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Gim Venegono (maggio 2005): Amando si vive

Missione giovane...

Amando si vive

La morte di Gesù: il più grande segno di vita

 

Catechesi del I Gim Venegono - Maggio 2005

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Dal Vangelo di Giovanni (19, 17-36)

 

17 Essi allora presero Gesù ed egli, portando la croce, si avviò verso il luogo del Cranio, detto in ebraico Gòlgota, 18 dove lo crocifissero e con lui altri due, uno da una parte e uno dall’altra, e Gesù nel mezzo.

 

Il tempo è giunto, l’ora di Gesù è questa: lo prendono e lo crocifiggono! Non ci sono più dubbi sulla “regalità” del Figlio dell’Uomo: la sua potenza si manifesta nella debolezza. Il suo trono è la croce. La sua gloria sono due braccia inchiodate che si aprono sul mondo. Ora non c’è più nessun dubbio: questo è il nostro Signore.

Lo crocifiggono tra “altri due”, così “poco importanti” da non avere nome. Sono i tanti crocifissi della storia, gli ultimi del Vangelo che non hanno importanza. Sono gli adolescenti uccisi nelle strade di S. Paolo dalla violenza della polizia e del traffico di droga. Sono i 4000 ragazzi detenuti nel riformatorio della città che vivono come se fossero in gabbia, trattati da animali e che diventano più brutali di quando sono entrati. Sono le tante mamme che accompagnate all’obitorio riconoscono i volti trasfigurati dei loro figli uccisi dalla violenza della strada.

I due crocifissi non hanno nome, ma possiamo vedere il loro volto in tanti che camminano per le strade della storia, questa storia dove anche io sono presente.

Ora finalmente tutti i discepoli comprendono che cosa significa “sedere alla destra e alla sinistra del Figlio dell’uomo”. Non secondo la logica del potere, ma della piena sottomissione alla volontà del Padre, che per amore, consegna il figlio nella mani dei persecutori. Tranne Giovanni, nessuno di loro, davanti alla croce, ha scelto di restare!

 

“Tenere gli occhi fissi su Gesù Cristo, Gesù Cristo crocifisso”. (S. Daniele Comboni)

 

19 Pilato compose anche l’iscrizione e la fece porre sulla croce; vi era scritto: “Gesù il Nazareno, il re dei Giudei”. 20 Molti Giudei lessero questa iscrizione, perché il luogo dove fu crocifisso Gesù era vicino alla città; era scritta in ebraico, in latino e in greco. 21 I sommi sacerdoti dei Giudei dissero allora a Pilato: “Non scrivere: il re dei Giudei, ma che egli ha detto: Io sono il re dei Giudei”. 22 Rispose Pilato: “Ciò che ho scritto, ho scritto”.

 

Pilato è immagine dell’umanità che “se ne lava le mani” di fronte a quanto gli accade attorno, prendendo parte ai fatti solo quando provocata, o quando i propri interessi sono messi a rischio. È bene lavarsene le mani, perché così le responsabilità sono minime. Eppure, nella logica del Vangelo, dovrebbe essere peccato, forse anche grave, anche quando non abbiamo il coraggio di prendere posizione, di schierarci. Dio l’ha fatto: con l’Incarnazione Dio si è fatto parte dell’umanità, e si è schierato al lato degli oppressi. (Cfr. Es 3, 7-12; Mt 25, 31-46). Dio non ha esitato a schierarsi.

 

23 I soldati poi, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti e ne fecero quattro parti, una per ciascun soldato, e la tunica. Ora quella tunica era senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo. 24 Perciò dissero tra loro: Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca. Così si adempiva la Scrittura: Si son divise tra loro le mie vesti e sulla mia tunica han gettato la sorte. E i soldati fecero proprio così.

 

Nella logica del profitto senza scrupolo, dalla parte del più forte, dell’oppressore che si fa forte della debolezza altrui, anche le poche cose dei poveri diventano fonte di guadagno! Ci si spartisce il poco di chi già non ha nulla. Si toglie a chi già non ha il sufficiente per sopravvivere. Il potere militare, forte delle sue armi e dei suoi investimenti bellici, sottrae ai popoli invasi la ricchezza della vita, le risorse destinate alle popolazioni locali, la bellezza della “shalom”. Usa il terrore per opprimere i deboli. Si appropria di tutto, seminando distruzione e morte. Anche quest’anno i proventi ricavati dal commercio di armi hanno sottratto molte energie utilizzabili nella ricerca medica, nello sviluppo, nella promozione umana, nella autentica democrazia.

 

“Se siamo capaci di investire tante energie per la guerra,

perché non facciamo altrettanto per costruire la pace?” (Mons. Bettazzi)

 

25 Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèofa e Maria di Màgdala. 26 Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: “Donna, ecco il tuo figlio! ”. 27 Poi disse al discepolo: “Ecco la tua madre! ”. E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa.

 

Dopo la fuga dei discepoli, chi resta presso al Croce sono le donne! La parte più debole della popolazione, insieme ai bambini, è quella che ha il coraggio di prendere posizione davanti allo scandalo dell’ingiustizia compiuta. Sono loro che si fanno carico della denuncia silenziosa della violenza perpetrata dal potere militare e religioso. Attraverso un’azione nonviolenta si pongono come testimoni del fatto. Di fronte alla scelta delle donne, Gesù semina germi di speranza. In questo momento apparente di sconfitta nasce la speranza. La nuova comunità comincia proprio davanti alla croce, al mistero della fragilità di Dio. Ma è proprio davanti alla croce che “nascono e crescono le opere di Dio”, perché la passione di Gesù è il più grande atto d’amore di Dio per l’umanità. Dall’albero della morte, nasce la primavera della vita. Le relazioni ora sono imbastite con una nuova prospettiva: la fraternità dell’amore conduce a far nuove tutte le cose. La comunità diventa segno della risurrezione (cfr. At 2, 42-48, 4, 32-35). Nella storia della chiesa, e non solo, tantissime testimonianze sono giunte da donne che hanno avuto il coraggio di promuovere azioni pacifiche di giustizia. Le mamme e le donne di “Praza de maio”, in Argentina, Cile, Perù, che per anni hanno sostato davanti alla croce dei figli e mariti “desaparecidos” a causa dei regimi dittatoriali militari. Le tante donne che hanno recato conforto e aiuto ai mariti e figli arrestati e torturati per motivi politici, religiosi, di coscienza. Le tante donne che hanno aiutato i processi di democratizzazione in Sud Africa dopo il regime dell’apartheid. E da questo impegno per la pace e la giustizia, sono nati nuovi percorsi per l’umanità.

 

28 Dopo questo, Gesù, sapendo che ogni cosa era stata ormai compiuta, disse per adempiere la Scrittura: “ Ho sete ”. 29 Vi era lì un vaso pieno d’aceto; posero perciò una spugna imbevuta di aceto in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. 30 E dopo aver ricevuto l’aceto, Gesù disse: “Tutto è compiuto! ”. E, chinato il capo, spirò.

 

“Ho sete”. Quale sete mantiene viva la ricerca dell’umanità? La sete del potere? La sete della ricchezza? La sete di sentirsi più forti e capaci, per sottomettere i miei avversari? La sete di Gesù è quella che lo porta all’incontro dell’umanità che ha smarrito il cammino. Alla samaritana propone l’acqua della verità, perché questa donna capisca che la libertà è frutto di scelte di autenticità e fedeltà alla propria vocazione. Ai malati e sofferenti propone l’acqua della guarigione nella fede, l’unica “acqua” capace di rifarci persone con piena dignità. Ai discepoli offre la possibilità di una vita piena perché ricca d’amore, di condivisione, di comunione, di solidarietà. È la prospettiva del Regno del Padre.

La sete di Gesù non è stata colmata dall’aceto. Piuttosto dalla consapevolezza di aver amato il Padre fino alla totale obbedienza della croce: “Ora tutto è compiuto”. La sete è colmata dall’aver amato fino all’ultimo i suoi, nella consapevolezza di avere mostrato il vero volto del Padre attraverso la sua testimonianza. Quando Gesù consegna lo spirito nella mani del Padre compie l’atto supremo di fiducia nel Dio della vita. Si fida a tal punto che neanche la morte diventa più ostacolo al progetto del regno: nello Spirito di verità e di giustizia, sicuro che la comunità ora è il nuovo testimone del Vangelo, può consegnare la sua vita nella mani del Padre.

“Io muoio, ma la mia opera non morirà” pronuncia il Comboni quando consegna la sua vita nella mani del Padre.

 

31 Era il giorno della Preparazione e i Giudei, perché i corpi non rimanessero in croce durante il sabato (era infatti un giorno solenne quel sabato), chiesero a Pilato che fossero loro spezzate le gambe e fossero portati via. 32 Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe al primo e poi all’altro che era stato crocifisso insieme con lui. 33 Venuti però da Gesù e vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, 34 ma uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua. 35 Chi ha visto ne da testimonianza e la sua testimonianza è vera e egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate. 36 Questo infatti avvenne perché si adempisse la Scrittura: Non gli sarà spezzato alcun osso.

 

Ancora una volta la preoccupazione è più con la legge che un rispetto autentico anche per i morti. Si preferisce spezzare loro le gambe (quante torture dei regimi dittatoriali degli ultimi 50 anni evoca questa scena…), piuttosto che rispettarne la dignità.

Anche Gesù subisce quest’affronto. Ma ancora una volta, risponde con la logica del regno di Dio: sangue e acqua richiamano un sacrificio per la nuova vita, nel battesimo del martirio e del sacramento. C’è la forza vitale di un Dio che anche sulla croce parla all’umanità di vita nuova. E la testimonianza degli eventi diventa il primo compito della comunità cristiana che sta formandosi (v. 35).

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