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Lettera di padre Filippo Ivardi dal Ciad.

Abéché, 2 dicembre 2018, inizio dell’Avvento

Liberando Umanità

Sui passi del Dio che irrompe

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Il Dio di Gesù di Nazareth sceglie per passione la strada dell’immersione radicale tra gli uomini. Mette la sua tenda. Non si lava le mani. Se le sporca. E dal basso della terra libera tra gli uomini quella potenzialità innata, straripante e autogenerativa di uscire da sé per dare vita e speranza agli altri. Così la vita circola, aumenta, rinasce. Genera Natale. Libera umanità. Provoca la felicità vera delle Beatitudini: più dai e più ricevi, più ti impegni per un mondo radicalmente più giusto e più ne cogli i frutti. “C’è più gioia nel dare che nel ricevere” diceva Paolo agli anziani di Efeso (At 20,35).

Così carissimi amici e amiche vorrei condividere con tutti voi qualche passo che Dio mi ha fatto percorrere e mi ha insegnato sulle strade polverose del Ciad in questi intensissimi nove anni. Rileggendo l’incontro di Gesù di Nazareth con la donna cananea riscopro alcune PAROLE che diventano pietre miliari nel cammino della mia vita. Per farne tesoro in vista della prossima missione in terra d’Italia…dall’anno prossimo!

 

PROSSIMITA’: v.21 “Partito di là, Gesù si ritirò verso la zona di Tiro e Sidone”:

Gesù di Nazareth cammina e visita. Sempre vicino alla gente. Mi ha insegnato a entrare nelle case, villaggi, scuole, ospedali e prigioni, a passare il tempo in mezzo al popolo, mangiando quello che si trova e prendendo il the assieme. Sulla stuoia o sulla sedia. Raccontandoci la vita, sogni, attese, paure e angoscie. Quelle dei discepoli di ieri e di oggi. Dando conforto ai malati, agli afflitti. Ricevendone in cambio il doppio. Osservando volti, sentendo il battito del cuore del popolo. Rianimando speranza tra le vene aperte degli ultimi della terra. Lasciandomi scaldare la vita dal calore umano che riserva un abbraccio vero. Nelle comunità cristiane, visitando imam e pastori protestanti, incontrando sulla strada. Anche la notte profonda quando Claude mi chiama per portare sua moglie grave in ospedale. Visitando per dare importanza all’altro come mi insegna Olivier: “Papà Filippo, quando vieni a trovarci per noi è un onore”. Visite improvvisate ai vicini, la sera quando il sole aggressivo di questa terra ci lascia respirare. Per terminare sempre con le mani rivolte al cielo, affidando al Dio della vita i nostri passi sulla terra.

IMPOTENZA: v.22 “Ed ecco una donna cananea, che veniva da quella regione, si mise a gridare: “Pietà di me Signore, figlio di Davide! Mia figlia è molto tormentata da un demonio”

La donna che grida è disperata. Non sa più cosa fare. Sente l’impotenza dentro e fuori di sé. Ho imparato sulla pelle cosa vuol dire non trovare soluzione. Anche dopo notti insonni, riunioni a non finire sotto il grande albero. A volte mi sono sentito proprio inutile. Spesso nel marasma di questo sistema strutturalmente così ingiusto, non sapendo cosa fare, mi è rimasta la sola soluzione che mi ha insegnato Lele Ramin dal Brasile: un abbraccio! Eppure la mia pretesa di risolvere sempre tutto ha pian piano imparato a lasciare spazio a Dio. Ai suoi tempi, al suo modo, alle sue sorprese. Ho gridato anch’io al Padre nelle mie notti ciadiane. E Lui ha risposto quando meno me l’aspettavo. E’ intervenuto per liberare dalle fatiche insormontabili. Due processi di riconciliazione con alcuni fratelli che pensavo ormai impossibili. Come ha sperimentato Paolo: “Tutto è possibile in Colui che mi dà la forza” (Fil 4,13)  

COLLABORAZIONE E FRATERNITA’: v.23 “Ma egli non le rivolse neppure una parola. Allora i suoi discepoli gli si avvicinarono e lo implorarono: “Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando!”

Strano l’atteggiamento di Gesù. Neppure una parola a colei che soffre. La donna è straniera e pensa a lui come figlio di Davide, nel solco della tradizione di Israele. Un re forte, vittorioso, vendicativo. Ma chiede misericordia per sua figlia allo stremo. Il silenzio di Gesù sembra allora destinato a far fare un passo in avanti alla donna. Per incontrarlo nella sua vera identità. Ho imparato in questi anni d’Africa che è importante lasciare fare il passo all’altro. Quando un idea, un progetto, un sogno viene direttamente dalla gente va in porto con dei frutti. Quando è pensato solo da noi allora resta una buona idea e poco più. Così vale per la nostra comunità comboniana: la nostra forza è sognare, pensare, realizzare insieme le diverse attività. Come fratelli che si ascoltano e decidono insieme. Così é importante lasciare il tempo all’altro per farsi avanti, anche quando i nostri più vicini collaboratori ci invitano a prendere sempre l’iniziativa. Se una comunità cristiana fa il primo passo allora tutto è più facile. La collaborazione va da sé. La fraternità chiude il cerchio. Sono cominciati così i pozzi a Goz Beida e Koukou, la banca dei cereali del Movimento Rewnodji, il progetto formazione al cucito e la pressa ad olio per le donne musulmane. Le scuole di Oum Hadjer e Adré, Guereda e Goz Beida, l’acqua a Biltine.

MISTICA: v. 25 “ Ma la donna si mette in ginocchio davanti a lui e dice:” Maestro aiutami!”.

La donna cerca col cuore la relazione con Gesù. Senza il contatto diretto e costante con Gesù di Nazaret la missione non tiene. Me lo disse un giorno nei denti un comboniano che è nato in cielo la settimana scorsa, fratel Elia: “Se non preghi, caro mio, tornerai presto a casa dall’Africa!”. Era vero. Nella gioia e nel dolore della missione si resta solo se si è aggrappati a Lui. Per riconoscerlo al lavoro tra i volti e le vicende del nostro popolo. La missione è sua e siamo noi ad aiutarlo e a collaborare con lui. Noi a dare una mano allo Spirito di vita che trasforma il mondo. Gregari e non protagonisti. L’unico insostituibile nella missione è Lui!

SENSO DI APPARTENENZA: v.26 Gesù rispose:”Non è bene prendere il pane dei bambini e darlo ai cani”

La risposta di Gesù sembra ancora più dura. Anzi razzista. Chi può chiamare gli altri “cani”? Gli ebrei, che si consideravano i bambini preferiti da Dio, chiamavano con disprezzo i pagani “cani”. Gesù è profondamente ebreo, radicato nella sua cultura. Qui provoca il cambiamento della donna che prima era in piedi e ora in ginocchio. Prima lo chiamava “Figlio di Davide” come chi non ha capito nulla e ora “ Maestro” come i discepoli che imparano da lui. Gesù sta preparando il passo finale della donna. Gesù appartiene ad una cultura precisa ma va oltre per lasciare spazio al Vangelo che si immerge e fa nuove tutte le cose. Così ho imparato un po' in Ciad a sentirmi più parte della mia famiglia comboniana con le nostre ricchezze e i nostri limiti. Cadute e risalite. Dentro le molteplici culture ciadiane che ci hanno accolto. Per provare a lasciarci trasformare dal Vangelo in fratelli e sorelle. Oltre lingue, colori della pelle, tradizioni, religioni. Nel pellegrinaggio della pace con giovani cristiani e musulmani, che abbiamo terminato a Mongo sabato scorso, ho respirato a tratti il sogno di Dio.

UMILTA’ E AUDACIA: v.27 “ E’ vero maestro, dice lei, nonostante ciò i cani mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro maestri”.

La donna non si arrende e la sua audacia la porta a fare il passo decisivo. Quello dell’umiltà. La povertà vera. Il riconoscersi nulla davanti a Lui che ci vuole accogliere con tutti gli onori. Più ti abbassi e più Lui ti rialza. Più ti gonfi e più la vita stessa ti stende. Dalle umiliazioni ho imparato un po' l’umiltà. Di chiedere perdono. Di riconoscere errori e mancanze. Di non avere sempre ragione o la migliore idea. Di tacere al momento giusto. Di riconoscermi piccolo e fragile. Bisognoso di Dio e dei fratelli sempre. Ho imparato, un po' soltanto, ad obbedire. A lasciare il Ciad per un nuovo servizio in Italia. Senza averlo chiesto né desiderato.  

FIDUCIA: v.28 “Allora Gesù le rispose: Oh! Com’è grande la tua fiducia! Dio ti darà quello che desideri. E sua figlia fu guarita in quello stesso istante”

Ecco che la donna è arrivata dove Gesù voleva portarla. Alla fiducia piena. Non nella sua idea di Dio magico, forte e vittorioso, appartenente ad una cultura precisa. Ma nel Dio di Gesù. Il Padre di tutti che attende sulla strada il nostro ritorno. Il Dio che, per primo, ha fiducia in noi. E che attende la risposta fiduciosa e umile da parte nostra. Ho imparato un po' a dare fiducia alla nostra gente. A farli sentire importanti. Come loro hanno fatto con me. Anche quando mi hanno tradito. Così è il sogno di Daniele Comboni che non può fermarsi nonostante gli ostacoli e le prove del cammino.

 

Sempre e comunque in cammino liberando umanità.

Sempre e comunque in cammino liberando l’Africa con l’Africa.

Buon tempo di Avvento,

Vostro sempre Filo

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