Dal Vangelo di Giovanni (19, 17-36)
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Essi allora presero Gesù ed egli, portando la croce, si
avviò verso il luogo del Cranio, detto in ebraico Gòlgota,
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dove lo crocifissero e con lui altri due, uno
da una parte e uno dall’altra, e Gesù nel mezzo.
Il tempo è giunto, l’ora di Gesù è questa: lo
prendono e lo crocifiggono! Non ci sono più dubbi sulla
“regalità ” del Figlio dell’Uomo: la sua potenza si manifesta
nella debolezza.
Il suo trono è la croce. La sua gloria sono due
braccia inchiodate che si aprono sul mondo. Ora non c’è più
nessun dubbio: questo è il nostro Signore.
Lo crocifiggono tra “altri due”, così “poco importanti” da
non avere nome. Sono i tanti crocifissi della storia, gli
ultimi del Vangelo che non hanno importanza.
Sono gli
adolescenti uccisi nelle strade di S. Paolo dalla violenza
della polizia e del traffico di droga. Sono i 4000 ragazzi
detenuti nel riformatorio della città che vivono come se
fossero in gabbia, trattati da animali e che diventano più
brutali di quando sono entrati. Sono le tante mamme che
accompagnate all’obitorio riconoscono i volti trasfigurati
dei loro figli uccisi dalla violenza della strada.
I due crocifissi non hanno nome, ma possiamo vedere il loro
volto in tanti che camminano per le strade della storia,
questa storia dove anche io sono presente.
Ora finalmente tutti i discepoli comprendono che cosa
significa “sedere alla destra e alla sinistra del Figlio
dell’uomo”. Non secondo la logica del potere, ma della piena
sottomissione alla volontà del Padre, che per amore,
consegna il figlio nella mani dei persecutori. Tranne
Giovanni, nessuno di loro, davanti alla croce, ha scelto di
restare!
“Tenere gli occhi fissi su Gesù Cristo, Gesù Cristo
crocifisso”. (S. Daniele Comboni)
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Pilato compose anche l’iscrizione e la fece porre sulla
croce; vi era scritto: “Gesù il Nazareno, il re dei Giudei”.
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Molti Giudei lessero questa iscrizione, perché il
luogo dove fu crocifisso Gesù era vicino alla città ; era
scritta in ebraico, in latino e in greco.
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I sommi sacerdoti dei Giudei dissero allora a
Pilato: “Non scrivere: il re dei Giudei, ma che egli ha
detto: Io sono il re dei Giudei”.
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Rispose Pilato: “Ciò che ho scritto, ho
scritto”.
Pilato è immagine dell’umanità che “se ne lava le mani” di
fronte a quanto gli accade attorno, prendendo parte ai fatti
solo quando provocata, o quando i propri interessi sono
messi a rischio. È bene lavarsene le mani, perché così le
responsabilità sono minime. Eppure,
nella logica del Vangelo, dovrebbe essere peccato, forse
anche grave, anche quando non abbiamo il coraggio di
prendere posizione, di schierarci. Dio l’ha
fatto: con l’Incarnazione Dio si è fatto parte dell’umanità ,
e si è schierato al lato degli oppressi. (Cfr. Es 3, 7-12;
Mt 25, 31-46). Dio non ha esitato a schierarsi.
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I soldati poi, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue
vesti e ne fecero quattro parti, una per ciascun soldato, e
la tunica. Ora quella tunica era senza cuciture, tessuta
tutta d’un pezzo da cima a fondo.
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Perciò dissero tra loro: Non stracciamola, ma
tiriamo a sorte a chi tocca. Così si adempiva la Scrittura:
Si son divise tra loro le mie vesti e sulla mia tunica
han gettato la sorte. E i soldati fecero proprio così.
Nella logica del profitto senza scrupolo, dalla parte del
più forte, dell’oppressore che si fa forte della debolezza
altrui, anche le poche cose dei poveri diventano fonte di
guadagno! Ci si spartisce il poco di chi già non ha nulla.
Si toglie a chi già non ha il sufficiente per sopravvivere.
Il potere militare, forte delle sue armi e dei
suoi investimenti bellici, sottrae ai popoli invasi la
ricchezza della vita, le risorse destinate alle popolazioni
locali, la bellezza della “shalom”. Usa il terrore per
opprimere i deboli. Si appropria di tutto, seminando
distruzione e morte. Anche quest’anno i proventi ricavati
dal
commercio di armi hanno sottratto molte energie
utilizzabili nella ricerca medica, nello sviluppo, nella
promozione umana, nella autentica democrazia.
“Se siamo capaci di investire tante energie per la
guerra,
perché non facciamo altrettanto per costruire la
pace?” (Mons. Bettazzi)
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Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua
madre, Maria di Clèofa e Maria di Mà gdala.
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Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a
lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: “Donna,
ecco il tuo figlio! ”.
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Poi disse al discepolo: “Ecco la tua madre! ”.
E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa.
Dopo la
fuga dei discepoli, chi resta presso al Croce sono le donne!
La parte più debole della popolazione, insieme ai bambini, è
quella che ha il coraggio di prendere posizione davanti allo
scandalo dell’ingiustizia compiuta. Sono loro che si fanno
carico della denuncia silenziosa della violenza perpetrata
dal potere militare e religioso. Attraverso un’azione
nonviolenta si pongono come testimoni del fatto. Di fronte
alla scelta delle donne, Gesù semina germi di speranza. In
questo momento apparente di sconfitta nasce la speranza.
La nuova
comunità comincia proprio davanti alla croce, al mistero
della fragilità di Dio. Ma è proprio davanti alla
croce che “nascono e crescono le opere di Dio”, perché la
passione di Gesù è il più grande atto d’amore di Dio per
l’umanità . Dall’albero della morte, nasce la primavera della
vita. Le relazioni ora sono imbastite con una nuova
prospettiva: la fraternità dell’amore conduce a far nuove
tutte le cose.
La comunità diventa segno della risurrezione (cfr.
At 2, 42-48, 4, 32-35). Nella storia della chiesa, e non
solo, tantissime testimonianze sono giunte da donne che
hanno avuto il coraggio di promuovere azioni pacifiche di
giustizia.
Le mamme e le donne di “Praza de maio”, in Argentina, Cile,
Perù, che per anni hanno sostato davanti alla croce dei
figli e mariti “desaparecidos” a causa dei regimi
dittatoriali militari. Le tante donne che hanno recato
conforto e aiuto ai mariti e figli arrestati e torturati per
motivi politici, religiosi, di coscienza. Le tante donne che
hanno aiutato i processi di democratizzazione in Sud Africa
dopo il regime dell’apartheid. E da questo impegno per la
pace e la giustizia, sono nati nuovi percorsi per l’umanità .
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Dopo questo, Gesù, sapendo che ogni cosa era stata ormai
compiuta, disse per adempiere la Scrittura: “ Ho sete ”.
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Vi era lì un vaso pieno d’aceto; posero perciò
una spugna imbevuta di aceto in cima a una canna e gliela
accostarono alla bocca.
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E dopo aver ricevuto l’aceto, Gesù disse:
“Tutto è compiuto! ”. E, chinato il capo, spirò.
“Ho sete”. Quale sete mantiene viva la ricerca dell’umanità ?
La sete del potere? La sete della ricchezza? La sete di
sentirsi più forti e capaci, per sottomettere i miei
avversari?
La sete di Gesù è quella che lo porta all’incontro
dell’umanità che ha smarrito il cammino. Alla
samaritana propone l’acqua della verità , perché questa donna
capisca che la libertà è frutto di scelte di autenticità e
fedeltà alla propria vocazione. Ai malati e sofferenti
propone l’acqua della guarigione nella fede, l’unica “acqua”
capace di rifarci persone con piena dignità . Ai discepoli
offre la possibilità di una vita piena perché ricca d’amore,
di condivisione, di comunione, di solidarietà . È la
prospettiva del Regno del Padre.
La sete di Gesù non è stata colmata dall’aceto. Piuttosto
dalla consapevolezza di aver amato il Padre fino alla totale
obbedienza della croce: “Ora tutto è compiuto”. La sete è
colmata dall’aver amato fino all’ultimo i suoi, nella
consapevolezza di avere mostrato il vero volto del Padre
attraverso la sua testimonianza. Quando Gesù consegna lo
spirito nella mani del Padre compie l’atto supremo di
fiducia nel Dio della vita. Si fida a tal punto che neanche
la morte diventa più ostacolo al progetto del regno: nello
Spirito di verità e di giustizia, sicuro che la comunità ora
è il nuovo testimone del Vangelo, può consegnare la sua vita
nella mani del Padre.
“Io muoio, ma la mia opera non morirà ” pronuncia il
Comboni quando consegna la sua vita nella mani del Padre.
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Era il giorno della Preparazione e i Giudei, perché i corpi
non rimanessero in croce durante il sabato (era infatti un
giorno solenne quel sabato), chiesero a Pilato che fossero
loro spezzate le gambe e fossero portati via.
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Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe
al primo e poi all’altro che era stato crocifisso insieme
con lui.
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Venuti però da Gesù e vedendo che era giÃ
morto, non gli spezzarono le gambe,
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ma uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e
subito ne uscì sangue e acqua.
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Chi ha visto ne da testimonianza e la sua testimonianza è
vera e egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate.
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Questo infatti avvenne perché si adempisse la Scrittura: Non
gli sarà spezzato alcun osso.
Ancora una volta la preoccupazione è più con la legge che un
rispetto autentico anche per i morti. Si preferisce spezzare
loro le gambe (quante torture dei regimi dittatoriali degli
ultimi 50 anni evoca questa scena…), piuttosto che
rispettarne la dignità .
Anche Gesù subisce quest’affronto.
Ma ancora
una volta, risponde con la logica del regno di Dio: sangue e
acqua richiamano un sacrificio per la nuova vita, nel
battesimo del martirio e del sacramento. C’è la forza vitale
di un Dio che anche sulla croce parla all’umanità di vita
nuova. E la testimonianza degli eventi diventa il primo
compito della comunità cristiana che sta formandosi (v. 35). |