confronto, approfondimento e studio, preghiera e condivisione sia tra noi ma sempre aperti agli altri. Essere punto di riferimento di molti qui in Sud Sudan e all’estero per dare una mano alle missioni e viceversa. Insomma un altro modo di vivere la mia vocazione e missione per questo tempo. Almeno per questi primi tre anni …..poi vedremo. Solo il Signore sa…..
LA STORIA DEL CAPRIOLO DELLE MONTAGNE……
Non so se tu lo sai ma ultimamente mi diverto settimanalmente a mettere qualche storiellina sul mio profilo facebook in internet. Storie a volte vere a volte inventate ma piene di saggezza e di lungimiranza. Ho pensato così di concludere la lettera con una di queste storielle. Proprio per continuare insieme a sentire questa nostalgia di un profumo soave e profondo di Vita…..:

"Tardi ti ho amato, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amato. Ed ecco che tu stavi dentro di me e io ero fuori e là ti cercavo. E io, brutto, mi avventavo sulle cose belle da te create. Eri con me ed io non ero con te. Mi tenevano lontano da te quelle creature, che, se non fossero in te, neppure esisterebbero. Mi hai chiamato, hai gridato, hai infranto la mia sordità. Mi hai abbagliato, mi hai folgorato, e hai finalmente guarito la mia cecità. Hai alitato su di me il tuo profumo ed io l'ho respirato, e ora anelo a te. Ti ho gustato e ora ho fame e sete di te. Mi hai toccato e ora ardo dal desiderio di conseguire la tua pace".
(Dalle Confessioni di Sant'Agostino, vescovo di Ippona)


Confidino in te quanti conoscono il tuo nome,
perché tu non abbandoni chi ti cerca, Signore
”.
(Sal 9,11)


Un abbraccio a te e a tutti i tuoi cari. E anche a coloro che non hanno nessuno che li pensa e li accolga. Sotto trovi il mio nuovo indirizzo e telefono. Come noterai abbiamo aperto proprio in queste ultime settimane un sito per la nostra provincia comboniana del sud sudan. Prova a visitarci…..
Un mondo di Amani – Pace!

         
DANIELE


Il mio indirizzo è il seguente:

Fr. Daniele Moschetti, MCCJ
COMBONI MISSIONARIES
P.O. BOX 148
JUBA - SOUTH SUDAN
+211 (0) 956 191 126    Vivacell
+211 (o) 929 211 494    Mtn

ssmccj@gmail.com
daniele@korogocho.org
www.combonisouthsudan.org


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