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VIta comunitaria e vita tra la gente

Lettera di Natale di fr. Rizzetto

LETTERA DI NATALE 2009 AGLI AMICI

Carissimi, 

un saluto ed un sorriso dal Kenya. Ho lasciato passare un po’ di tempo prima di dare mie notizie. Con alcuni di voi sono riuscito a rimanere in contatto più assiduamente. Con altri mi scuso per il lungo silenzio. Questa lettera “pubblica” rischia di essere impersonale, ma desidero davvero condividere con voi parte del mo cammino missionario qui in Kenya. Ho riletto la prima lettera che vi avevo scritto al mio arrivo in agosto e mi è sembrata un po’ complessa. Probabilmente perché neppure io sapevo che cosa mi aspettava e ho cercato di razionalizzare su molti aspetti- più per aiutare me a capirli che voi ad esserne parte. 

Sono molto contento per molte cose. Ciò che caratterizza la mia presenza qui è l’incontro di questi tre elementi: Vita Comunitaria Comboniana, Studio ed Apostolato.

Vivo in una Comunità internazionale. Siamo in dodici da tre diversi Continenti (Africa, Europa ed America Latina), Alcuni di noi sono impegnati nello studio dell’inglese per poi affrontare altri studi od preparazione teologica o ministeriale. È un ambiente molto fraterno ed accogliente. Questa è pensata come ultima tappa della Formazione di base per i Missionari Comboniani: durante il periodo dei voti temporanei ci viene data la possibilità di un esperienza per rafforzare il legame con l’Istituto e identificarci di più con il tipo di servizio da offrire alla Gente ed alla Chiesa.

Condivido lo studio di Apostolato Sociale al Tangaza College con altri due giovani Fratelli Comboniani. Tornare a scuola dopo cinque anni è stato interessante… L’obbiettivo del corso è di formare agenti laici di trasformazione sociale, dare strumenti per leggere la realtà nelle sue dinamiche ed aiutare la gente a liberarsi dalla povertà, dalla dipendenza e dalle strutture oppressive ma anche a diventare protagonisti della promozione della Pace e della Giustizia. Grazie  ai corsi frequentati questo semestre ho potuto rileggere la precedente esperienza vissuta in Uganda, con le sue luci ed ombre. Il bello del corso è proprio il fatto che permette di creare un legame tra la riflessione teorica e il servizio concreto che si porta avanti. Il corso mi ha aiutato a leggere con una nuova prospettiva il servizio che sto vivendo qui in Kenya.

A settembre ho cominciato a visitare lo slum –baraccopoli- di Korogocho. Questa realtà è solo una delle tante  -circa duecento- baraccopoli di Nairobi. I Comboniani e le Comboniane sono presenti con una Comunità ed alcuni progetti. Sono entrato a far parte del progetto di Home Based Care (letteralmente: “cura basata sul supporto della famiglia”) per persone affette da HIV/AIDS, che vivono a Korogocho. Quando la pandemia ha cominciato a diffondersi rapidamente nella baraccopoli durante gli anni ‘90, questa strategia è sembrata la migliore per assistere i malati ed aiutare le famiglie a prendersi cura delle persone affette. Agenti di salute furono scelti dalle piccole comunità cristiane e dopo un periodo di formazione furono inviati a visitare i malati a casa, nel loro vicinato ed informare gli infermieri a servizio del progetto delle loro necessità. La possibilità di conoscere il proprio serostato venne offerta ed una piccola clinica per la distribuzione dei farmaci venne aperta. Da allora il progetto ha continuato a servire la comunità ed a formare agenti di salute. Non solo: sapendo che, per il momento, i farmaci antiretrovirali (quelli specifici per il trattamento dell’infezione da HIV) non sono curativi ma contengono semplicemente l’infezione, e consapevoli del  loro costo elevato, alcuni rimedi naturali vengono preparati e messi a disposizione dei malati, alcuni dei quali hanno problemi ad accettare i farmaci perché associano il loro uso all’essere identificati come sieropositivi. I risultati sono assai soddisfacenti. Una grande attenzione è posta sull’aspetto spirituale: un equipe è incaricata di accompagnare pastoralmente gli ammalti e mettersi in contatto con la Comunità dei Missionari o delle guide spirituali di altre denominazioni per assistere gli ammalati con la Preghiera ed i Sacramenti

Un altro aspetto del Progetto è la formazione degli agenti di salute “familiari”. Parlando di una malattia cronica, è necessario, soprattutto in un ambiente come Korogocho, poter garantire che le persone ammalate siano seguite a casa, riducendo i ricoveri in ospedale, che comunque sarebbero un peso per la famiglia. Con mio grande stupore ho scoperto che nella maggior parte dei casi, chi si prende cura dei malati a casa sono… i bambini! Bambini/e dagli otto ai sedici anni sono accolti nel progetto e ricevono un minimo di formazione infermieristica che permette loro di provvedere, nei limiti del possibile ai bisogni degli ammalati o almeno di riconoscere quando è necessario riferire l’ ammalato all’Hospice o all’ospedale. Ciò che colpisce è vedere bambini/e e ragazzi/e prendersi cura dei propri genitori, con grande amore e spirito di servizio.

Quando sono entrato nel progetto, mi è stato chiesto in quale settore volessi operare. Ho scelto di stare nel Programma dei bambini (Huduma ya Afya) e di visitare i pazienti a casa accompagnando gli Agenti di salute. Queste due attività danno la possibilità di comprendere la realtà dello slum da una prospettiva unica: quella del cammino, fianco a fianco. Condividere le conoscenze ricevute dagli studi medici con persone, che notoriamente non avrebbero accesso ad esse (o non dovrebbero avere accesso), è per me un privilegio. In questo tempo ho cercato di dare il mo contributo alle loro “lezioni”, cercando di utilizzare un linguaggio semplice e… di non essere noioso! Comunque sono sempre rimasto molto colpito dalla loro intelligenza e dalla prontezza nel rispondere. Un seplice manuale di “Home Based Care” è stato messo insieme grazie al lor contributo ed ai loro disegni.

Mentre scrivo, mi vengono in mente i volti di David, Nicholas, Stella, Emmanuel, Prisca, Mary, Janet, Rosemary e molti altri che con la loro semplicità mi hanno dato tanto in questi mesi. David è un ragazzo gentile, con la pace negli occhi. Ha la stoffa del leader e sono sicuro che potrà dare un grande aiuto, insegnando ai suoi compagni. Con Nicholas e Prisca forma un trio quasi imbattibile quando si gioca a calcio. Stella è un’altra ragazza del Progetto ed è anche una chierichetta della parrocchia di St John: quando non viene agli incontri, sono certo di trovarla in una bancarella lungo la strada a vendere frutta e verdura, per aiutare la famiglia. Janet è un vero maschiaccio. Incapace di stare ferma, molto “svelta” alle mani e comunque simpaticissima. Mary, Emmanuel e Rosemary sono danzatori per la Messa domenicale (qui la Liturgia è accompagnata anche dalle danze: più avanti parlerò di questo aspetto): ci mettono molto impegno e di solito ci tengono ad essere visti... Un altro aspetto bello dello stare con i ragazzi/e del Progetto, è la possibilità di visitare assieme a loro le famiglie. Ho trovato molta dignità nelle persone che ho incontrato: pur vivendo in baracche di fango e lamiera, c’è una grande ricchezza di umanità. Molto spesso ci viene espressa gratitudine solo per il fatto di essere andati a trovarli. I genitori sono molto contenti dell’impegno dei figli/e. Quando ci incontriamo con loro, preghiamo un po’ assieme e ci scambiamo un gesto di benedizione, imponendo le mani l’uno all’altro. È sempre un momento molto bello ed intenso.

Talvolta non è facile. A volte ho incontrato persone che non accettano la loro malattia o semplicemente si vogliono lasciare morire. E’ il caso di Joaky, una donna vedova e senza figli che, dopo essere stata portata in un centro per anziani e poi dalle Suore Missionarie della Carità, sempre fuggendosene vie ha semplicemente deciso di rimanere nella sua baracca aspettando la fine. Rimasi sconcertato ma è proprio vero che la libertà dell’altro è sempre un grande mistero,  che merita più silenzio che giudizio.

Sono molto grato per questa opportunità. Mi sembra di essere la posto giusto e,  la di la delle cose che posso fare –poche- sono molto contento per ciò che sto imparando e per l’affetto che sto ricevendo dalle persone che incontro. Non niente da offrire a voi se non l’augurio che questi volti che ho incontrato possano accompagnare voi, così come hanno accompagnato me in questi mesi. Vi chiedo di continuare a pregare per me e per la Gente del Kenya. 

Con questo vi porgo i più sinceri 

AUGURI DI UN BUON NATALE E DI UN NUOVO ANNO 2010, PIENO DI VITA 

Vi abbraccio con grandissimo affetto. In cammino!

Fratello Paolo Rizzetto, MCCJ.












 

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