Al "Colegio Jesús
Obrero", in avenida Repúbblica del Perù, una parallela dell’avenida
Tupac Amaru a Lima, tutti stanno aspettando padre Gustavo Gutiérrez. Lui non si
fa attendere molto. Arriva, un poÂ’ claudicante, un uomo piccolo di statura. La
gente riconosce subito il fondatore della Teologia della liberazione. Deve
tenere una conferenza sulla figura di monsignor Oscar
Romero. Gutiérrez ne
parla senza esitazione ed evidenzia tutta la forza del messaggio del vescovo
salvadoregno. Lo definisce un «impressionante testimone di solidarietà . Un
martire della Chiesa, della Chiesa latinoamericana per quello che ha fatto, non
perché è stato ucciso. Romero non si è limitato a denunciare la povertà , ma
ne ha cercato le cause». Gutiérrez ne parla come se fosse ancora vivo: «Il
suo messaggio è più attuale che mai».
Padre Gustavo, terminata la charla, la chiacchierata tra amici, ne
accetta un’altra con un giornalista europeo. «Romero lo conoscevo bene, molto
di più di quanto abbia detto qui... ma questo è un altro discorso». Vuole
tagliare corto. «I sermoni di Romero erano storici, duravano più di un’ora.
La gente era incollata alle panche della chiesa. Se uno qualsiasi di noi
predicasse per così tanto tempo, la gente prenderebbe la strada dell’uscita.
Con Romero le cose andavano diversamente. Tutti lo ascoltavano, compresi i suoi
"killer". Ciò che ha provocato l’ira dei suoi assassini è stato
proprio il fatto che Romero abbia individuato le cause della povertà del popolo
salvadoregno».
Per Gutiérrez è facile passare alle considerazioni più legate alla realtÃ
in cui vive. «In Perú», racconta, «si tratta di ricostruire un Paese in cui
la giustizia venga rispettata. Infatti, qui le differenze tra la gente si stanno
acutizzando, la fossa tra ricchi e poveri si sta allargando drammaticamente. Lo
stesso Giovanni Paolo II allÂ’Avana andava dicendo: "Cuba si apra al mondo
e il mondo si apra a Cuba". Con questo ha voluto significare che le
politiche economiche imposte dal Nord al Sud del mondo non fanno altro che
aumentare le distanze tra ricchi e poveri. I ricchi sempre più ricchi e i
poveri sempre più poveri. Nella visita a Cuba, il Papa ha saputo collocarsi al
livello della persona umana. Per questo considero questo viaggio estremamente
interessante. Nei suoi discorsi c’era una domanda di libertà per Cuba e una
dura critica al neoliberismo. Questa è una condizione da combattere».
- Che cosa precisamente bisogna combattere?
«La situazione di fragilità rende il povero più vulnerabile a ciò che
accade. Le distanze si vedono anche nelle cose concrete. Il fenomeno del Niño
lo ha evidenziato benissimo: le strutture delle case, quelle dei poveri,
sono tutto fuorché solide. La furia del Niño ha sommerso tutto ciò che
poteva: la metà delle abitazioni precarie degli insediamenti marginali è stata
distrutta. Il Niño, che non risparmia nessuno, ci ha fatto notare queste
differenze. Il povero è distante e diverso. Ma la povertà non si evidenzia
solo nella concretezza delle cose, ma ha una sua manifestazione ancora più
importante e drammatica. Il povero è ai margini, non conta nulla. Senza la
solidarietà , la fragilità non troverà mai risposta. In Perú si dice che
l’economia funziona. Questo è un assioma che il Governo tenta di far passare
nell’opinione pubblica e spesso ci riesce. Ciò che conta, ma è negativo, è
che la solidarietà è considerata dall’economia di mercato una trave, un
ostacolo. Come in tutto il mondo lÂ’egoismo e lÂ’individualismo stanno
penetrando il mondo cristiano e questo accade anche nel nostro Paese. Per questo
solidarietà vuol dire giustizia».
- Giustizia significa anche diritto alla vita?
«Certamente. Basta guardare alla campagna di sterilizzazione in atto nel
nostro Paese: questo è disprezzo nei confronti delle nostre madri. Oltretutto,
spesso, la sterilizzazione è praticata con l’inganno. Tutto ciò lede i
diritti fondamentali della persona umana. Nel nostro Paese il diritto alla vita
è molto maltrattato. Povertà significa morte, morte ingiusta. È grave che il
diritto alla dignità umana venga disatteso e, spesso, negato».
- In tutto il mondo il nome di Gutiérrez è sinonimo di Teologia della
liberazione...
«Sì, ma non tutti sanno che la mia prima preoccupazione è il lavoro
pastorale. Da 17 anni lavoro nella stessa parrocchia, in una zona vecchia e
molto povera di Lima. Non sono mai stato professore in alcuna Università del
Perú. Non ho insegnato teologia in alcuna facoltà . All’Università Cattolica
ho tenuto solo brevi corsi a gruppi di cristiani e laici. In altri termini, il
lavoro intellettuale non è la mia principale preoccupazione. Finché persiste
in America Latina la grande sfida della povertà , che "interroga" la
coscienza cristiana, la Teologia della liberazione conserva la sua
attualità ».
- Teologia della liberazione, cioè sfida evangelica alla povertà ?
«La Teologia della liberazione è nata dal confronto tra la fede cristiana e
la povertà . Questa situazione è sempre presente. La povertà è presente nel
mondo e la Bibbia, la fede cristiana e il messaggio evangelico hanno una parola
da dire su questo. Se la povertà è là , allora in questo caso la Teologia
della liberazione ha senso. Cosa è importante? L’opzione preferenziale per il
povero. Oggi si chiama così, ma l’idea è molto vecchia. Questo è il centro
della Teologia della liberazione. La preferenza di Dio per i poveri e gli
abbandonati si manifesta lungo tutta la Bibbia. Nel Vangelo è il caso dei più
deboli e bisognosi, dei malati, dei pubblici peccatori, delle donne e dei
bambini».
- Tutto ciò non è in contrasto con la dottrina sociale della Chiesa?
«No. Il tema del Giubileo è piuttosto una conferma di questa prospettiva.
L’America Latina è strangolata dal debito
estero. Questo è solo un aspetto,
ve ne sono tanti altri, ma questo è fondamentale. Il linguaggio del Papa, in
vari testi, è molto chiaro. Il tema del Giubileo parla della liberazione dalla
servitù, parla di giustizia, del diritto a possedere i mezzi necessari per
vivere con dignità , del perdono vicendevole. Parla anche di aprire la mano al
povero. Tutto questo fa parte di un tempo dedicato a Dio, di un Anno santo. Ciò
che è davvero importante, comunque, è la Bibbia, e il Giubileo è
unÂ’occasione per leggerla nuovamente. Se facciamo questa lettura nuova, nella
prospettiva del Giubileo, possiamo incontrare molti punti presenti nella
Teologia della liberazione. La centralità del povero è l’affermazione
fondamentale della Teologia della liberazione. Ma noi non abbiamo fatto altro
che ricordare l’affermazione della Bibbia».
- Lei è stato criticato aspramente, anche di recente, dalla gerarchia
ecclesiastica vaticana proprio per la sua "ecclesiologia". Non ha mai
pensato di "uscire" dalla Chiesa?
«No, perché amo la Chiesa, perché è il mio popolo, è la mia vita. Non
lÂ’ho mai pensato, nemmeno nei momenti difficili, anche se ho sofferto molto.
È la mia vita e la mia vita è la gente che sta qui. Voglio dire che è una
riflessione che viene dalla Chiesa e non da alcuni teologi. La dottrina sociale
della Chiesa tratta della morale sociale. La Teologia della liberazione
raggruppa tutti i temi che corrispondono e formano una teologia: Dio, Cristo, la
spiritualità , eccetera. Però è chiaro che l’insegnamento sociale della
Chiesa è una delle fonti della Teologia della liberazione, con in primo piano i
contributi di Giovanni
XXIII, Paolo VI e Giovanni Paolo
II. Insomma non è
unÂ’idea capricciosa. Credo anche che nella Chiesa sia possibile comprenderla,
aprendosi alla correzione e senza pensare di avere il valore assoluto della
verità . Io ho imparato molto da questa discussione sulla Teologia della
liberazione».
- Dunque non tornerebbe indietro, oppure scriverebbe in modo diverso, più
ortodosso, la Teologia della liberazione?
«Le rispondo con un episodio. Molti giornalisti mi hanno chiesto: se lei
dovesse riscrivere la Teologia della Liberazione ora, la scriverebbe nella
stessa maniera? Se avessi risposto "no", mi avrebbero detto che
ritratto tutto. Se avessi risposto "sì", mi avrebbero detto che non
ho imparato nulla. La risposta che ho dato a quel giornalista è stata questa:
"Sei sposato?", mi ha risposto sì. "Lei scriverebbe una lettera
dÂ’amore alla sua sposa come quando non era sposato o allÂ’inizio del
fidanzamento?" Lui mi ha risposto no. Ebbene, per me scrivere della
Teologia della Liberazione è scrivere una lettera d’amore al Dio in cui
credo, alla Chiesa che amo, al popolo a cui appartengo. Le lettere non possono
essere tutte uguali, ma l’amore è lo stesso. La teologia, per me, è una
lettera d’amore a Dio, alla Chiesa di cui faccio parte, al mio popolo».
a cura di Angelo Ferrari
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