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La nuova strategia della Coca Cola, il massacro delle famiglia

Intervista a Efraim Guerrero

Intervista a Efraim Guerrero,

segretario del SINALTRAINAL di Bucaramanga

In Colombia uccidere sindacalisti è all’ordine del giorno. Dal 1986 ad oggi 4000 militanti della sola confederazione CUT, tra affiliati e dirigenti, sono stati assassinati dai paramilitari. Le riforme neoliberiste, applicate da vent’anni in tutto il mondo, in Colombia vengono imposte con il terrore. In questo paese la ristrutturazione della produzione e del mercato del lavoro viene promossa minacciando, torturando e uccidendo i sindacalisti nel corso delle vertenze. Fra le imprese responsabili di queste violenze c’è la Cocacola, che ha un legame diretto con i paramilitari, e alla quale si può attribuire la responsabilità dell’uccisione di nove lavoratori iscritti al sindacato Sinaltrainal.

Per tutelare sé stesso e ottenere una maggiore agibilità nel condurre le vertenze il Sinaltrainal ha lanciato una campagna internazionale per il boicottaggio della Cocacola.

A Marzo, inoltre ,gli affiliati al sindacato dello stabilimento di Bucaramanga hanno portato avanti un lungo sciopero della fame chiedendo all’impresa l’apertura di un tavolo negoziale e la fine delle violenze. Al termine di esso, le dichiarazioni conciliatrici di Cocacola avevano fatto pensare a un cambiamento di rotta nel comportamento dell’azienda. Ma ad Aprile, non appena l’attenzione internazionale creatasi attorno allo sciopero è iniziata a diminuire, è arrivato puntuale l’ennesimo massacro. Ce ne ha parlato Efraim Guerrero, segretario del Sinaltrainal di Bucaramanga e vittima dell’ultima ondata di repressione.

Cosa chiedono i lavoratori del Sinaltrainal a Cocacola?

I lavoratori affiliati al sindacato nazionale dei lavoratori dell’industria alimentare , il Sinaltrainal, chiedono alla comunità nazionale e internazionale di collaborare con noi, dato che l’impresa multinazionale Cocacola dal 1991 ha licenziato più o meno 400 lavoratori iscritti al sindacato. E tra incarceramenti ,torture e licenziamenti ,oggi sono rimasti solo 50 lavoratori iscritti al sindacato. Il modello applicato oggi comporta la riduzione del numero dei lavoratori e anche le diminuzione dei salari ,perché l’impresa non li adegua all’indice di aumento dell’inflazione. Quindi quello che volgiamo far conoscere a voi, alla comunità internazionale, è la situazione complessiva dei lavoratori dell’impresa Cocacola.

Chi è che realizza le minacce, le torture e gli omicidi dei lavoratori del Sinaltrainal?

I responsabili sono i gruppi paramilitari, che ultimamente sono stati inclusi dentro lo stesso stabilimento. Esercitano il controllo attraverso l’uso di videocamere. E inoltre, negli spogliatoi, dove i lavoratori si cambiano, appaiono graffiti delle Autodefensas, dove si minacciano di morte i dirigenti sindacali, per il semplice fatto che difendono i lavoratori.

Tu hai un’esperienza personale, molto grave, di repressione. La puoi raccontare?

Sì ,effettivamente, il 4 Aprile del 2004 è stato assassinato un mio parente, più precisamente un cugino. E il 19 Aprile hanno ucciso altri tre miei familiari. Sono stati massacrati dai gruppi paramilitari , che poi hanno rivendicato il fatto. Stiamo lavorando perché si sappia al livello internazionale che hanno cambiato strategia: non agiscono più direttamente contro i sindacalisti ma se la prendono con le famiglie, per darci una lezione e fare in modo che rinunciamo al contratto di lavoro con l’impresa.

Prima di compiere questo massacro, i paramilitari hanno fatto delle minacce?

Sì, qualche giorno prima annunciarono che avrebbero commesso un omicidio, un delitto, senza però dire contro di chi. Semplicemente fecero la minaccia, e il 19 Aprile realizzarono il loro obiettivo con l’omicidio dei miei tre familiari. Delitto che sto denunciando.

Qual è stata la dinamica del massacro?

Sono entrati alle 5 della mattina, quando la signora che sorvegliava la loro residenza uscì per andare a comprare la colazione in un negozio. Entrarono, e senza domandare nulla ,o fornire spiegazioni, spararono a quelli che trovarono in casa. Nella casa si trovavano 8 persone, delle quali 5 rimasero illese e 3 uccise. Di quelli rimasti vivi, due sono dovuti fuggire per evitare che i paramilitari finissero di sterminare la famiglia.

Come si può continuare a lottare, in queste condizioni?

L’unica garanzia che abbiamo è quella di continuare la lotta, e continuare a lavorare in difesa dei lavoratori. Rimanendo nell’impresa e continuando a stare nel sindacato. Perché è stato già dimostrato, con il caso del lavoratore Adolfo Munera, che si era arreso alla compagnia ma è stato lo stesso ucciso dai paramilitari, che per loro il fatto che uno si ritiri non è un elemento importante. Quindi l’unica cosa da fare è continuare a lavorare nell’impresa e stare nel sindacato. Perché questo offre garanzie: siamo appoggiati al livello internazionale , e l’impresa è ormai allertata dalla campagna internazionale che denuncia gli altri omicidi. Questa campagna impone delle limitazioni al comportamento dell’impresa.

Una domanda personale: umanamente, come puoi continuare a lottare dopo quello che ti è successo?

La realtà è che si tratta della prima volta che sperimento l’uccisione di un familiare. E’ una cosa devastante e terribile. Però la convinzione nella lotta e l’impegno nella contrattazione collettiva mi obbligano ad andare avanti. E ormai il mio cuore e la mia mente sono rivolti all’organizzazione sindacale Sinaltrainal, che è quella che mi ha formato, e quella che mi ha finanziato perché io facessi i miei studi e la pratica necessaria per entrare nel sindacato.

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