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Intrecci di Vita: parole ed emozioni

Anche san Daniele Comboni aveva fame e sete, e la sua fame e la sua sete partivano da un sogno: “Salvare l’Africa con l’Africa”. Noi in questo viaggio abbiamo visto i semi di questo sogno: lottiamo perché continui!

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Raccontare un viaggio di 20 giorni in un terra così ricca di incontri, di realtà e comunità in poche righe non è facile, provare a farlo come un diario ancora di più, quindi voglio raccontarvi questo campo internazionale GIM 2019 in Mozambico utilizzando uno strumento per noi significativo durante l’esperienza. Hanno guidato le nostre riflessioni durante il viaggio alcune parole “chiave” che erano espressioni di alcune parti del Vangelo e di alcuni scritti di San Daniele Comboni. Le parole sono tante, userò quindi quelle che per me sono state più significative delle altre. L’ultima parola invece è una parola che mi è risuonata durante gli ultimi giorni di viaggio, quando abbiamo lasciato che le parole “chiave” sorgessero spontanee dal nostro cuore. 

CARITÀ
La vita tipica del cristiano del “Nord del mondo” è legata alla carità come elemosina, come gesto con cui diamo qualcosa per i “bisognosi” e proseguiamo con la nostra vita. Arrivare in Africa e meditare su questa parola e sul brano di vangelo “amerai il Signore Dio tuo…amerai il prossimo tuo come te stesso”, ti fa percepire che chi dedica la propria vita ad gentes, come missionari e missionarie, sono sublimazione di questa parola. Ci siamo ritrovati così nel bel mezzo del nulla, nel mato, in questa bellissima missione, Chipene, con due missionarie comboniane, sr Maria e sr Paula, che ci hanno fatto conoscere meglio il significato della parola carità. Penso all’amore dedicato alle ragazze del Lar dove amarle significa dare delle regole, dei tempi e cercare di far capire che il ruolo della donna può essere diverso da quello tradizionale, ma anche a quello donato ai bimbi piccoli del programma di nutrizione, con il quale si cerca di aiutare i bambini in una crescita sana e regolare.
Abbiamo visto anche la carità farsi dignità: se penso a sr Paula che da una mano nella comunità agli scambi di incontri tra donne di zone diverse, credo che in fondo sia un modo per dar loro un ruolo ed un significato importante, fornendo così un valore al ruolo della donna oltre che un aiuto. Allo stesso modo abbiamo assistito ad una contrattazione tra sr Maria ed un giovane venditore di banane: si percepiva la voglia di acquistare per dare una mano al piccolo venditore, ma non è stato un “tieni soldi va là poverino” ma un “fammi vedere che sai fare il tuo lavoro ed io comprerò”. Nella mia riflessione ho pensato che chi va per donare in realtà va per incontrare e nello scambio reciproco la carità diventa segno dell’amore di Dio. Forse anche noi avremmo donato parte del nostro tempo, ma molto di più abbiamo ricevuto in affetto e paesaggi bellissimi che serbiamo nel nostro cuore.

COMUNIONE
La riflessione su questa parola fatta durante il campo è stata legata ad esperienze di condivisione viste a Chipene, come le ragazzine che si davano una mano nel farsi le treccine, ma qui vorrei sottolineare il senso della comunione come dello spezzare il pane e condividere il cibo. Infatti il nostro gruppo per qualche giorno si è diviso ed ha vissuto esperienze diverse in comunità diverse. La gioia del ritrovarsi tutti insieme per un magnifico tuffo nell’oceano nelle acque cristalline di fronte a Memba è stata anche il piacere del racconto e della condivisione. Siamo diventati nutrimento l’uno per l’altra raccontandoci le esperienze vissute, partendo dagli aneddoti più simpatici ed arrivando alle cose che ci hanno toccato il cuore nel profondo. Questo ritrovarci ci ha legato ancora di più ed abbiamo condiviso con maggiore gioia le esperienze successive.

L’ORA DI DIO
Abbiamo incontrato Dio tante volte in questo viaggio: negli stupendi paesaggi naturali, nella spiaggia bianca, nelle onde dell’oceano, nell’acqua cristallina, negli alti “coqueri”, nei maestosi baobab, ma soprattutto negli incontri. Abbiamo conosciuto tante comunità sia di sorelle, che ci hanno ospitato con squisita gentilezza e ci hanno testimoniato con i racconti della loro vita le volte che hanno incontrato Dio nello stare con questo popolo, sia di villaggi o quartieri che nel loro accoglierci ci hanno fatto percepire la presenza del Dio della vita. Abbiamo visto tanti bambini e nei loro sorrisi è stato facile vedere il volto di Dio e quando le loro piccole braccia ci hanno abbracciati ci siamo sentiti accolti ed amati. Abbiamo incontrato anche gli avi nei cimiteri, in particolare le comboniane e i comboniani che in questa terra hanno lasciato il loro corpo terreno, e anche qui siamo stati toccati da Dio.
Abbiamo incontrato tante persone con cui abbiamo scambiato un cenno di saluto sulla strada, sulla terra rossa: incontrando umanità, sempre si incontra Dio, inoltre pensando a miei piedi impolverati non ho potuto non pensare ai tanti brani di Vangelo in cui si parla di polvere, e anche questo ovviamente mi ha fatto sentire più vicino a Dio. Abbiamo visto anche i sofferenti e la loro fede ci ha fatto sentire veramente piccoli nella nostra. Abbiamo incontrato Dio nei canti gioiosi, nelle danze, nel celebrare senza orologio perché l’eucarestia è occasione di comunità e non un mero obbligo settimanale. Abbiamo incontrato Dio nei giovani che ci hanno detto quanto sia difficile convertirsi e ancora di più vivere seguendo Gesù. Abbiamo incontrato Dio sul monte dove ci siamo ritirati per la nostra riflessione finale, quando abbiamo capito che Dio ci aspetta a casa e che sta a noi viverlo come lo abbiamo vissuto in Africa.

GIOIA
Riflettere e parlare di gioia nella sofferenza mi è sembrato strano ed in fondo anche un po’ assurdo. Eppure mi vengono in mente i racconti delle sorelle durante la guerra: stavano parlando di eventi terribili, di momenti di paura in cui ci sono state anche morti, eppure raccontano gli aneddoti quasi in modo scherzoso, raccontando la parte simpatica e quasi tralasciando la parte drammatica, facendo trasparire la gioia o comunque quell’atteggiamento di serenità che va oltre la tragedia perché dotate della forza della fede.
Un altro episodio a cui penso è l’incontro con Papaito: siamo in un bairro della parroquia de Santa Cruz di Nampula, zona molto degradata della città in cui gli abitanti sono molto poveri. Papaito è un giovane il cui corpo fin dalla nascita è deforme e per questo non si può muovere da casa. Siamo andati a casa sua e ci ha accolto con un grandissimo sorriso, ci ha stupito tantissimo. Visto la zona dove abita dovrebbe preoccuparsi del suo futuro considerando le difficoltà legate al suo corpo, ed invece no: la principale preoccupazione di Papaito è capire se essere musulmano come il padre o cristiano come la madre. Ci ha mostrato lui più gioia per la vita di tanti altri! Anche le bambine del Lar Elda ci hanno fatto vedere la loro gioia e la loro allegria, eppure sappiamo che provengono da situazioni familiari difficili: anche loro, sebbene sicuramente stimolate da chi le ha accolte, ci hanno fatto capire che la gioia nasce dalle piccole cose e anche dall’affidarsi a Dio.

FAME E SETE
La fame e la sete sono mie, sono il desiderio di capire cosa abbia significato per me questo viaggio e come posso portare nel mio cuore le mille cose viste e provate, ma la fame e la sete sono anche quelle del popolo mozambicano che vive in condizioni di povertà nonostante le ricchezze del suo sottosuolo o quelle dei rifugiati di Maratane che da anni anelano ad un riconoscimento come cittadini ed invece vivono in questa terra come una sorta di limbo, magari con più cibo ed intraprendenza di altri ma senza la libertà. Anche i bimbi piccoli conosciuti a Chipene hanno fame e sete e per questo c’è chi insieme a loro lotta per la loro crescita. Anche i missionari e le missionarie hanno fame e sete di giustizia, hanno desiderio di dare una mano a cambiare questo mondo e per questo ad esempio le Comboniane del Mozambico si impegnano per la scuola femminile di Nacala, per dare un’opportunità a queste giovani di essere il futuro del proprio Paese. In fondo anche San Daniele Comboni aveva fame e sete, e la sua fame e la sua sete partivano da un sogno: “Salvare l’Africa con l’Africa”. Noi in questo viaggio abbiamo visto i semi di questo sogno: lottiamo perché continui!

Voglio concludere questo racconto con una parte di una poesia che è stata la conclusione del nostro viaggio: 


"Perdersi, smarrirsi,
lasciar emergere la parte più fragile
celata nell’anima.
Mettersi in viaggio, in cammino
E farlo con un bagaglio leggero. 
Attraversare confini, deserti

E venire attraversati in certi frangenti
Dal timore, dall’ansia. Eppure…
Lasciandosi pervadere
Da un intimo senso di smarrimento
Accorgersi che l’unico vero pericolo
È quello che si lascia alle spalle..."

Federico

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