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Il profumo del pane e del dono

OrmeGiovani scritto da Monca De Spirito e pubblicato su ComboniFem di Dicembre 2016

Il 2016 è stato, per me, un anno fondamentale del mio essere donna: gennaio ha portato via con sé mia nonna, la donna più forte che abbia mai conosciuto e che mi ha, per fortuna, lasciato in eredità molti dei suoi geni; la primavera ha recato invece l’annuncio della nascita della mia prima nipotina femmina, dopo tre maschi… Storie di vita di donne che si intrecciano e che mi hanno inevitabilmente costretta a fermarmi e domandarmi: che ci faccio io nel mezzo? Sono alla soglia dei 35 anni, un’età che non temo e a cui mi sento di appartenere sempre più, vivo con delle amiche, ho un lavoro, una macchina e una vita piena di amici e interessi. Eppure… eppure alla vigilia di questo Natale ho un desiderio ardente da affidare all’albero o al Bambin Gesù, un desiderio che coltivo da sempre e che, purtroppo, non si è ancora avverato; che mi spaventa sia per la sua potenza e per la possibilità che si avveri, sia per la fatica e il dolore che invece, non si realizzi mai.

Il mio desiderio è quello di costruire una famiglia ed essere madre. Qualche giorno fa, mi è stato detto che desiderare è lasciare aperto il cuore alla possibilità, preparare il terreno al dono. Il dono… Quel pacchetto colorato che a Natale ci affanniamo tanto a cercare e che speriamo non deluda mai. Il mio “piccolo” desiderio rappresenta, per me, la possibilità di entrare ancora di più a far parte del Regno, di fare la mia parte per il Regno, anche se so che si può fare molto anche da soli. E in quest’anno così delicato di migrazioni femminili nella mia vita, così affollato di lacrime che servono a pulire gli occhi dalla fatica e dalla tristezza per permettergli di accogliere la Novità, ripenso a cosa voglia dire per me essere Regno, ripenso al vangelo che è la mia vita e ai Vangeli più sacri scritti da altri, e mi viene in mente Matteo (3,13) con quella sapienza di donna che impasta il pane.

Sarò io capace della stessa saggezza? Saprò spendere le mie tre misure a prescindere dal realizzarsi o meno del mio desiderio? Non ho risposte. Ma ancora una volta faccio affidamento alle donne della mia famiglia per comprendere come poter fare la mia parte, incarnare un desiderio di Vita che mi abita e torno con la mente ai sabati di agosto di tanti anni fa, quando mia nonna faceva il pane per tutti. Il pane va protetto con coperte calde, tenuto al riparo finché cresce, custodito lontano da tutto. Dopo cotto, mia nonna lo metteva in apposite pezze di lino. Come quelle della Resurrezione. Il pane nel forno muore per essere consumato. Avvolto nei teli di lino attende di raffreddarsi per essere spezzato. C’era un profumo bellissimo quando mia nonna faceva il pane. È uno dei profumi più buoni del mondo. Ce ne dava un po’ anche a noi piccoli, di quell’impasto. Ma il nostro pane non cresceva mai. Eppure era lo stesso lievito. Erano le mani a essere diverse.

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Le sue erano mani esperte di donna che sapeva con esattezza quanto lievito per quanta farina. E mia nonna faceva in media venti forme di pane. Circa quindici chili. Bastavano per due settimane. Non sapeva leggere né scrivere, mia nonna. Ma sapeva quanto lievito e quanta farina occorrevano per dare pane alla sua famiglia per quindici giorni. Adoravo il giorno in cui si faceva il pane. Il sabato, giorno di mercato e di pizza. Adoravo guardare quell’impasto nei cesti che prendeva forma ora dopo ora. Mia nonna riempiva le scale interne della casa di queste ceste. E qui venivano di nuovo riposte le ceste con il pane caldo. Il profumo del pane rimaneva lì, fino alla volta successiva. Adoravo il pane caldo. Lo amo ancora. Anche perché quel pane serviva per il banchetto, per il pranzo e per la cena. E il vino di certo non mancava.

C’era tutto: pane, vino, profumo, la fatica di mia nonna che fin dopo gli ottant’anni impastava quella massa; che si spendeva per noi; il progetto di quanto pane fosse necessario; la gioia della condivisione e il riposo.C’era tutto. Farina, lievito, il tempo giusto, il desiderio di sfamare la Vita, la gioia. Un uomo e una donna, perché poi era mio nonno a tirare fuori dal forno il pane. Era fatica, diceva, per lei. Troppo caldo, troppo sforzo. Oppure era sapienza di donna che sa che deve lasciare all’uomo il suo spazio, perché di certo era più fatica impastare che tirare fuori dal forno il pane. Ma mio nonno era contento di fare la sua parte. Poi andava a prendere il vino che faceva lui. Anche qui, lui sapeva con esattezza come si fa il vino. Sapeva leggere quello che gli serviva e scriveva poco. Ma sapeva far di conto e sapeva fare il vino. Mia nonna l’aiutava a raccogliere l’uva e a pulire gli attrezzi. Mia nonna era pane, mio nonno era il vino. Insieme erano Regno. Ma insieme. E quando si muoveva lei, stava fermo lui; quando si muoveva lui, stava ferma lei. Il Regno è quei giorni di sabato all’ombra del gelso nel sole d’agosto.

Questo è il mio desiderio per la mia vita: essere Regno in questo modo e poter condividere tutto ciò con qualcuno che scelga di stare al mio fianco. All’approssimarsi di questo Natale credo sia importante ricordare a me stessa ciò che di più sacro è nel mio cuore, il desiderio abitato da Dio di una vita d’Amore. Dovremmo imparare a domandarci più spesso cosa desideriamo e non solo per Natale. Il desiderio forma l’azione e plasma il nostro vivere quotidiano, come la donna che plasma il pane, come Cristo che per il desiderio di salvarci plasma la morte trasformandola in vita. Impariamo ad ascoltare ciò che abita il nostro cuore, e solo allora saremo pronti ad accogliere il regalo che Dio ha incartato per noi.

Monica De Spirito  

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